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lunedì 31 agosto 2009

UNO SVILUPPO SOSTENIBILE


Nel nostro paese è scoppiata una discussione piuttosto accesa del Partito Democratico con la destra, che amministra.


Si contesta il tipo di sviluppo territoriale contenuto nel nuovo Programma di Fabbricazione, che l’Amministrazione comunale ha improvvisamente calato dall’alto ed ha approvato a tamburo battente in Consiglio.
Il modo di procedere degli amministratori stupisce e insospettisce. Sconcerta soprattutto vedere che le aree edificabili attorno alle Terme vengono allargate fino a 1.740.000 metri quadrati e preoccupa scoprire che il numero delle costruzioni, le loro caratteristiche e le loro volumetrie sono lasciate indefinite. Tutto verrà deciso in seguito con un “Piano attuativo” da proporre su iniziativa anche dei privati. Il Comune si troverà così disarmato di fronte a pressioni d’ogni tipo. Con questo sistema gli amministratori vorrebbero realizzare “residenze turistico residenziali, cioè abitazioni, ma anche servizi, come grandi centri commerciali…e si prefigura uno sviluppo territoriale purchessia, caotico, aperto a qualsiasi scorreria speculativa, in cui l’acqua termale c’entra ben poco.
Ci sono quindi buoni motivi per essere preoccupati e per chiedere agli amministratori comunali di spiegare i loro progetti, di pubblicare magari sul sito del Comune gli elaborati del nuovo Programma di Fabbricazione con una comunicazione del sindaco che illustri i contenuti dello sviluppo territoriale proposto, indicando i relativi tempi di realizzazione ed i soggetti imprenditoriali a cui ci si rivolge per attuare questi progetti.
Il problema è quindi il tipo di sviluppo territoriale da promuovere. In tutto il mondo, dopo la catastrofe economica che stiamo vivendo, ci si interroga su questa questione. In Sardegna, dopo il tracollo della grande industria e i troppi scempi consumati nelle coste, l’argomento è all’ordine del giorno da alcuni anni e si discute di come realizzare uno sviluppo sostenibile.
Sviluppo sostenibile vuol dire che sul piano economico-finanziario si deve guardare ad un equilibrio nel tempo tra risorse da impiegare e risorse che si hanno effettivamente a disposizione. A Santa Maria Acquas per costruire in un colpo solo un secondo centro abitato con tutte le urbanizzazioni necessarie, cioè con strade, fogne, acquedotto, verde…, su quali risorse ordinarie e straordinarie si vuole contare?
Sviluppo sostenibile sul piano sociale vuol dire evitare disparità eccessive tra gli interessi dei cittadini ed i protagonisti di un simile investimento, cioè tra i sardaresi ,che dovranno accollarsi in futuro le spese di gestione di un secondo insediamento abitativo, e gli speculatori, che una volta realizzato l’affare andranno via.
Sviluppo sostenibile su piano ambientale vuol dire proteggere l’ambiente naturale e quello prodotto dalla storia investendo con oculatezza sulle risorse più preziose che abbiamo. Le cose che realizzeremo oggi fra cent’anni dovranno essere apprezzate come oggi apprezziamo le terme romane o gli edifici costruiti un secolo fa su progetto di Gaetano Cima, il più illustre architetto sardo allora vivente. Per evitare errori irreparabili bisogna agire per gradi, verificando progressivamente i risultati per poterli eventualmente correggere.
E’ evidente che, arrivati a questo punto, a Sardara serve in Piano d’azione di lungo periodo per programmare il suo sviluppo, che deve essere non solo conosciuto ma anche condiviso da tutti gli attori economici locali e dai cittadini. Senza la loro fattiva partecipazione non si può realizzare nulla e soprattutto non si possono creare imprese e posti di lavoro stabili e qualificati.
Molte altre località termali stanno attuando progetti per accrescere la loro competitività e la loro capacità attrattiva. A Montecatini ad esempio si sta realizzando un Masterplan, predisposto dal famoso studio di architettura di Massimiliano Fuksas, chiamato “Villaggio delle Acque”. Si tratta di un centro termale di nuova generazione per rilanciare il business della località intervenendo su due impianti esistenti, quello delle terme Leopoldine e quello della struttura detta “La salute”. Oltre a ciò si valorizza un parco di 54 ettari e si costruiscono impianti sportivi, il Museo d’arte contemporanea ed il Museo dell’acqua. Il nostro paese non è certo Montecatini, però qualcosa si può imparare da chi fa le cose per bene. Ad esempio tra progettare lo sviluppo con il solo ufficio tecnico comunale e affidarsi allo studio Fuksas passa qualche differenza.
In conclusione ci sentiamo di avanzare qualche suggerimento. Innanzitutto per rispetto dei sardaresi e della stessa complessità dei problemi sarebbe opportuno sospendere il procedimento in atto che renderà operativo il nuovo PUC. I consiglieri comunali potrebbero poi farsi un giro per le stazioni termali di successo per verificare come sono organizzate. Siccome da nessuna parte c’è uno sviluppo del territorio senza il coinvolgimento e la condivisione popolare bisognerebbe aprire una fase di riflessione collettiva. Infine per progettare un Piano d’azione di livello nazionale, che ci consenta cioè di confrontarci con le altre realtà termali, è imprescindibile il supporto di uno studio di progettazione qualificato.
Certo si può fare anche diversamente, ma si rischia di perdere tempo e di fare errori difficili da riparare.
Rossano Caddeo

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Sviluppo termale: quale ruolo per noi sardaresi


In data 5/12/2008 il Consiglio Comunale di Sardara approva la variante n° 7 al PUC, che va ad interessare in modo particolare tutta l'area di S. M. Acquas.


Quanto deliberato è sicuramente ineccepibile a livello amministrativo, mentre in merito ai contenuti ed alla predisposizione del documento possono essere fatte alcune considerazioni.
Attraverso lo strumento del PUC e delle sue varianti l'Amministrazione può attuare parte delle proprie politiche di sviluppo, con una valenza di medio e lungo periodo. L'incidenza a lungo termine di queste scelte comporta, o quanto meno rende opportuno che vengano prese facendo molta attenzione a quali risultati potranno determinare.
In particolare nella variante proposta dall'Amministrazione la visione a ciò che Sardara diventerà nei prossimi 15/20 anni, in particolare l'area termale, non dimostra di essere orientata dai criteri dello sviluppo sostenibile.
La scarsa attenzione ai risultati che si produrranno nell'attuazione di quanto previsto dalla variante è riscontrabile nella tipologia di interventi che sarà consentito realizzare, alcuni dei quali addirittura travisando in modo grossolano le disposizioni normative sulla ricettività turistica, e mascherando con l'“albergo diffuso” (le norme regionali classificano come albergo diffuso quelle strutture presenti all'interno del centro storico zona A) la costruzione di residenze alberghiere, ovvero villette ed appartamenti, nell'area di S.M. Acquas.
La dottrina sullo sviluppo locale, come indicato anche dalla U.E., in considerazione dei suoi effetti sulle varie componenti territoriali, prevede che la pianificazione degli interventi avvenga con il massimo coinvolgimento di tutti i soggetti, cittadini ed imprese, non solo locali, che a vario titolo sono o possono diventare portatori d'interesse rispetto alle scelte da realizzare.
Quanto definito nella variante al PUC, proprio per la sua importanza, non doveva rappresentare il risultato di alcune scelte di carattere meramente politico, ma il punto d'arrivo di un processo che doveva coinvolgere i cittadini, gli imprenditori, le associazioni, le istituzioni a vario titolo. Il tutto unito ad uno studio sul territorio nei suoi diversi aspetti ed in particolare degli effetti ambientali prodotti da simili interventi.
Il Testo Unico sull'ambiente, in attuazione delle direttive europee di tutela ambientale, prevede che diversi tipi di programmi e/o piani che possono produrre effetti significativi sull'ambiente vengano sottoposti, in fase preparatoria, a valutazione ambientale strategica. Anche le normative regionali non si discostano dai dettami di quella nazionale. Quanto previsto nella variante al P.U.C. potrebbe rientrare a pieno titolo in una delle situazioni indicate nella normativa vigente.
Sembra infatti inopportuno prevedere la possibilita' di edificare un territorio per realizzare quasi una Sardara 2 senza aver condotto un processo di valutazione ex-ante che evidenzi, nel rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile, quali sono i rischi ambientali connessi a tali investimenti.
L'attuazione di un processo di valutazione ambientale può prevedere inoltre già dalle sue fasi iniziali l'individuazione di tutti i possibili attori e il loro ruolo nell'intero percorso valutativo, e sopratutto nei momenti di validazione dei risultati dell'analisi e la conseguente definizione degli interventi.
Questo tipo di approccio supportato da un indagine di carattere socio-economico, demografico, delle dinamiche dei flussi turistici, delle condizioni di vita, dei bisogni reali e di quelli latenti di chi vive, lavora o decide di insediare la propria attività lavorativa nel nostro territorio, consente di effettuare scelte condivise e capaci di mettere a valore le peculiarità e i caratteri distintivi presenti nella comunità sardarese.
Approvare un piano ed attendere che, nei tempi stabiliti dalla normativa, vengano fatte delle osservazioni, dimostra che la filosofia che guida le scelte fondamentali di sviluppo non e' improntata sulla partecipazione e condivisione di obiettivi comuni.
Nel rispetto delle principi che consentono alle amministrazioni locali più vicine al cittadino di attuare gli interventi per il soddisfacimento dei loro bisogni, sarebbe auspicabile che i cittadini possano esprimerli prima di prendere le decisioni.
O.T.

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giovedì 27 agosto 2009

“Anche Bambi può far male”

“Anche Bambi può far male” è il titolo di una campagna di sensibilizzazione finalizzata alla riduzione degli incidenti stradali che coinvolgono la fauna selvatica.


Forse non tutti sanno che in Sardegna, negli ultimi 8 anni, ci sono stati più di 1200 incidenti che hanno avuto come protagonisti involontari gli animali che popolano i nostri boschi e animano di notte le nostre campagne. Cinghiali e cervi sardi, daini e volpi sono le specie maggiormente coinvolte.
Gli spostamenti degli animali avvengono soprattutto di notte, prevalentemente per motivi trofici (ricerca di cibo o di acqua). Ogni volta che i corridoi ecologici percorsi dalla fauna selvatica si incontrano e si intersecano con la rete viaria, il rischio di incidente è altissimo. Tale rischio aumenta notevolmente quando il traffico veicolare si fa molto intenso; basti pensare che le Province maggiormente a rischio sono quella di Sassari (Alghero area di Porto Conte) e di Olbia Tempio (Strada Provinciale 90 Castelsardo - S. Teresa di Gallura).
Immaginate di percorrere una strada buia e di montagna, dopo aver trascorso con gli amici una serata in allegria e di imbattervi con un cervo sardo che vi guarda in mezzo alla strada spaventato e incapace di muoversi. L’impatto è violentissimo e oltre ad essere quasi sempre letale per l’animale investito e anche molto pericoloso per l’uomo. Questa terribile mattanza si può evitare mettendo in pratica dei semplici ma efficaci consigli:
1. Quando vediamo un cartello di pericolo attraversamento di fauna selvatica rallentiamo e aumentiamo il nostro livello di attenzione;




2. L’Assessorato regionale della Difesa dell’Ambiente e le Amministrazioni provinciali del Medio Campidano e di Sassari hanno realizzato dei progetti specifici volti alla prevenzione e alla riduzione degli incidenti.
Rallentiamo quando troviamo cartelli con la scritta:”tratto di strada con segnaletica sperimentale atta a prevenire collisioni con la fauna selvatica” oppure “rallenta ci siamo anche noi”


3. Quando vediamo degli insoliti catarifrangenti con sezione triangolare (rossi o bianchi) significa che stiamo entrando in un tratto viario dotato di sistemi che scoraggiano la fauna selvatica ad attraversare la strada: rallentiamo e aumentiamo il livello di attenzione.

4. Rispettiamo sempre i limiti di velocità e ricordiamoci che a casa c’è qualcuno che ci aspetta;
5. Se siamo stanchi o abbiamo bevuto facciamo guidare qualcun altro oppure fermiamoci a bere un caffè e a rinfrescarci la faccia.
Dal 1977 la fauna selvatica viene considerata res communes omnium, cioè un bene di tutta la collettività, e pertanto tutelata e gestita dallo Stato e per il suo tramite dalle Regioni e dalle Province. In caso di incidente con fauna selvatica, la stazione operativa del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale 1515 sarà in grado di fornirvi le indicazioni per contattare il centro provinciale di primo soccorso veterinario per la fauna selvatica ferita o in difficoltà (già operativo in molte Province).
Nella Provincia del Medio Campidano la fauna più coinvolta è il cervo sardo mentre le strade più a rischio sono la SP 66 Guspini – Montevecchio, la SP 65 Montevecchio – Funtanazza, la SP 68 Montevecchio – Arbus la strada Funtanazza - Portu Maga, Portu Maga – Piscinas e la SS 126 Guspini - Arbus. Nel 2006 ci fu un incidente anche a Sardara nella SS 131 ma in questo caso si trattava di una Volpe.
Per scaricare la brochure, la locandina e per saperne di più, entrate nel sito della regione:
http://www.sardegnaambiente.it/index.php?xsl=612&s=116728&v=2&c=4801&idsito=18
http://www.regione.sardegna.it/j/v/25?s=60245&v=2&c=149&t=1
Davide Brugnone

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mercoledì 26 agosto 2009

Le Terme di Sardara tra passato e futuro.

Da millenni le nostre Terme sono considerate una risorsa. Ne sono testimoni le emergenze archeologiche che ci raccontano di un ‘culto delle acque’ pre-nuragico e nuragico, di un uso in epoca romana e medioevale e più recenti edifici di epoca moderna e contemporanea.


Dopo millenni di presenza umana, il territorio e l’ambiente che ci è stato consegnato accoglie due nuraghi, un santuario rurale del ‘600, alcuni fabbricati realizzati agli inizi del ‘900, due moderni centri idroterapici, un edificio rurale disposto ‘a corte’, un (ex) allevamento ippico, alcuni affioramenti termali e geologici e una gran varietà di essenze vegetali. Un ambiente, tutto sommato, ancora ben conservato.
In epoca moderna il progetto più significativo, per complessità e visione d’insieme, è stato senz’altro quello di Gaetano Cima, redatto nel 1846 e messo in opera da Filippo Birocchi nel 1899, che prevedeva il ‘bagno antico’, la ‘bottiglieria’, il ‘lavatoio’, la ‘gualchiera’ (oggi scomparsa), ‘l’albergo termale’, la ‘casa rossa’, oltre alle opere di captazione, di bonifica, ecc.
Parlando di Terme di Sardara ci è d’obbligo soffermarci un po’ sulla Sua opera.
Prima di ogni altra cosa Egli pensò alla pianificazione territoriale, ad uno studio d’insieme dell’area entro cui allocare tali edifici. Aveva previsto per questi uno stile neoclassico, ed una loro disposizione all’interno di linee di simmetria che avevano il compito di ‘accoppiare’ gli edifici principali, come la Chiesetta rurale con l’albergo, il bagno antico con la bottiglieria, il lavatoio con la gualchiera, il mulino con le opere di presa delle sorgenti. Tutto ciò all’interno di un ‘asse principale’ che gli specialisti ancora oggi chiamano ‘l’ asse del Cima’.
Egli aveva cercato di rendere il più possibile regolare la figura dell’impianto urbanistico, sulla base di una idea di fondo che immaginava il paese e le Terme due luoghi distinti fisicamente, con una particolare attenzione al raccordo tra la storia dell’insediamento ed il progetto in atto. Due luoghi separati ma uniti da radici comuni dalla vicenda storica, economica e sociale della comunità sardarese.
Quella impostazione urbanistica fu fatta propria dagli Amministratori Comunali e Provinciali dell’epoca, fu imposta all’imprenditore concessionario (il Birocchi) e, da quel momento, avrebbe impegnato in qualche misura anche gli amministratori pubblici ed i pianificatori del futuro.
Gli Amministratori pubblici di fine ‘800, consapevoli delle delicate scelte che si apprestavano a fare, non scelsero ‘uno qualunque’, ma il celebre Gaetano Cima, primo urbanista della Città di Cagliari, colui che progettò le più importanti opere civili e religiose del suo tempo, quali l’Ospedale Civile e il Teatro Civico di Cagliari oltre a svariate Chiese e Cattedrali in tutta la Sardegna.
L’unica pianificazione successiva dell’area termale risale alla metà degli anni ’80 (del ‘900), quando gli Amministratori Comunali si posero il problema di creare un nuovo strumento urbanistico, il ‘Piano di Disciplina delle Zone Turistiche’, che coniugasse le più moderne esigenze dello sviluppo termale con il rispetto dell’ ambiente. Quella pianificazione, tenne nella dovuta considerazione l’impronta data all’area termale da Gaetano Cima e individuava con precisione delle ‘zone’ dove poter edificare gli impianti sportivi, altre dove edificare strutture produttive, gli alberghi, le aree verdi e i parchi, i parcheggi e gli impianti tecnologici e la nuova viabilità.
Ma non prevedeva la possibilità di edificazione di case per civile abitazione, non prevedeva alcuna ‘zona di espansione residenziale’ del centro abitato. Ritengo giustamente. Lo penso sulla base di considerazioni urbanistiche (una cosa sono le Terme, una cosa è il Centro Urbano), poi per logica e buonsenso (le zone di espansione si creano in adiacenza al Centro Urbano, e non alle Terme). Ma soprattutto perché bisogna prima vedere se esiste la necessità (cioè se mancano gli alloggi ed i terreni edificabili rispetto ai cittadini residenti) e, per saperlo, bisogna verificare lo ‘stock’ edilizio inutilizzato, sottoutilizzato o degradato (per esempio nel centro storico) e verificare se non sia opportuno fare una politica di incoraggiamento e di previsione normativa finalizzato al recupero sia delle abitazioni che del territorio urbano inutilizzato. Questo perchè il centro urbano andrebbe inteso, anche a Sardara, come la sede naturale di residenzialità, anche di quella temporanea legata alla frequentazione delle Terme ed è a Sardara che andrebbe realizzato ‘l’albergo diffuso’ con il recupero dei volumi ancora liberi e disponibili.
La residenzialità turistica negli alberghi delle Terme dovrebbe essere considerata integrativa rispetto a quella cittadina, proprio per limitare il più possibile le quantità edilizie nel compendio termale, affinchè questo possa conservarsi quell’oasi di tranquillità e benessere quale dovrebbe essere ogni località termale.
Ma siamo in tanti a chiederci: e oggi come stanno le cose? Quali le prospettive per il futuro delle Terme? Quali i propositi dell’attuale Amministrazione Comunale?
Quel che si sa è che si è aperto un acceso dibattito in Consiglio Comunale a seguito della approvazione di una variante al Piano urbanistico che stravolge del tutto quella idea di cittadella termale che nasce da attenti studi, da valutazioni e scelte lungimiranti fatte nel passato, di cui prima ho ricordato le linee fondamentali.
Da queste scelte e da questo dibattito il paese finora è stato escluso.
Dalle scarne notizie che trapelano, pare sia stata approvata una variante che prevede un’ampia zona adiacente alle Terme in direzione del paese, con una destinazione urbanistica che consente l’edificazione di case che dovrebbero diventare ‘l’albergo diffuso’ e che si dovrebbero affittare ai turisti.. Ma potrebbero anche essere abitate dai legittimi proprietari… o no? Potrebbero essere vendute e diventare un ‘paesino satellite’ di Sardara, che non avrebbe nulla a che vedere con il turismo termale. E poi pare non siano previste le strade, gli spazi verdi, i parcheggi…..insomma, un pasticcio.
Se ciò è vero, l’unica strada che si intravvede porta alla definitiva compromissione dei luoghi e dell’ambiente, al disordine urbanistico e, trattandosi di proprietà fondiaria estremamente frazionata, anche a qualche speculazione edilizia di qualche imprenditore senza scrupoli.
Sono dell’idea che questa eventualità vada assolutamente evitata. Si tratta di un imperativo per chiunque abbia il potere e la volontà di impedirlo.
E’ probabile che molte delle considerazioni fin qui fatte siano sfuggite agli attuali amministratori, è possibile che si siano sottovalutati i rischi connessi ad una normativa urbanistica a ‘maglie larghe’ anzi larghissime, come quella approvata. Se si tratta di un errore di valutazione, come io credo, si può rimediare, si è ancora in tempo. Ma subito.
Personalmente sono dell’opinione che ogni cittadino che abbia a cuore le sorti del proprio paese abbia il dovere di dire la sua opinione su argomenti di tale portata, anche di portare qualche critica, meglio se costruttiva, meglio ancora se ha qualche proposta da fare. E io intendo farla, in questi termini.
Si lasci invariata la previsione del Piano Urbanistico del 1985 che individua con precisione le aree destinate alla ricettività, con alberghi e strutture similari, con l’esclusione di case;
Si preveda per quelle stesse aree un Piano per gli Insediamenti Produttivi ‘Turistico’, con previsione delle stesse identiche procedure già attuate con successo per l’assegnazione delle aree nella Zona Artigianale (P.I.P.) con:
acquisizione da parte del Comune delle aree dei privati a prezzo di mercato;
creazione di lotti di dimensioni adeguate da assegnare ad imprenditori privati in diritto di superficie o di proprietà che abbiano i requisiti previsti da un apposito regolamento di attuazione;
In questo modo si avrebbero i seguenti vantaggi:
1) Il Comune potrebbe chiedere alla Regione i contributi per le opere di urbanizzazione, proprio come per i P.I.P. ‘artigianali’ (compito agevole visto che in Regione c’è una Giunta di centro-destra, dunque ‘amica’..);
2) Verrebbero superate le difficoltà spesso insormontabili in questi casi, che scaturiscono da un eccessivo frazionamento della proprietà terriera, che fa capo a decine di titolari;
3) I lotti avrebbero un prezzo contenuto e di sicuro interesse per gli imprenditori;
4) Verrebbe meno ogni tentazione speculativa di e l’Amministrazione Comunale avrebbe gli strumenti per controllare ogni fase del processo insediativo.
Ho proposto questo modesto contributo alla discussione che si è aperta sulla ‘questione Terme’ all’interno di Novas di Sardara, con l’auspicio che ciò possa alimentare il dibattito già ben avviato su una questione così importante per la nostra comunità.
Ho fiducia che in questo modo si possa, con il contributo di tanti, contribuire a migliorare idee e proposte. Ma con una discussione che va fatta ora, subito, anche perché, tra il passato ed il futuro c’è il presente, ci siamo noi, ciascuno con le proprie responsabilità, siano quelle di chi ha la facoltà di decidere, sia di coloro ai quali non resta altro che il dovere di denunciare le scelte sbagliate e di fare qualche proposta per cercare di correggerle.

ROBERTO MONTISCI

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STOP ALL’AUTOVELOX SELVAGGIO


Una direttiva del Ministro dell’Interno ha dato l’alt all’uso selvaggio dell’autovelox da parte dei comuni, che troppo spesso lo davano in appalto ai privati “per fare cassa” e talvolta per truffare gli automobilisti. D’ora in poi lo potrà utilizzare solo la polizia di Stato.


Anche il nostro comune è stato coinvolto in profondità in questa vicenda, per cui merita parlarne sia per il numero elevato di cittadini interessati, sia per il modo con cui l’amministrazione comunale ha gestito la vicenda facendo sorgere delicati problemi di trasparenza amministrativa, di corretta informazione dei cittadini e di coerenza di comportamenti. Tutte questioni utili a individuare per l’ oggi e per il domani che cosa deve essere un corretto modo di amministrare.
La nostra giunta comunale ha fatto largo uso dell’autovelox per il controllo del traffico utilizzando una convenzione con una società privata per l’istallazione e la gestione del servizio. La decisione è stata presentata sulla stampa dal sindaco come dettata dalla volontà di mettere finalmente ordine colpendo senza pietà i fracassoni e chi con la velocità eccessiva mette in pericolo l’incolumità pubblica, specie quella degli anziani e dei bambini. Si riprometteva cioè di riportare ordine e legalità.
Gli apparecchi di rilevamento della velocità sono stati istallati nelle strade comunali, ma anche nella provinciale per San Gavino, dove per i bassi limiti di velocità era ancor più facile colpire di sorpresa e fare cassa, molta cassa. La conseguenza è stata che ad un gran numero di sardaresi sono state recapitate multe molto esose. Quando lo sconcerto degli automobilisti è cresciuto e le proteste sono diventate sempre più virulente il sindaco ha scaricato tutte le responsabilità sulla società privata e sui vigili urbani dimenticando di averli incaricati con apposita delibera della giunta ed è arrivato a promettere la restituzione delle contravvenzioni, dimenticando gli impegni contrattuali con l’appaltatore.
Molti hanno pagato, numerosi si sono rifiutati, altri ancora si sono rivolti a legali di fiducia facendo ricorso al giudice di pace. Si è poi avuto notizia di casi in cui il giudice di pace ha dato ragione ai ricorrenti e torto al Comune, condannandolo a pagare anche le spese legali. L’Amministrazione comunale quindi, lungi dal restituire i soldi delle multe, si è costituita in giudizio. Poi l’attenzione è calata e non si è praticamente saputo più nulla. Ora però la conclusione imposta dal governo rende necessaria anche a Sardara una parola di verità e un’informazione completa su quello che è avvenuto.
Sarebbe pertanto opportuno che gli amministratori chiarissero quanti siano gli automobilisti colpiti dalle multe per eccesso di velocità, quanto sia stato pagato e quanto invece no, quanto sia stato incassato dal Comune e quanto invece sia finito nelle tasche della società appaltatrice. Merita attenzione anche sapere quanti siano i casi in cui il Comune sia stato trascinato in giudizio e quanto siano costate le condanne del giudice di pace.
Chiarire questi punti ha oggi importanza soprattutto per definire per l’oggi e per domani il modo di procedere che deve seguire chi va in Municipio per amministrare. Oggi, come è evidente, è sempre più necessario un modo di amministrare non solo teso ad assumere efficacemente le decisioni, ma viene richiesta una funzione di guida politica e, in senso lato, anche morale. Questo ruolo però si può esercitare se si ha credibilità ed autorevolezza, se con gli amministrati si conserva un rapporto di correttezza, se si spiega ciò che è necessario fare e come lo si vuole conseguire, se si opera coerentemente trattando tutti i cittadini allo stesso modo. Indispensabile è poi dare continuamente un’ informazione corretta e completa. Ed è per questo che si attenderebbero notizie da Piazza Gramsci, magari utilizzando il sito web del Comune.
Cerberus.

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lunedì 24 agosto 2009

UNA SCUOLA SBAGLIATA


Manca una ventina di giorni alla ripresa dell’attività scolastica e nelle famiglie compaiono nuovi zainetti, quaderni, colori, matite…, non si sa ancora però dove le mamme dovranno accompagnare i bambini che devono frequentare la scuola per l’infanzia.


La loro scuola infatti è diventata un cantiere, con i muratori che ci devono lavorare ancora a lungo. L’Amministrazione comunale con un finanziamento ottenuto dalla giunta Soru ha appaltato per un importo di 239.500 euro i lavori di ampliamento della scuola elementare di via Campania, da utilizzare come scuola materna. L’impresa ha sei mesi di tempo per completare le opere e, salvo imprevisti sempre possibili, potrebbe consegnare le nuove aule a fine anno. Gli amministratori avrebbero dovuto comunicare alle famiglie la soluzione individuata per consentire la frequenza dal primo giorno di scuola, ma lo faranno dopo l’interruzione agostana.
La soluzione scelta è la più funzionale o ce n’erano delle migliori? La scelta è sbagliata per alcune ragioni. L’ampliamento della scuola elementare con aule per la scuola dell’infanzia ci priva di spazi e di locali necessari alle vita scolastica dei bambini dai cinque ai dieci anni. Se prima delle scelta fatta si fosse ripreso in mano il Progetto Generale della scuola elementare, elaborato prima della costruzione del caseggiato esistente, ci si sarebbe accorti che proprio in quell’area erano previsti locali ( cucina, mensa…) indispensabili per organizzare il tempo pieno. In questi anni non sono stati realizzati e non ci si è posto il problema. In molti paesi vicini tuttavia la scuola a tempo pieno è operativa e non si capisce perché Sardara debba essere l’unico comune in cui non è neppure possibile organizzarla. Oggi, è vero, non è stata richiesta, ma se le preferenze delle famiglie in futuro dovessero cambiare non troverebbero una risposta positiva solo perché oggi facciamo una scelta non sufficientemente meditata. E per rispondere positivamente si dovrebbe forse demolire ciò che si costruisce oggi? E tutto ciò avviene mentre disponiamo di un notevole patrimonio di strutture scolastiche a disposizione.
In secondo luogo che tipo di complesso architettonico verrà fuori da questo innesto? La scuola elementare è e può essere costruita su due piani, la scuola dell’infanzia solo al piano terra ed in più deve rispondere a esigenze diverse con conseguenze anche sul piano dell’immagine esterna. Speriamo solo che il tecnico incaricato riesca ad armonizzare bene le due parti evitando nell’aspetto un effetto sgradevole ed il caos dell’ “edile non finito”. Ben diverso sarebbe stato ricostruire la scuola dell’infanzia nell’area di via Trento armonizzando l’edificio con l’adiacente centro storico e contribuendo a renderlo vitale.
Infine la scelta di restare in via Trento avrebbe consentito, nella fase di esecuzione dei lavori di evitare qualsiasi disagio ai bambini.
Che cosa ha spinto gli amministratori a favorire questa soluzione? E’ probabile che si speri in una riduzione dei costi dei servizi scolastici. Se fosse così ci troveremo di fronte ad un atteggiamento classico della destra, che punta sempre a limitare l’istruzione dei ceti popolari e privilegia la scuola privata rispetto a quella pubblica. Forse è il caso di ricordare che a suo tempo la destra si dichiarò contraria alla creazione a Sardara della scuola media obbligatoria perché avrebbe reso impossibile trovare manodopera a buon mercato, ad esempio per portare al pascolo i buoi.

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COME ERAVAMO 150 ANNI FA

Si numerano anime 2400, distinte in maggiori di anni 20 maschi 598, femmine 590, e in minori, maschi 552, femmine 560, distribuite in famiglie 570.


Lodasi il carattere dei sardaresi, perché studiosi del lavoro, rispettosi della legge, delle autorità e delle persone onorevoli, pacifici, religiosi e sobri: quindi i delitti sono rarissimi.
Considerati nel fisico sono persone robuste e di forte sanità, ma di migliori forme gli uomini, che le donne. Le malattie più frequenti e spesso micidiali sono le flogosi addominali nell’inverno e nella primavera, e le febbri periodiche e perniciose. Muoiono molti di dolore laterale talvolta per la poca attenzione a premunirsi contro le brusche variazioni atmosferiche. Non sono rari gli ottuagenari e vedonsi esempi di longevità secolare nella classe meno disagiata.
Per la cura della salute si hanno un dottore chirurgo, 2 flebotomi, 2 farmacisti: per le partorienti 2 levatrici.
La vaccinazione si fa con rare contraddizioni.
In numero medio si computano annualmente nascite 80, morti 45, matrimoni 20.
I guadagni dei figli e delle figlie lasciansi ai medesimi, e con questo provvedono per il matrimonio i giovani acquistando gli strumenti agrari, il carro e i tori, le fanciulle tutto quello che serve per l’addobbo della casa.
Sono applicate all’agricoltura persone 740, de’ quali 490 maggiori e 250 minori; alla pastorizia 80, a’ vari mestieri di ferrari, falegnami, muratori, fabbricatori di mattoni e tegole, sarti, calzolai, sellai 65, carrettieri 50. Di questi mestieranti non pochi sono compresi nel novero degli agricoltori.
Nelle professioni liberali sono a notarsi cinque notai, e quelli che s’indicarono nella cura della salute pubblica.
Le famiglie dei nobili sono tre, gli Orrù, i Serpi e i Diana. Le più ricche saranno dieci, le benestanti 40, le poco o nulla agiate 460.
Le proprietà sono maldivise, perché le 50 maggiori sono due terzi di tutta la massa delle proprietà. Se altro non si possiede si ha almeno propria la casa.
Quasi in ogni casa si ha il telaio, e nelle più agiate, dove sono molte ancelle, ve n’ha due o più. Lavorasi in lana e lino, e si fabbricano tele e coperte di letto (fanugas) per il proprio uso.
Le ricreazioni pubbliche si riducono a’ soli balli nei giorni festivi. Lo zampognatore conducesi dai giovani, e questi contribuiscono tanto di grano per ciascuno, che si ha una somma di circa 30 starelli.
La scuola primaria frequentasi da circa 20 fanciulli con pochissimo profitto. Le persone che in tutto il paese sappiano leggere e scrivere, esclusi i preti, non sono più di 20.
Il consiglio comunale è composto di 7 soggetti.
Il corpo barracellare per la custodia delle proprietà non ha più di 17 uomini, compreso il capitano.
Angius- Casalis. Dizionario.

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PERCHE' STARE ZITTI?


Perchè una tranquilla persona di quasi cinquant’anni (io) va in giro con una maglietta che davanti porta scritto: Perchè stare zitti?” e sul retro una frase perentoria: “Papy e solo un gran buffone”?


Eccentrico, esaltato, buffone lui stesso, ridicolo, impazzito?
A chi mi domanda qualcosa in merito ho semplicemente risposto che non potevo stare zitto, sentivo il bisogno di esternare una rabbia che sentivo dentro e che ognuno poteva leggervi quello che meglio credeva e così è stato come conferma il dialogo che vi riporto senza citare chiaramente il mio interlocutore che per comodità chiamerò Sempronio.
Sempronio: Ciao Gianfranco, e itta esti : “PERCHE' STARE ZITTI?”...che vuol dire?
Io: Leggi la risposta dietro.
S. “PAPY SEI SOLO UN GRAN BUFFONE”. Eh, ci vai duro, ma a chi ti riferisci al Berlusca?
Io: Perché hai pensato a lui?
S.: (ironico) Perché lui ha frequentato minorenni e donne che lo chiamano affettuosamente “PAPI”.
Io. Si ho letto anch'io, però io ho scritto PAPY con la Y e non con la I e nonostante ciò tu pensi che io mi riferisca a lui?
S. Ma certo, questa cosa coprirebbe di ridicolo me, te, qualsiasi persona… figurarsi il presidente del Consiglio della Repubblica italiana… e poi buffone...più chiaro di così!
Io. Perché tu consideri Berlusconi un buffone?
S. E come dovrei definirlo un Presidente del Consiglio che racconta barzellette di dubbio gusto e spesso proprio pesanti, che definisce “Capò” un parlamentare tedesco facendo arrossire il parlamento europeo e soprattutto gli italiani che rappresenta, che fa le corna nelle foto ufficiali, che canta accompagnato da Apicella, accoglie primi ministri stranieri in bandana, fa i trenini con “donnine” nella sua villa, viene ritratto con “donnine” discinte sulle ginocchia, che ospita politici nudisti nella sua villa, che vanta miracoli su miracoli fatti a favore dell'Italia e degli italiani che a confronto Padre Pio è un dilettante e Gesù è un suo apprendista...Sai una delle sue ultime battute? “Non sarò un santo, ma scopo da dio”.
Io, Perchè la moglie lo ha vantato in pubblico?
S. Ma che moglie, Veronica, la seconda moglie, l'ha mollato perché se la fa con le minorenni e con altre donne a cui regala gioielli con tartarughe, farfalle, oppure promette carriera politica o nel mondo dello spettacolo. Questa “barzelletta” l'avrebbe raccontata ai suoi collaboratori per vantarsi di quello che ha registrato quella escort, la D'Addario!
Io: Cos'è una ESCORT?
S. Oh, ma ci fai o ci sei? Una ESCORT è una prostituta.
Io E perché la chiami escort?
S. Perché nel mondo dei V.I.P. usano questi termini più eleganti. In pratica mica la trovi sui marciapiedi (quelle sono scandalose e vanno rimosse), sono “donnine”, ovvero ”pezzi di figliole”che ti fanno “compagnia” per un sacco di soldi...
Io: E Berlusconi le pagava?
S. Macché lui, a detta del suo avvocato, era solo “l'utilizzatore finale”.
Io ...e cioè...?
S. Sei così fastidiosamente ingenuo che mi costringi ad essere volgare...se le “trombava” e qualcuno le pagava per lui, qualcuno che aveva interesse a farsi bello ai suoi occhi sperando di ricavarne qualche affaruccio milionario...
Io Scusa, ma ti sbagli. Io Berlusconi lo ricordo presente al cattolicissimo FAMILY DAY a difendere i valori della famiglia cristiana, ricordo le sue parole a sostegno delle scuole paritarie cattoliche fondamentali per la difesa e diffusione dei valori cristiani e poi anche tu hai accennato all'impegno contro la prostituzione...Mi dispiace, ma non ci credo. Al massimo posso accettare l'idea che abbia commesso qualche sbaglio di cui sarà profondamente pentito...
S. Pentito, dici? Io ricordo che il pentimento cristiano presuppone la “CONTRITIO CORDIS”, la tristezza per il peccato commesso, ma lui dice che la gente lo accetta e lo ama così come è, ammette di non essere un santo ma si vanta di scopare da dio...Non mi risulta che abbia chiesto scusa alla moglie, ai figli, a quei cattolici di cui dice di condividere i valori, a tutti gli italiani che non meritano le sue balle e che comunque senza essere bacchettoni vivono con principi morali basati sul rispetto della persona di cui la componente sessuale è un aspetto integrante.
Io Stando così le cose, non posso darti torto...Pensa se facessimo noi soltanto un po' di quello che tu dici lui abbia fatto rivestendo il suo ruolo istituzionale, come minimo la gente ci scanserebbe. Non oso immaginare cosa direbbero di me le persone che frequentano la parrocchia... figurarsi quello che avranno detto di lui le gerarchie ecclesiatiche…
S. Sbagli, la gerarchia della chiesa dice e non dice, qualche prete si indigna, così qualche cristiano. Solo con Famiglia Cristiana mi sono sentito confortato, ma molti stanno zitti, molti fanno battutine assolventi ed altri, sotto, sotto, lo invidiano e lo prendono come modello.
Io Non ci credo e non ci voglio credere. Quando la Chiesa prende posizione è forte e chiara ed ha gli strumenti per farsi sentire. Se lo fa sui contraccettivi figurarsi su queste cose … Ricordo con piacere le parole gridate di Papa Woytila contro la mafia, chiare, nette...una luce nelle tenebre come dovrebbe essere in questo caso...
S. E invece tutto tace...
Io Non essere così pessimista. Io penso che ad esempio a Sardara si discuterà di questo nelle famiglie, in chiesa, nelle sezioni politiche, nella società civile in genere. Tu ad esempio cosa diresti ai sardaresi su questa vicenda?
S. Che “papi” è un gran buffone e che coloro che stanno zitti sono come lui, complici per ignavia o per piacere.
Io Questo lo stai dicendo tu non io...
S. Ma la tua maglietta....
Io In questa frase ognuno è libero di leggerci quello che vuole. Tu ci hai letto un giudizio negativo su Berlusconi, altri ci leggeranno un complimento o forse un riferimento ad altro, chissà...Ciao Sempronio, devo andare e... grazie per la chiacchierata, forse la maglietta serve proprio a questo!
Gianfranco Sperati

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giovedì 13 agosto 2009

Sardara: nessuno sviluppo senza condivisione


Una strategia orientata al tanto atteso sviluppo dell’area territoriale di Sardara, ovvero un piano d'azione di lungo termine usato per impostare e successivamente coordinare le azioni tese a raggiungere la sua crescita economica e sociale, per realizzarsi deve rispettare delle regole e condizioni fondamentali, senza le quali nessuna strategia può avere successo.


Una strategia di sviluppo locale non può, ad esempio, realizzarsi senza il coinvolgimento attivo di tutti gli attori presenti sul territorio, siano essi rappresentati da pubblica amministrazione, aziende, portatori di interesse vari. Soprattutto, una strategia di sviluppo non può realizzarsi senza il pieno coinvolgimento e la condivisione degli obiettivi da parte della cittadinanza. Nell’ambito della definizione e attuazione di politiche territoriali, è essenziale una profonda lungimiranza da parte degli organi istituzionali oltre che un’ampia conoscenza di quelle che sono le esigenze del territorio e dei suoi abitanti. Per poter realmente rappresentare le aspettative e interpretare le necessità della cittadinanza è necessario innescare un processo di partecipazione che permetta di farne emergere i bisogni reali e le prospettive di crescita. Nell’ottica di una rappresentanza democratica, non è soprattutto pensabile che la pubblica amministrazione si faccia carico della responsabilità di interpretare i bisogni della cittadinanza senza prima essersi interfacciata con essa perché, se non si è realmente coscienti di quelle che sono le esigenze di territorio e dei cittadini e questi ultimi non hanno ancora acquisito una vera consapevolezza dei loro stessi bisogni si rischia di prendere decisioni parziali, non legittimiate e che, seppure giuste, non essendo condivise minano la partecipazione della popolazione alle varie attività e la comprensione e accettazione delle stesse. Perché una strategia di sviluppo abbia invece successo è indispensabile creare nella cittadinanza quella consapevolezza e sensibilità verso le tematiche oggetto della strategia tali per cui questa assuma ancora più forza, valenza e radicamento. La popolazione deve essere coinvolta in tutti quelli che sono i suoi interpreti (portatori di interessi generali e di settore), ma anche prevedere una forte assunzione di responsabilità da parte di ogni singolo attore, di ogni singolo cittadino.
Una strategia partecipata e condivisa pone le basi per affrontare problematiche e decisioni pubbliche rispetto a situazioni spesso caratterizzate da complessità e incertezza, perché solo raccogliendo più punti vista e esigenze è possibile garantire un coinvolgimento ottimale della cittadinanza all’interno dei vari processi. E’ la partecipazione della cittadinanza che deve fungere da cardine per la definizione di quelli che sono i bisogni del territorio e dal quale fare sfociare le varie azioni necessarie alla loro realizzazione. E’ pertanto auspicabile che, in un contesto come quello attuale, dove Sardara si trova in una condizione per la quale qualsiasi decisione presa relativamente alla sua crescita economica condizionerà, qualunque siano le scelte effettuate, lo sviluppo del paese per parecchi anni a venire, la pubblica amministrazione si faccia promotrice della realizzazione e espressione di un movimento che, partendo dal basso, porti a far emergere le volontà e anche le difficoltà della popolazione, oltre che le varie prospettive di crescita desiderate, in modo da prendere delle decisioni che siano realmente rappresentative e non, invece, calate dall’alto sulla base di interpretazioni arbitrarie e circoscritte, annunciate senza possibilità di modifica e, cosa ancora più grave, non condivise e comprese. Noi Sardaresi ci aspettiamo, quindi, di prendere parte ai processi decisionali che delineano le strategie di sviluppo futuro del nostro paese, e non di assistere come spettatori passivi e inerti al processo che porterà alla realizzazione dello scenario che condizionerà in maniera irreversibile il futuro nostro e dei nostri figli.

Roberta Atzori

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QUALE TERMALISMO ?

Non essendoci stato alcun dibattito pubblico o incontro con la cittadinanza, mi riesce difficile capire quale sia l’indirizzo che gli amministratori comunali vogliono dare allo sviluppo del nostro compendio termale.

Non si conosce il progetto né l’obiettivo che intendono perseguire. Per orientarsi ci si deve affidare alle voci che circolano in paese e ad alcuni dati concreti che sono di pubblica conoscenza. Giovedì scorso è stato formalizzato l’accordo tra la provincia di Sassari e una Associazione Temporanea di Impresa ( AT I ) per la gestione delle Terme di Casteldoria ad un anno esatto dalla presentazione del “ Piano Industriale”. Gli imprenditori, le associazioni, i commercianti, i cittadini tutti hanno avuto 365 giorni di tempo per informarsi, discutere, fare osservazioni, proposte, in una parola conoscere quali erano le intenzioni degli amministratori.
A Sardara cosa si è fatto? Questo è un primo dato di fatto.
L’ A.T.I. che si occuperà delle Terme di Casteldoria è composta da “Hotel Taloro s.a.s” dell’imprenditore Bachisio Falconi per anni alla guida degli albergatori del nord Sardegna e dalla “San Consulting s.a.s.” di Giovanni Sanna, medico, operatore esperto del settore termale ormai da lungo tempo. E l’A.T.I. alla quale è stata affidata la struttura termale dei sardaresi da chi è composta? Da una Agenzia di Viaggi e dal signor Antonio Denughes titolare di un’impresa che non ha mai operato, probabilmente costituita in tutta fretta per poter partecipare alla gara. Il piano industriale di questi signori dov’è? Quali competenze hanno nel campo termale? Siccome non reputo così sprovveduti i nostri amministratori mi viene difficile capire come mai abbiano fatto questa scelta. C’è qualcosa che i cittadini non sanno? Infine, navigando in internet, ci si imbatte in un signor Antonio Denughes che ha avuto grossi guai con la giustizia. Speriamo di tutto cuore che si tratti di omonimia, altrimenti i nostri amministratori da quella che loro ritenevano la padella Boaretto vanno a finire dritti-dritti nella brace. Speriamo tanto che questa sia solo una voce che circola in paese e non un brutto dato di fatto. Ripeto che non avendo avuto la possibilità di discuterne ci si affida a quelle poche cose che si hanno in mano. Una di queste è il Piano Urbanistico Comunale (PUC) che ha modificato il vecchio piano per le terme concedendo certi interventi che insospettiscono non poco. Dalla collinetta di “Prupaxia” , all’incirca, fino alle Terme, c’è la possibilità di costruire case sparse con la giustificazione dell’albergo diffuso. Nel nostro bel Centro Storico ci sono decine di case disabitate, e molte, in vendita. Gli imprenditori che vogliono investire, l’albergo diffuso possono realizzarlo nell’abitato di Sardara, come avviene del resto in tute le realtà termali, nessuna esclusa. Anzi è proprio nei centri storici che vengono localizzati i cosiddetti alberghi diffusi, vedi Bosa in Sardegna e tantissimi centri del continente per esempio Fiuggi. Nella parte vecchia di questo importante centro termale una serie quasi ininterrotta di casette tradizionali perfettamente ristrutturate, con infissi di pregio e lucide maniglie di ottone, accompagna il visitatore in quelle stradine linde ed ordinate, senza auto e quindi in un silenzio quasi irreale, dove i pochi abitanti del borgo, per lo più anziani, fanno salotto nella bella stagione. Le strade si rianimano nei fine settimana e nei periodi di ferie quando i proprietari di quelle casette con tutti i confort si riversano nel famoso centro termale. Non si capisce perché qui a Sardara l’albergo diffuso lo si voglia realizzare in aperta campagna.
Dopo questi dati di fatto passiamo alle voci che circolano in paese.
Sembra ci sia un certo movimento interessato a contatti con i proprietari dei terreni verso le terme. Si parla di richieste di acquisto quasi a voler ripetere esperienze già vissute in un’altra parte del nostro territorio. Si vocifera della realizzazione, sempre nel compendio termale, di una grossa struttura commerciale. Tutto questo che c’entra con il termalismo? Sembra molto più consono ad una speculazione edilizia: compro per una miseria terreni agricoli poco produttivi, il PUC mi consente di costruire, realizzo seconde case e strutture commerciali, se poi il termalismo diventa un optional chi se ne frega? L’importante è il business edilizio.
Non sarebbe il caso di una bella assemblea pubblica in cui vengano chiariti tutti questi dubbi o giustificate le scelte effettuate?
Luigi Melis

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martedì 11 agosto 2009

CHI SIAMO.


Su questo blog e su Facebook alcuni lettori si sono chiesti, qualcuno forse in modo retorico, chi siano quelli di Novas di Sardara.

Il primo intervento che abbiamo pubblicato aveva proprio questo titolo e contemporaneamente abbiamo reso noto lo Statuto di Costruirefuturo, l’associazione politico culturale che ha dato vita a Novas, anche se quest’ultima resta un’organizzazione distinta e autonoma.
Novas di Sardara è un blog, non un giornale on line vero e proprio, solo che è stato avviato da un gruppo di persone, e non da una sola, che hanno ideali comuni e fanno riferimento alla sinistra riformista e al nuovo Partito Democratico, si riuniscono in via Umberto 1°, nella sede storica della sinistra del paese.
Le convinzioni comuni facilitano la discussione interna e fanno si che la maggioranza degli interventi siano firmati da uno singolo perché rispondono alla sua responsabilità mentre per altri, talvolta significativi, si vuole evidenziare la responsabilità collettiva e quindi non vengono sottoscritti da un singolo. Finora non abbiamo usato pseudonimi, ma non è escluso che lo si possa fare. Qualcosa del genere, fatte le debite differenze, capita anche per i giornali e per le loro direzioni.
Novas di Sardara è un blog aperto agli interventi di chi ha altri orientamenti, di sinistra o democratici in senso lato. Può trovare spazio chi vuole dialogare nel rispetto reciproco delle opinioni e delle persone.
Il blog è nato per creare un luogo di discussione democratico e per dare voce a persone, fatti e opinioni che non hanno altri strumenti perché sulle questioni locali la stampa regionale e provinciale è improntata da spirito conservatore ed è strettamente controllata dalla destra. In un’Italia in cui i media nazionali e locali sono sempre più occupati da un unico centro di potere sentiamo un’insopprimibile spinta a garantire spazi, seppur molto modesti di libertà e di pluralismo. Con queste idee abbiamo pensato di darci un modo di fare trasparente, non ambiguo. A chi dovesse avere una curiosità ancora più spiccata sui compilatori materiali degli interventi suggeriamo di far riferimento al comitato di coordinamento e, se non bastasse neppure questo, di scegliere a piacere. Se non bastasse neppure questo e se qualcuno cavillasse perché preferirebbe che Novas non ci fosse…Amen!

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Sardara: la proprietà della terra dai diritti collettivi all’individualismo possessivo

Sfogliando la matrice dei proprietari della villa di Sardara, conservato nel fondo Ufficio Tecnico Erariale dell’ Archivio di Stato di Cagliari, apprendiamo che i proprietari iscritti al cosiddetto Vecchio Catasto erano 960, compreso il Comune di Sardara per le parcelle non intestate.


Vedi il seguito dell'articolo a questo link: http://www.novasdisardara.it/pernovas3.pdf

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Sardara: l'utilizzo dello spazio agrario


Lo spazio agrario in Sardegna tra Settecento e Ottocento è dominato dalla biddazzone o viddazzone, cioè l’insieme della terra destinata all’aratura.

Questa ampia porzione di territorio era situata solitamente in prossimità del villaggio ed era contrapposta al paberile, la terra che veniva destinata al pascolo, dal quale era separata dalla cosiddetta frontera, ovvero una siepe o dei pali che segnavano il confine. All’interno della biddazzone erano ritagliati alcuni spazi per il pascolo degli animali da lavoro (pradu de siddu, pradu de s’egua, segada de sa jua).
L’assegnazione al contadino del suo terreno da coltivare avveniva subito dopo il raccolto e si procedeva con l’estrazione a sorte. Successivamente si doveva liberare il terreno dal bestiame al pascolo e poi poteva avvenire la definitiva presa di possesso.
Una parte del territorio era diviso in tanche, cioè dei terreni chiusi da muretti a secco o siepi, che però potevano essere soggette all’abbattimento delle chiusure qualora fossero ricadute nell’ambito della viddazzone.
I terreni destinati al pascolo erano suddivisi in padru per il bestiame ammansito e in saltu per il bestiame rude. Ma gli sconfinamenti erano frequenti e spesso il bestiame andava finire sui terreni coltivati danneggiando il raccolto e scatenando le furiose e spesso sanguinose liti fra contadini e pastori.
Le tecniche di coltivazione utilizzate nell’isola erano ancora arcaiche: i contadini non conoscevano i benefici dei concimi e i mezzi di lavoro erano inadeguati. Molti contadini utilizzavano ancora la tecnica del bedustu, che consisteva nell’abbruciamento delle stoppie sui terreni nei quali si era seminato l’anno precedente.
Poco praticata era invece la tecnica del berenile, cioè la coltivazione di un terreno alternata a uno o due anni di riposo. Questa tecnica, seppur più dispendiosa di energie, aveva rese nettamente superiori al bedustu: 10 a 1 contro 2 a 1.
Come è intuibile la produzione granaria era il perno dell’economia agricola isolana: si può affermare che, nonostante le variazioni dovute a carestie e condizioni meteorologiche avverse, la produzione media di grano si aggirava per tutto il settecento a circa 1 milione e mezzo di starelli, salendo a circa 2 milioni nel secolo successivo. Per l’orzo invece la produzione si stabilizzò tra i 400 mila starelli e i 500 mila, con la differenza rispetto al grano che questo cereale veniva tenuto quasi interamente all’interno dell’isola sia per l’alimentazione del bestiame che per gli abitanti.
Ad ogni raccolto seguivano alcune operazioni fondamentali di imposizione regia, mutuate dal sistema spagnolo, che stabilivano un controllo sulla produzione e allo stesso tempo regolavano il mercato interno e le esportazioni: la consegna, con la quale si eseguiva una ricognizione accurata del grano ammassato nei magazzini di varia proprietà (baroni, prebendati, canonici, Monti granatici); l’insierro, ovvero la quantità di granaglie che veniva obbligatoriamente immagazzinata a favore delle città e la denuncia, che rappresentava invece la dichiarazione dei diversi produttori sulla variazione delle scorte dopo la consegna con la giustificazione delle variazioni in aumento e in diminuzione.
Infine dall’autorità pubblica veniva fissato il cosiddetto afforo ovvero il prezzo di imperio del grano per il mercato interno. Per le esportazioni era invece necessario pagare i diritti di sacca, anche questi mutuati dall’ordinamento spagnolo nel quale però erano dei permessi gratuiti per l’esportazione, che nel periodo sabaudo divenne una vera e propria tassa, anche abbastanza gravosa.
Il villaggio di Sardara aveva a disposizione 3500 starelli per la biddazzone, il prato era di 1000 starelli, i terreni incolti ammontavano a 3500 starelli, che corrispondono ai terreni del salto di Monreale, di cui 1500 starelli si considerano prato per il bestiame domito, e gli altri 2000 per il paberile a pascolo per il bestiame rude, inoltre esistevano regole precise per i diritti collettivi e ademprivili su questo salto, ad esempio per il legnatico (in particolare corbezzolo e lentischio). Boschi e selve rientravano tra i 3500 starelli incolti. Nella parte che alternava viddazzone e paberile si pagavano i diritti feudali in granaglie e denaro, e per gli anni a pascolo rude il deghino sulle pecore e lo sbarbaggio dei porci.
Roberto Ibba

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domenica 9 agosto 2009

Interrogazione raccolta differenziata


Nella seduta del Consiglio Comunale di mercoledì 29 luglio u.s. Si è portata in discussione l'interrogazione presentata dal Gruppo del “Partito Democratico” in merito all'espletamento del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti.

Nel dibattito in aula abbiamo evidenziato una serie di negligenze e di disagi legati al malfunzionamento del servizio in oggetto. Carenze, sostanzialmente legate all'orario di ritiro, che si protrae generalmente fino a tarda mattinata con delle ripercussioni chiaramente negative per la comunità, oltre ai problemi determinati dal livello di differenziazione ridotti notevolmente in seguito al mancato utilizzo delle buste trasparenti per il secco non riciclabile. Ulteriori negligenze segnalate sono riconducibili all'utilizzo di macchinari obsoleti e malfunzionanti con relative perdite di liquami dannosi e infestanti che si riversano nelle strade del centro abitato. Disservizi questi che vanno a ledere l'immagine complessiva del paese che si presenta sporco e trascurato contravvenendo agli standards che ci hanno permesso di essere insigniti del marchio “Bandiere Arancione” e sostanzialmente contrari per un paese che punta al turismo e sul termalismo. A seguito delle nostre considerazioni la maggioranza ha dovuto prendere atto delle difficoltà e delle negligenze riscontrate. Come da noi auspicato la Giunta si è assunta l'impegno a garantire un maggior controllo con la possibilità di intervenire nell'applicazione di penalizzazioni e sanzioni a cario dell'azienda atta all'espletamento del servizio.
A noi il compito di continuare a vigilare e intervenire ulteriormente qualora gli impegni presi non venissero rispettati e qualora si riscontrassero ulteriori disservizi a discapito dei cittadini.
I consiglieri del Partito Democratico
Giuseppe Garau
Renato Atzori
Andrea Caddeo

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sabato 8 agosto 2009

Sardara: luogo e identità.


È mia intenzione condividere alcuni dei brani più interessanti del mio lavoro di ricerca per la tesi (discussa il 24 aprile 2008), non per mero esercizio di autocompiacimento, ma per rendere disponibili le informazioni raccolte nei mesi della ricerca e cercare di acquisirne altre da parte di tutti i Sardaresi, con l'auspicio che il lavoro si possa completare grazie ai vostri suggerimenti e alle vostre indicazioni.

Lo studio di un luogo, della sua storia, degli uomini e delle donne che vi hanno vissuto, ci impegna in un lavoro di attenta riscoperta delle origini, che però non deve sfociare nella mera elencazione di abitudini e manifestazioni popolari, col rischio di ottenere una visione distorta della stessa storia.
Fondamentale è individuare il concetto stesso di luogo, inteso come intersezione di spazio, tempo e attività umana, che rende gli stessi luoghi particolari e diversi gli uni dagli altri.
La ricerca risulta ancor più affascinante, e allo stesso tempo impegnativa, quando il luogo individuato è quello in cui si è nati e si è vissuti, in cui si ritrovano i propri avi, in cui si intrecciano le proprie relazioni parentali e sociali.
In questi ultimi anni, spinti soprattutto dal rinato interesse per la storia e lo sviluppo locale, storici, sociologi e antropologi hanno prodotto numerose ricerche sul concetto di luogo e di localizzazione.
Interessante è partire dalla definizione che Marc Augè ci fornisce di «luogo antropologico»: costruzione concreta e simbolica dello spazio, che da sola non potrebbe rendere conto delle vicissitudini e della vita sociale, ma alla quale si riferiscono tutti coloro ai quali essa assegna un posto, per quanto umile e modesto esso possa essere.
Il luogo antropologico ha tre caratteri che lo contraddistinguono: è identitario, relazionale e storico. Identitario perché riferito alla nascita, alla casa, ai confini del villaggio. Ma il solo aspetto identitario rende il concetto di «luogo» statico, riferito soltanto alla superficie e allo spazio. Per questo occorre inserire l’aspetto relazionale dei diversi singoli che occupano quella porzione di spazio. E le relazioni reciproche tra individui creano quel concetto di «identità condivisa» che conferisce loro l’occupazione dello stesso luogo comune. Infine il «luogo» è storico nella misura in cui coloro che vi vivono possono riconoscervi dei riferimenti che non devono essere oggetti di conoscenza. I segni del luogo sono immediatamente comprensibili a chi vi è nato e vi abita, senza il bisogno del ricorso alla storia come scienza. I rituali degli antenati che si ripetono, i segni sul territorio, i rapporti di produzione sono gli aspetti legati al luogo che fanno apprendere a chi lo vive la propria differenza rispetto all’altro. L’habitat del luogo antropologico vive nella storia, non fa storia.
Il luogo antropologico ha poi una forte dimensione geometrica. Linea, intersezione e punto di intersezione sono le forme elementari dello spazio sociale. Queste forme sono convertite nel luogo antropologico in itinerari che gli uomini precorrono per raggiungere un luogo, dai crocevia dove si incontrano e si riuniscono, dai centri più o meno monumentali, religiosi o politici, che definiscono a loro volta spazi e frontiere al di là dei quali altri uomini si definiscono in rapporto ad altri centri e ad altri spazi.
Il «luogo» Sardara ha origini antichissime, risalenti al periodo nuragico, e le testimonianze dell’insediamento abitativo sono costanti per tutta l’età moderna e contemporanea. Non si tratta dunque di un villaggio di nuova fondazione, e non si trovano testimonianze neppure di una sua eventuale rifondazione. Come vedremo in seguito però Sardara era un luogo centrale per alcuni villaggi più piccoli che stavano intorno: Villa Abbas, Serzela, Borgo del Castello di Monreale. La sua centralità è dovuta anche al fatto che storicamente passava nel suo territorio la strada che collegava il capoluogo Cagliari con Oristano e poi con il Capo di Sopra. Centralità rimarcata anche in epoca giudicale con la costruzione del Castello di Monreale.
Se diamo nuovamente uno sguardo all’antichità ritroviamo Sardara come paese delle acque, con le sue terme e il suo pozzo nuragico situato al centro dell’abitato.
Partendo dunque dalla ricostruzione di questo contesto, inserito nel contesto più ampio della storia sarda ed europea, l’analisi si concentrerà in modo particolare sulla costruzione dello spazio agrario, con la formazione della proprietà agraria, la frammentazione delle terre, e i gruppi famigliari (ereus) dominanti.
Il periodo di riferimento sarà quello di snodo anche per il Regno di Sardegna: quegli anni tra Settecento e Ottocento, caratterizzati dall’opera di funzionari illuminati e forse poco apprezzati ancora oggi da una certa storiografia sarda. Si pensi al Bogino e al Cossu, e alle opere del Gemelli e di Manca Dell’Arca, che hanno cercato di riallineare, forse in maniera brusca e incompleta, la Sardegna al contesto economico europeo, facendola uscire dal Medioevo ritardato in cui la Sardegna era precipitata negli ultimi anni di dominio spagnolo.
Roberto Ibba
(1. continua)

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giovedì 6 agosto 2009

FALSA RIPARTENZA DELL’ALBERGO


Di quello che fa il Comune sulle Terme non tutto arriva sulla stampa.


E’ il caso di una mozione presentata ed approvata dalla maggioranza di destra, che indica la strada da seguire per riavviare l’attività dell’albergo termale.
La struttura è ormai chiusa dal 4 giugno e oggi non è possibile prevedere la sua riapertura ed il ritorno al lavoro e alla serenità dei suoi 27 dipendenti. Dopo l’ultima riunione del Consiglio comunale sappiamo però che i tempi non saranno brevi. Si rischia la fuoruscita dal mercato dell’azienda per un lungo periodo e difficoltà crescenti per la ripresa. Continuerà a cadere l’immagine di una stazione termale già sfregiata da una lunga e negativa campagna di stampa.
Il problema nuovo è che la società Millepini di Montegrotto Terme è andata via portando con sé arredi, attrezzature, beni di vario tipo, che evidentemente aveva comprato con soldi propri e di cui oggi l’albergo deve essere nuovamente dotato. In più, come dice la mozione approvata dalla maggioranza, “la struttura termale necessita di urgentissimi ed inderogabili lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria (impianti idraulici, impianti elettrici, piscina, infissi e vari lavori edili), di fornitura di beni”.
Tutto questo è ritenuto “propedeutico alla sottoscrizione della convenzione e consegna della stessa al nuovo gestore”. Di conseguenza, poiché gli interventi non sono stati ancora neppure precisamente individuati e quantificati, ma si sente stimare un fabbisogno di circa seicentomila euro, i tempi della consegna dell’albergo e della sua riapertura si allontanano.
Come se non bastasse la mozione da atto che il Comune non dispone di questa cifra e informa che neppure la società sassarese ha le risorse per mettere a posto i locali e per il riavvio della gestione, come appariva già chiaro dal fatto che la banca aveva rifiutato di certificare le sue capacità finanziarie. Il Consiglio comunale ha individuato però la strada da seguire decidendo comunque di affidare questo compito alla nuova società, che è disposta a chiedere un prestito alle banche e a scontare l’importo dal canone d’affitto dei prossimi dieci anni.
Quanto costerà questo mutuo? A quanto ammonteranno gli interessi bancari? Per ora non si sa e quella da dare alla società appare una delega in bianco. Ciò che è stato messo ben chiaro è che il Comune garantirà la banca firmando un’apposita fideiussione. Per cui se la società dovesse aver ulteriori difficoltà a finanziare le necessarie spese di riavvio della struttura il Comune potrebbe trovarsi davvero nei guai, con molti debiti da onorare e con un gestore in grado di prendere il volo senza pagare dazio. La società in questo modo si tutela dai rischi ed anzi potrebbe persino guadagnare qualcosa dal compito di gestire appalti e forniture, addirittura curerebbe queste attività preliminari senza prendere in carico l’immobile e l’attività e quindi senza assumersene piena responsabilità.
Come si vede siamo all’atto primo di una vicenda che si annuncia alquanto incerta. Si è scelta una strada, quella di scontare lavori e prestazioni dal canone d’affitto,che a suo tempo è stata aspramente avversata dagli attuali amministratori. Allora era una scelta pessima, oggi è ritenuta la migliore possibile. Con tanti saluti alla coerenza. In secondo luogo era proprio necessario provocare un simile cortocircuito? Non si potevano individuare vie d’uscita meno devastanti?
La redazione.

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martedì 4 agosto 2009

SCUOLA E TERRITORIO


E’ dei giorni scorsi la notizia secondo la quale la lega avrebbe proposto un emendamento di legge per prevedere tra le materie oggetto della valutazione degli insegnanti, storia, cultura e parlata della regione dove intendono insegnare.


Notizia prontamente ridimensionata e limitata ai primi due elementi.
Le reazioni in ogni caso hanno scatenato in diversi blog accesi dibattiti e alcune testate giornalistiche hanno promosso un sondaggio on line. Tali sondaggi, lo sappiamo, non hanno alcun valore statistico, valgono però per l’interesse suscitato su questo fondamentale aspetto della nostra educazione. Tuttavia sono significativi i risultati del 74% di favorevoli contro il 24% di contrari nell’Unione Sarda. Nel Corriere della Sera invece il risultato appare capovolto nelle seguenti dimensioni 32,9% di SI e 67,1% di NO. Ognuno legga questi numeri come meglio crede. http://unionesarda.ilsole24ore.com/Sondaggio.aspx?id=136655
http://www.corriere.it/appsSondaggi/pages/corriere/d_5548.jsp
Ad oggi prevale un sistema scolastico-educativo centralista tutto incentrato sulla negazione delle culture locali e regionali, con programmi ministeriali propugnatori della cultura unica di stato affidata ai suoi evangelizzatori, la classe docente e ai loro vangeli: i libri di testo (non è sotto accusa il singolo insegnante ma il sistema). Libri regolarmente concepiti e stampati nel continente, tutti più o meno uguali, tutti più o meno approssimativi almeno nella parte quasi inesistente riservata alle storie regionali. Quelli di storia appunto tutti concordi nel presentare come unica possibile quella che dalle tette della lupa porta direttamente al Quirinale, passando per le civiltà comunali e i Savoia, dopo la solita giusta ricognizione delle grandi civiltà del passato, dalle quali ovviamente quella nuragica è esclusa. E gli altri? E noi?
La domanda è la seguente: è un bene o un male per noi e per l’Italia? Cosa ha prodotto almeno in noi sardi questo sistema?
Quanti di noi sanno dell’ultramillenaria civiltà nuragica (io ho saputo dopo i vent’anni e non grazie alla scuola). Quanti di noi sanno dell’età giudicale, indipendente con i suoi quattro regni, durata diverse centinaia di anni e spesso liquidata dalle bibbie scolastiche come periodo il cui l’isola era di dominio genovese e pisano. Quanti di noi sanno cos’è la Carta de Logu, scritta in sardo. Quanti di noi sanno che il sardo si scriveva addirittura prima dell’italiano.
Certo lo scopo è quello di trasmettere un sentimento di appartenenza comune finalizzato all’unità nazionale, affinché ci si senta popolo, ma siamo proprio certi che questo debba essere fatto passare sulla nostra pelle, siamo sicuri che la negazione delle culture più deboli sia il metodo migliore?
Cosa potrà mai produrre uno scriteriato sistema che continua a negare la nostra esistenza? Nella storia non esistiamo, nella geografia, lasciando perdere le frequenti castronerie, in ordine di pagina siamo sempre ultimi, quindi spesso il programma in pratica finisce con la Sicilia, si potrà obbiettare che tanto sempre isola è, del resto abbiamo gli stessi rappresentanti in Europa e a Roma, o no? E’ chiedere troppo considerare prima e speciale la propria terra e trattarla di conseguenza? Guardate che nessuno lo farà al nostro posto.
Quale autostima (parola molto abusata nei P.O.F) ha prodotto questo sistema scellerato?
In noi sardi come potremmo misurarla?
Forse per averne almeno un’idea basta guardare l’intitolazione di strade e piazze. Quanti sardi illustri ricordiamo? Pochi davvero, da molte parti non vi è neanche un vicoletto che ricordi Emilio Lussu, ma spesso non troviamo neanche Angioy, R. C. Raspi, Bellieni, Deffenu, Antonio Garau, B. Lobina, Montanaru, A. Cossu, M. Pira, etc. Non sarà perché questi ultimi sono scrittori in sardo? Qualcuno si starà chiedendo: “perché esite una letteratura sarda?” “Chi sono costoro?” Certo in questo la cultura scolastica non aiuta, ma per fortuna oggi c’è google.
Ma che razza di popolo è quello che non ricorda i suoi figli più illustri?
Il fatto che la nostra cultura trovi chiusa la porta di scuola significa solo una cosa: che non vale la pena di essere conosciuta! Cioè i sardi, noi, non abbiamo prodotto una cultura degna della scuola. Ma ricordiamoci che sono stati gli altri ad averlo deciso per noi.
Quindi per lo stato noi non valiamo nulla. E’ con questo bagaglio di identità e autostima, certo comodo perchè trasportabile in un bicchierino di vernaccia, dove vorremo andare?
Cosa potrà mai produrre un’educazione che prescinde dalla realtà locale se non “cattedrali del deserto”, eucalipti invece di vitigni, università che continuano a sfornare tecnici e dottori di tutti i saperi (destinati ahimè in buona misura all’emigrazione visto lo stato disastroso della nostra economia) ma che per studiare Agraria o Veterinaria è necessario trasferirsi al capo di sopra, ma la pianura grande non si trova in su cabu de giossu?
Ci è stata nascosta la nostra storia, la nostra cultura. Ci hanno fatto vergognare di parlare la Nostra Lingua.
Ci hanno rubato l’anima. Dove mai potrà andare un popolo senz’anima?
Potremo mai perdonare?
Ci hanno convinto che parlare la nostra lingua millenaria era segno di povertà, arretratezza, ignoranza e gretzúmini. Collante formidabile per sentirci prima sardi e poi, se compatibile, tesserati e simpatizzanti di altro, per fare fronte comune rispetto ai poteri forti dove noi ora siamo solo visti come pedidoris e rispetto al quale, vista la popolazione, contiamo che su duus de bastus, ricordiamoci della questione vergognosa e attualissima dei 18 milioni di euro elemosinatici col Dpef rispetto agli oltre 4 miliardi della Sicilia.
Gli altri erano (e sono) portatori di una cultura moderna, migliore, superiore e quindi tutto ciò che facevano (e fanno) era meglio, sia che si trattasse di cibo o “cultura”, basta guardare dentro al nostro carrello della spesa, anche quello culturale.
Non sarà anche per questo che importiamo circa il 90% di ciò che consumiamo? Non è solo una questione di prezzi che pure esiste in maniera rilevante: il parmigiano reggiano costa più del pecorino sardo. Non sarà anche per questo che stiamo precipitando in una voragine di nera miseria?
Un conto è lo scambio, sempre salutare, benvenuto e fonte di crescita, ben altra cosa e la ricezione passiva, succube, spesso non cosciente e di sapore masochistico di tutto ciò che e altrui. Ma certo, scusate, ogni tanto dimentico che noi non esistiamo, siamo solo un’isola in mezzo al mare, anche se bellissima, appendice dimenticata di terre di ben altro valore...
Che la smettano di considerarci votanti di collegi contraffatti, terra di occupazioni militari, di industrie inquinanti che pagano le tasse e lasciano i capitali altrove e soprattutto noi sardi finiamola di prestarci ai giochi altrui, quelli del banco, tanto si sa che vince sempre. Finiamola di scimmiottare pedissequamente e ridicolmente i modelli altrui. Non credo di esagerare dicendo che forse ci sentiremo davvero italiani quando lo stato, l’Italia ci consentirà di essere noi stessi attraverso il riconoscimento non solo formale delle nostre diversità regionali, ma dobbiamo essere noi innanzitutto a rivendicarlo fortemente. In un mondo sempre più globalizzato ne va della nostra sopravvivenza culturale e quindi economica. Togliamoci la camicia di forza che ci costringe nostro malgrado e con enorme danno al pensiero unico: quello che conviene agli altri.
Giampaolo Pisu

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IL NUOVO CIRCOLO DEL P.D.


Anche Sardara ha il suo circolo del Partito Democratico nel pieno delle sue funzioni.


E’’ stato infatti celebrato il suo primo congresso, che si è concluso venerdì 24 luglio con un voto unanime, con cui è stato eletto il comitato di circolo composto da venti persone di cui dieci donne.
Del comitato fanno parte Atzori Franco, Atzori Marco, Atzori Renato, Argiolas Bruna, Caddeo Andrea, Caddeo Rossano, Cadeddu M. Critilde, Corona Roberto, Deidda Marta, Ibba Enrico, Ibba Simona, Melis Ercole, Melis Paola, Montisci Roberto, Musa Barbara, Onnis Tiziano, Pinna Valentina, Sanna Eleana, Usai Marianna, Viaggiu Valentina.
Nell’organismo di direzione del circolo si sono impegnati molti giovani e molte ragazze, che spesso si affacciano all’attività politica per la prima volta, e questo fatto testimonia della disponibilità della società civile ad occuparsi dei problemi della gente ed in particolare di quelli della nostra comunità locale.
Dopo l’inevitabile pausa del mese di agosto l’attività riprenderà con l’obiettivo di coinvolgere il più possibile sia gli iscritti sia i cittadini nelle discussioni che interessano il paese ed il suo futuro. E Novas seguirà e riferirà di questo dibattito. Sardara ha infatti bisogno di conoscere meglio i problemi e le decisioni che si assumono e di partecipare più attivamente alla loro formazione, che deve essere quindi la più trasparente possibile.
Alcune questioni diventeranno attualissime in autunno. La prima sarà lo svolgimento del congresso nazionale del P.D., che deciderà l’identità ed il tipo di organizzazione. E noi ci auguriamo che prevalga l’idea di un partito popolare, di massa, in cui siano gli iscritti a prendere le decisioni importanti.
La seconda riguarda il futuro del paese, il suo sviluppo economico ed in particolare quello legato al termalismo, su cui è sempre più urgente superare l’alone di segretezza con cui l’attuale amministrazione comunale vuole decidere scelte che riguardano tutto il paese ed in particolare le generazioni future. I cittadini dovranno poter conoscere che cosa effettivamente si vuole fare e dovranno potersi esprimere. A nostro avviso devono essere sconfitte le mire speculative ed affaristiche di pochi che si celano dietro il nuovo Programma di Fabbricazione.
In terzo luogo bisognerà rispondere alle attese degli elettori del centro sinistra e dei loro partiti che chiedono un dialogo costruttivo, un programma ed iniziative comuni per mandare a casa una destra pericolosa e minoritaria.
In fin dei conti si sente nella popolazione l’aspettativa per un P.D. più forte e più presente, più capace di svolgere il ruolo proprio del partito più grande. Quello che succede nel P.D. quindi è importante per il paese e per il suo futuro e le sue responsabilità oggi appaiono sempre più chiaramente.
R.C.

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