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venerdì 9 ottobre 2009

LA MINIERA DI MONREALE TRA ‘700 e ‘800.


Il discorso sulla miniera di Monreale può forse prendere giustificatamene le mosse da molto lontano.


Sappiamo che, nell’intento di avviare uno sfruttamento governativo delle miniere in Sardegna, vennero fatti per ordine del governo piemontese, fin dal 1762, sopralluoghi e assaggi nelle varie località che erano state precedentemente saggiate da mineralogisti svedesi e inglesi, oltre che in altre località nuove. L’esperto di tale operazione fu l’ing. Belley del Dipartimento delle Miniere del Regno, il quale nei suoi itinerari toccò anche Sardara da dove scrisse una sua lettera il 3.6.1767. ( Cifr. L. Bulferetti in studi in on. Di Fr. Loddo-Canepa I – pag. 84 Ed. Sansoni Firenze 1959).
Possiamo presumere che all’attenzione del Belley non saranno sfuggiti i giacimenti di piombo argentifero del Monreale; come non sfuggì al Della Marmora “a basso del castello verso SE un gran filone di ferro ossidulato accompagnato da schisti macliferi…”(Cifr. Itinerario pag. 264).
Però, solo nel 1848, quando furono estese alla Sardegna le leggi minerarie largite in Piemonte otto anni prima, con il ricorso alla iniziativa privata, ebbe inizio la grande concessione nei comuni di Guspini e di Arbus alla società Montevecchio che fu la prima rispetto a quelle di Monteponi (1850), Rosas (1851), Bacu Abis (1853), Perda Niedda (1854), (Cifr. Sardegna Ed. IEI Milano 1963 vol. II pag 320) .
Fu in quell’epoca che furono iniziati dalla Montevecchio dei lavori di assaggio e di ricerca anche nel versante settentrionale del Monreale. Ciò affermiamo per la testimonianza di una tradizione locale più che per la conoscenza di una documentazione appropriata, alla quale noi non abbiamo potuto accedere ma che certamente esiste nell’archivio comunale di Sardara e in quello della Società Montevecchio.
E’ dimostrato che nel 1885 si lavorava attivamente alla cosiddetta miniera , perché il 27 luglio muore in Sardara “ Luigi Ravello del fu Francesco, nativo della città di Genova, che trovavasi qua in Sardegna lavorante nelle recenti miniere di questo villaggio, in età di 37 anni, e che venne sepolto in terno gratis nel cimitero parrocchiale, precedente una messa solenne corpore presenti parimenti gratis”. (Cifr. Arch. Parr. di Sardara ).
E che i lavori fossero gestiti dalla Società Montevecchio è chiaro dal fatto che di altro giovane, Giuseppe Secchia piemontese, deceduto l’11 dicembre di quello stesso anno e pure “tumulato gratis e pro Deo a solenne pompa”, i documenti personali furono rilasciati al comune di Sardara dalla Direazione della miniera di Montevecchio.
Ovviamente i lavori di ricerca dovettero durare parecchi anni. Almeno fino al 1886, quando altro operaio, presumibilmente della miniera, Piccinini Giovanni, di 29 anni, ed altro, Tivizzani Luigi di 24 anni, muoiono rispettivamente il 21 ottobre e il 19 novembre, forse stroncati dalla malaria.
La nostra argomentazione potrà apparire – e lo è difatti – carente: ma avrà almeno il pregio di rammentare quei quattro giovani morti che, gia anche allora, suscitarono la commozione generale fino a disporre per loro onoranze funebri solenni e gratuite, come espressione di sincera ospitalità, di solidarietà tra poveri, di unanime rispetto dell’operaio.
Certamente i lavori di assaggio – e forse di iniziale estrazione della blenda piombo-platifera – già vistosi e promettenti dovettero essere chiusi prima del 1898, perché il Vacca- Oddone nel lungo elenco di 104 miniere in esercizio a quell’epoca, riportato nel suo Itinerario Ufficiale dell’Isola di Sardegna , non nomina affatto la miniera di Sardara.
La voce comune dice che , imbattutesi, durante i lavori di approfondimento di una galleria, in una sorgente di acqua, impossibile a dominare con i migliori mezzi meccanici, le ricerche siano state sospese, ed abbandonate le strutture già fiduciosamente realizzate. Oggi nulla più esiste di esse: e solo esiste un pozzo effettivamente formidabile per una vena d’acqua sotterranea che lo tiene pericoloso nella zona. Qualcuno dice che una galleria che lo raggiungesse di fianco sulla parete del monte, basterebbe pere determinare una caduta d’acqua che arricchirebbe di un perenne ruscello tutta la pendice della “struvina”.
Mons. Abramo Atzori. 1980 Santa Maria delle Acque e il suo santuario di Sardara.

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