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mercoledì 22 dicembre 2010

L'ASSEDIO DEGLI AVVOCATI


Pubblichiamo la lettera con cui l'avvocato Katia Ledda chiede al Sindaco di pagare alla coop. “Il Dromedario” l'importo di 90.000 euro per il servizio di vigilanza presso l'albergo termale.
Si tratta di una somma rilevante per un servizio che non poteva essere affidato nel modo descritto dall'avvocato, ma con una regolare gara d'appalto per individuare il costo più conveniente per l'amministrazione comunale. Non si sa quindi se dovrà pagare il Comune o qualche amministratore. Probabilmente assisteremo ad un altro contenzioso legale, che rischia di provocare ulteriori costi per spese legali, rivalutazioni, interessi..
Come si vede il nostro Comune è praticamente assediato da una squadra sempre più numerosa di avvocati, protesi a sbranare un bilancio comunale sempre più povero di risorse per i servizi comunali diretti ai cittadini. Gli amministratori stanno facendo di tutto per inguaiare l'Amministrazione comunale ed il paese con scelte che si rivelano ogni giorno più avventate e stravaganti. http://www.novasdisardara.it/dromedario.jpeg

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I VIAGGI DI DORE’ E SHANDAN (2^ parte).


La festa dura poco, Dorè e Shandan stanno già programmando un altro viaggio. Mena nella sua nuova capanna è triste e preoccupata, però sa che non potrà fermarli.
Procurate altre pietre nere, punte e coltelli e dopo aver rinforzato la barca, i due partono. Doppiato il promontorio sacro si dirigono dalla parte opposta e dopo alcuni giorni raggiungono un’altra laguna, incontrano tanti villaggi ma, ce né uno più grande, è posto sul bordo di una collina. Gli abitanti dopo aver constatato il valore della merce esposta da Dorè e Shandan la scambiano con vasi, pelli, formaggi e tante strane pietre nere che bruciando sviluppano un grande calore. Con il vento caldo in favore, i due ripartono e felici ritornano al villaggio.
Dorè riabbraccia la sua adorata Mena la quale gli annuncia una sorpresa: “Fra qualche mese sarai padre”. Lui s'inginocchia davanti a lei e piange commosso abbracciandola. “Adesso arriva la cattiva stagione, dovrai restare al villaggio fino alla nuova stagione” dice Mena toccandosi la pancia già grossa. “ Resterò fino alla nascita del bambino e con la buona stagione ripartirò con Shandan e altri uomini e tante barche” esclama Dorè, pur sapendo di dare un dispiacere a Mena. Lui è ormai convinto che con quelle pietre e i nuovi materiali dovranno raggiungere lidi anche molto lontani. Tutto il villaggio è coinvolto in quest’avventura che si sta dimostrando molto redditizia. Altri uomini e donne giungono a stabilirsi nel villaggio, attratti da quel materiale che chiamano “ossidiana”. I ciottoli del fiume non bastano più e Dorè con un bel gruppo di uomini e approntati dei carri trainati dai buoi si spingono sempre più verso la montagna alla ricerca di altre pietre nere. “Guardate!” urla qualcuno, “qui ci sono grandi pietre d'ossidiana”. “C’è un filone è una miniera!” osservano con stupore gli altri. Dopo aver preparato un accampamento, si mettono al lavoro, cavano tante pietre, caricano i carri e fanno ritorno al villaggio. Nel nuovo accampamento restano alcuni uomini per la custodia e il lavoro nella miniera. Essi saranno i primi minatori dell’isola.
Gli artigiani della pietra si mettono al lavoro, hanno a disposizione tantissime pietre e con tecnica molto raffinata ottengono punte di frecce, coltelli e falcetti. Dorè, Shandan e i pescatori più esperti si dedicano con buona lena alla costruzione di nuove imbarcazioni, più adatte al carico e alla lunga navigazione. Le donne hanno lavorato nella tessitura di grandi tele di lino esse serviranno alle barche per raccogliere il vento e spingerle più veloci.
Un bel giorno di primavera dalla capanna di Dorè si ode il pianto di un neonato. “E’ nato un bellissimo maschietto”, urlano le donne che hanno assistito Mena nel parto. Dorè corre alla capanna e s' inginocchia. Dopo aver baciato e ringraziato Mena e preso il bambino in braccio davanti alla statua della Gran Madre esclama: “lo chiameremo Tarshish come suo nonno”.
Il tempo è buono, il sole ha illuminato la stanza della Dea e le giornate sono più lunghe. Tutto è pronto per la partenza, le barche, il materiale e gli uomini. Dorè, dopo aver lasciato Mena e Tarshish alle cure dell’anziana madre e di Hemma, sorella di Mena, raduna gli uomini e chiama Shandan: “Noi tutti abbiamo deciso, poiché hai dimostrato coraggio e perizia nella navigazione, di nominarti ammiraglio della nostra spedizione, tu ci condurrai verso il tramonto del sole alla ricerca di nuovi mercati”. Shandan ha uno scatto, sembra quasi che la sua gamba non lo faccia più zoppicare, alza le braccia al cielo e ringrazia pieno d’orgoglio. Prima della partenza, Su Babbu Mannu, davanti a tutto il villaggio, consegna a Shandan un mantello, un capello e il bastone del comando, a Dorè consegna una statuina della Dea Madre e lo apostrofa: “Shandan comanderà la spedizione e tu rappresenterai il villaggio di Orei e la sua Dea ovunque vi troverete, ecco un capello, un mantello e un bastone anche per te, buona fortuna!”. Lunghi squilli di corno salutano la piccola flotta che si allontana dalla riva. Il vento è favorevole e spinge le barche verso il mare aperto. “Guardate abbiamo raggiunto l’isola del brutto vento” urla Shandan indicando l’isola quasi piatta, “continueremo in questa direzione!” La navigazione procede tranquilla per alcuni giorni, dopo aver superato un lungo promontorio all’improvviso un forte vento contrario li spinge con violenza verso il largo, le fragili imbarcazioni restano in balia delle onde per diversi giorni, Shandan che conosce il vento sa che li porterà verso altre terre e così raggiungono tante piccole isole incantevoli con grandi rocce dalle strane forme. “Ecco qui ci fermeremo” Shandan indica una piccola insenatura, “faremo un accampamento proprio di fronte a quella grande roccia a forma di animale”. Alcuni uomini esplorano le isole e al loro rientro all’accampamento, riferiscono che in queste isole non ci sono villaggi, ma hanno avvistato un’altra grande isola sicuramente abitata perché hanno notato dei fuochi e tanto fumo. Shandan e Dorè decidono di partire verso la grande isola, lasciando alcune imbarcazioni e uomini nell’accampamento al comando di Kanìa il pescatore più anziano. Raggiunta l’isola, poiché parlano una lingua sconosciuta, Dorè e Shandan vincono la diffidenza degli abitanti con grandi cenni, inchini e salamelecchi, presentano i loro prodotti e, dopo le dovute dimostrazioni, ottengono un grande successo. (L’ossidiana è arrivata in Corsica! Costeggiando l’isola fino a nord e attraversando l’arcipelago Toscano, l’ossidiana è arrivata nel continente Italiano! E così via fino alla Francia e la Spagna. Intanto l’industria della pietra nera continua nei piccoli villaggi delle lagune e intorno e sopra le colline del monte Arci, raggiungendo un grande sviluppo e ricchezza tanto che l’ossidiana è stata chiamata “l’oro nero dell’antichità”) Le imprese di Shandan, Dorè e i loro uomini si sono tramandate per millenni e l’isola dalla quale partivano fù chiamata: “L’Isola di Shandan”.
Livio Melis

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Turismo e termalismo: un contributo per una riflessione comune


Ho letto con piacere il lavoro di sintesi fatto dai ragazzi che hanno frequentato la scuola di formazione politica.
Innanzitutto perché manifestano interesse per il proprio paese, e di conseguenza si occupano del proprio futuro. Un futuro legato inevitabilmente alle prospettive della comunità di cui fanno parte integrante.
In secondo luogo mi intrigano gli spunti interessanti sullo specifico tema affrontato: il turismo, argomento della mia tesi di laurea e spesso oggetto delle esperienze lavorative sinora svolte.
Con loro (Sara, Mariangela e le due Stefanie) e con chiunque fosse interessato a dare un contributo vorrei costruire attraverso il blog di Novas un percorso di approfondimento riguardante il turismo a Sardara. Questo articolo vuole rappresentare un primo stimolo in questa direzione.
Voglio partire subito dai numeri, per rappresentare un quadro oggettivo e condiviso, presupposto per qualsiasi discussione seria sull’argomento.
Secondo le statistiche ufficiali le strutture ricettive alberghiere di Sardara nel corso del 2006 hanno fatto registrare 12.264 arrivi (ossia il numero dei turisti) e 46.653 presenze (ossia il numero dei pernottamenti effettuati dai turisti).
Nel 2009 invece gli arrivi sono stati 13.017 e le presenze 37.980.
I dati si riferiscono all’insieme degli alberghi presenti a Sardara, terme comprese, tenendo presente che nel 2009 è entrata a regime una struttura all’interno del centro abitato ed è stato chiuso l’albergo pubblico. Purtroppo le previsioni per il 2010 non fanno ben sperare.
L’analisi delle statistiche ci aiuta a fare delle prime considerazioni sul tema.
In primis è evidente il diverso andamento delle grandezze: è aumentato il numero dei turisti che hanno soggiornato a Sardara, ma sono diminuiti fortemente i pernottamenti (-18%) e con essi i volumi d’affari delle strutture ricettive, l’indice di utilizzazione media delle strutture e di conseguenza i posti di lavoro impiegati presso le strutture.
Se nel 2006 un turista pernottava in media per 3,8 giorni, nel corso del 2009 la permanenza media è calata di quasi un giorno. In altri termini i turisti hanno accorciato la propria vacanza a Sardara.
Perché è successo?
Per quale motivo un turista dovrebbe soggiornare a Sardara e non in un altro paese?
Cosa bisogna fare per aumentare il grado di attrattività di Sardara?
Quali attività occorre porre in essere per allietare il soggiorno dei turisti a Sardara?
I canali di comunicazione sono stati ben utilizzati?
Occorre cercare di rispondere in modo sistematico a queste domande per avanzare proposte concrete e credibili altrimenti si rischia di fare demagogia spicciola e fantapolitica che non servono a niente e a nessuno.
Aspetto i vostri primi commenti. A presto.
Peppe Garau

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martedì 21 dicembre 2010

Fare rete come strumento di sviluppo locale

L'ultimo rapporto di Unioncamere sulla competitività delle regioni e delle province mostra un tessuto produttivo in Sardegna preoccupante: un contributo al Pil in calo, la disoccupazione oltre il 12%, l'indice delle infrastrutture tra gli ultimi in Italia. Poche le imprese che producono abbastanza per esportare o commercializzare attraverso la grande distribuzione organizzata.
Le imprese agricole, commerciali e artigianali, vero motore dell'economia regionale, hanno enormi potenzialità di crescita, ma necessitano di un forte supporto per l'avvio e il superamento della fase di start-up.
Il settore turistico è caratterizzato da imprese per la maggior parte delle quali la destagionalizzazione e la definizione di un’offerta per una fruizione del territorio a 360° appaiono l’unica possibilità di sopravvivenza.
Oltre alle scarse infrastrutture e all'insularità, la nostra ben radicata cultura dell'individualismo ha fortemente pregiudicato le interazioni imprenditoriali, così come la creazione di un capitale di competenze intersettoriali da mettere a disposizione per il decollo dell'economia regionale.
“Fare rete”” tra professionisti e imprenditori, in un contesto territoriale ad alta disgregazione come quello sardo, migliora le relazioni tra sistemi di imprese e filiere e contribuisce allo sviluppo del territorio.
“Fare rete” attiva un circolo virtuoso dove l'interazione tra tutti gli attori economici, se costante, crea opportunità a più livelli:
- crescita professionale e imprenditoriale
- miglioramento dello spirito di collaborazione
- abbattimento delle diffidenze, dello spirito individualista e dei pregiudizi culturali
Fare rete richiede forte impegno e convinzione alla base, perchè non si può applicare rigidamente su un territorio un modello per cui non si sono precedentemente creati i presupposti di attecchimento.
E' quindi fondamentale l'avvio di un processo di riflessione, condivisione, partecipazione in grado di coinvolgere e sensibilizzare gli imprenditori, i rappresentanti delle varie categorie produttive, gli istituti formativi, le istituzioni.
Fare rete deve diventare strumento di visibilità, di approfondimento, di confronto per le imprese, deve far parte di una strategia per migliorare la conoscenza del territorio, sensibilizzare sull’importanza di utilizzare e rivendere prodotti locali, facilitare l'attivazione di un network collaborativo in grado di oltrepassare il commercio tradizionale nel rispetto delle produzioni locali.
“Fare rete” significa analizzare problematiche da punti di vista differenti, razionalizzarle e riportarle alle istituzioni, responsabili ultime della creazione dei presupposti per lo sviluppo del territorio.
Le istituzioni e la politica non possono stare a guardare, ma attivare e guidare processi di partecipazione che comprendano tutto il sistema economico e sociale e confluiscano in un progetto che generi fiducia tra i vari attori dello sviluppo e, di conseguenza, economia.
Questo non può avvenire se non sostenendo soprattutto le fasce imprenditoriali più deboli: le imprese femminili e quelle in fase di start-up, perchè sono loro la risposta concreta alla crisi che attanaglia l’economia e rappresentano un insostituibile contributo alla crescita della Sardegna.
Obiettivi economici, quindi, ma anche sociali.
Denominatori comuni:
- la presa di coscienza di sé della nostra imprenditoria sarda
- la voglia di collaborare ad un progetto ampio e condiviso di affrancamento, di riscatto, di crescita collettiva
Nella ferma convinzione che l'unione faccia davvero la forza.
Roberta Atzori

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Scuola di formazione politica

Pubblichiamo la relazione dal titolo "Politiche sanitarie, sociosanitarie e sociali nel Comune di Sardara" realizzata dai ragazzi della Scuola di formazione politica. http://www.novasdisardara.it/relazione%20politiche%20socio-senitarie.pdf

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Dichiarazioni di voto

Pubblichiamo le dichiarazioni di voto del gruppo Consiliare del Partito Democratico per Sardara relativo alla tardiva consegna degli ordini del giorno da discutere nel Consiglio Comunale del 16/12/2010. http://www.novasdisardara.it/gruppo%20consiliare%20pd.pdf

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lunedì 20 dicembre 2010

I VIAGGI DI DORE’ E SHANDAN

La treccia di Dorè ha raggiunto la spalla, ormai è un uomo, non è più tempo di giochi. Ha imparato a lavorare la pietra nera e riesce ad ottenere punte e lame perfette. Insieme agli altri uomini del villaggio ne costruisce tante con i ciottoli che raccoglie risalendo il fiume verso la montagna. Shandan è anche lui un uomo, la sua gamba lo fa zoppicare ma, grazie alle cure de “Su babbu mannu” e delle mamme del villaggio, è diventato sano e robusto, ha imparato l’arte della pesca e con la sua barca si spinge anche molto lontano. Quando hanno tempo i due amici, si incontrano e parlano di progetti futuri. Sanno che quelle pietre nere e quelli strumenti possono interessare altri uomini. “Dorè”, gli dice Shandan, “tu conosci l’arte della pietra nera, io conosco l’arte del navigare, perché non portiamo i nostri prodotti verso altri villaggi? Io costruisco una barca più grande, tu porta i tuoi strumenti e le pietre e partiamo!” Ma Dorè è titubante, non vuole lasciare il villaggio, ha una ragazza nel cuore, si chiama Mena ha splendidi occhi color smeraldo e due lunghe trecce bionde. Egli ha già chiesto la sua mano inviando un anziano che ha lodato le sue grandi doti. La madre di Mena gli ha risposto che non basta, per poter sposare Mena, Dorè dovrà portare la sua dote e dimostrare di avere l’autosufficienza per sfamare la moglie e i figli. Lui non può ancora assicurare tutto questo con il suo lavoro. “ Ecco questa sarà per noi una buona occasione, se andrà bene torneremo al villaggio con tanti prodotti buoni dallo scambio dei tuoi strumenti”, esclama Shandan a cui non manca di certo il coraggio ed è pronto ad affrontare i rischi del mare. Dorè per il suo amore è pronto a tutto: “Partiamo”, dice, battendo la mano sulla spalla dell’amico. Dopo aver caricato la barca, i due amici partono salutando la gente del villaggio. Lasciata la laguna, e doppiato il promontorio sacro, che ha sempre rappresentato il confine per le piccole e fragili barche dei pescatori, l'imbarcazione si dirige verso un altro promontorio che raggiunge in poche ore. Seguendo il fumo dei fuochi i due intuiscono la presenza di villaggi sulla costa, incontrano altre barche che li guidano attraverso una grande laguna. Un gruppo di uomini armati con grandi archi e lunghi bastoni si avvicinano minacciosi alla barca di Shandan e Dorè, parlano un linguaggio simile al loro: “Che cosa volete? Che cosa trasportate? Da dove venite?” urla uno di loro con un copricapo munito di lunghe corna, “siamo venuti in pace, veniamo dal villaggio dietro il promontorio sacro e portiamo punte di frecce e coltelli fatti con queste pietre nere” risponde, per niente intimorito Dorè. Gli uomini si avvicinano e osservano il materiale che Dorè e Shandan hanno sistemato per terra sopra una grande pelle. “Guardate queste frecce e confrontatele con le vostre, sono molto più taglienti e appuntite”. Dopo averle toccate gli uomini mormorano tra loro: “E’ vero sono molto più aguzze delle nostre”. Ben presto i due scambiano i loro prodotti e caricano la barca di pelli, formaggio, pesce salato, uova di pesce salate e vasi di terracotta. Riprendono il mare, ben presto si fa notte e la navigazione diventa più rischiosa, lottano con un vento caldo che li spinge in alto mare, con le prime luci dell’alba stremati dalla fatica, scorgono una piccola isola, il vento e le residue forze li aiutano a sbarcare sulla spiaggia. “Un brutto vento” esclamano i due, per fortuna siamo finiti in questa isola”. Dopo essersi rifocillati, passati alcuni giorni aspettando il bel tempo, col favore del vento, i due ripartono puntando verso il promontorio sacro, è sera e una gran luce indica il loro villaggio, è il fuoco sacro. Dorè e Shandan sono accolti come eroi e con gran sollievo dei loro vecchi genitori. Sulla spiaggia c’è anche una ragazza dagli occhi smeraldi e le grandi trecce bionde, anche lei fà un grande sospiro di sollievo. Spartiti i prodotti frutto dello scambio, Dorè, accompagnato, dall’anziana madre, porta la sua dote alla capanna di Mena. Questa volta la madre di Mena, stupita per tutto quel ben di dio, acconsente il fidanzamento. “Sarà in buone mani” pensa. Mena dentro la capanna trema e spera. “Su ragazza vieni che ti rifaccio le trecce” dice la madre sollevando il coperchio di una grande cassa decorata e prendendo una bellissima cuffia di lana anch’essa decorata con piccoli cerchi. “Domani andrai in sposa a Dorè, voglio che indossi il bel mantello e la cuffia che abbiamo tessuto insieme”. Mena si getta in ginocchio davanti alla mamma e sussurra piangendo “grazie madre”. Oggi quei due bambini che un tempo schiamazzavano, sono due splendidi ragazzi, davanti a “Su Babbu Mannu” e tutto il villaggio, sotto la grande quercia, vicino al grande fuoco, ricevono tremanti la benedizione, il vaso con l’acqua benedetta e la statuina della Dea Madre che dovranno custodire fino alla morte e che li accompagnerà nella tomba. Subito si scatena una gran festa, Mena e Dorè al centro di un grande cerchio di uomini e donne che ballano tenendosi per mano, finalmente possono baciarsi. Pesci e agnelli arrostiti per tutti sono serviti su grandi cesti di giunco e erbe. (continua)
Livio Melis

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domenica 12 dicembre 2010

SP 62 Sardara - San Gavino: un altro passo in avanti

Pubblichiamo il volantino del circolo PD di Sardara sulla S.P. 62 Sardara - San Gavino. http://www.novasdisardara.it/sp62_mutuo-rev.pdf

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Scuola di formazione politica

Pubblichiamo gli interventi dei partecipanti alla scuola di formazione politica. http://www.novasdisardara.it/politiche%20giovanili%20a%20sardara%20-%20le%20nostre%20proposte.pdf http://www.novasdisardara.it/ripensiamo%20il%20turismo%20a%20sardara.pdf

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DORE’ E LA MONTAGNA DELLA ROCCIA NERA


orge il sole sul piccolo villaggio della pianura, un pugno di capanne di paglia e fango, costruite su una duna tra il monte, la laguna e il mare.
Gli abitanti: Una piccola tribù di pescatori, agricoltori e pastori, molto abili nella lavorazione della pietra, da alcuni anni si sono stanziati in questo territorio che assomiglia tanto al loro precedente villaggio che hanno abbandonato per la ricerca di nuove risorse. Qui non manca niente: La laguna e il mare ricchi di pesce e frutti di mare, tantissimi uccelli da cacciare, il bosco del vicino monte per la legna, buona terra da coltivare e due torrenti per l’acqua.
Anche quel giorno gli abitanti del villaggio si raccolgono intorno al gruppo d'anziani. Uno di loro porta un lungo mantello che gli copre le spalle fino ai piedi e un cappello a grandi falde. Ha un aspetto austero che incute rispetto. I ragazzi giocano e schiamazzano lì intorno. “Ssst…Su Babbu Mannu “ intima un anziano con un lungo e nodoso bastone. Dorè, un bambino vivace dai grandi occhi neri con una piccola treccia che scende sul lato destro del viso, osserva curioso i movimenti del grande vecchio. “Guarda Su Babbu Mannu ha grandi poteri, egli può parlare con la Grande Madre e far guarire la tua gamba”, rivolgendosi a Shandan, suo intimo amico che zoppica vistosamente a causa di una malattia. L’aria è tersa e i profumi della laguna si mischiano a quelli della macchia mediterranea che brucia nel fuoco perennemente acceso al centro del villaggio. Sotto la grande quercia su cui campeggiano le corna di toro, simbolo del dio maschile, le donne, coperte da un mantello e una cuffia che copre la folta capigliatura da cui spiccano due lunghe trecce, porgono al sacerdote una piccola statua femminile con grandi seni , simbolo della fertilità: “La dea Madre”. Egli la prende, la solleva verso il nuovo sole, intinge un ramoscello nell’acqua di un vaso globulare decorato dalle donne con le conchiglie delle arselle bianche che si trovano nella laguna, e benedice il popolo che ringrazia con un grande inchino. La giornata del popolo del villaggio può cominciare. Chi deve andare a pesca prende la sua barca di erbe palustri e si dirige alla laguna, i pastori con il gregge si allontanano verso i pascoli, i contadini vanno al lavoro nelle fertili terre. Al villaggio sono all’opera nelle loro officine gli artigiani delle pietre. Le donne più anziane tessono ceste di paglia e giunco, altre accudiscono ai bambini e cucinano piccole focacce su pietre arroventate nel grande fuoco. Le donne giovani vanno alla laguna con piccoli cesti a raccogliere le arselle, prelibati frutti di mare che al villaggio non mancano mai, anzi, esse le portano anche nei villaggi vicini per scambiarle con altri prodotti.
I ragazzi riprendono il loro gioco. Dorè, Shandan e gli altri si dirigono al fiume, hanno organizzato due squadre e giocano alla guerra. Raccolgono le pietre dal greto del torrente, durante l’inverno tanta acqua aveva trascinato tanti ciottoli dalla montagna nera. Dorè ne prende uno, non si accorge che è spaccato e il bordo tagliente gli procura una ferita al palmo della mano. Shandan, che ha visto tutto, prende una foglia di canna e copre la ferita legando la foglia con un giunco. La pietra è lì, vicino ai piedi di Dorè che la osserva con attenzione, è nera e lucente con i bordi sottili e taglienti. La usa con cautela su una canna e ottiene un taglio con estrema facilità. Poi si rivolge urlando ai compagni di gioco: “Mi sono fatto male alla mano io torno alla capanna da mia madre”. Il suo gioco è finito corre al villaggio con il ciottolo avvolto da foglie. “Cos’hai combinato”, urla la mamma, osservando la ferita alla mano di Dorè, “vieni con me” e lo accompagna alla capanna de su babbu mannu –come ti sei ferito?-, -con questa- risponde Dorè mostrando il ciottolo spaccato, “guardi ha i bordi più taglienti dei vostri coltelli di pietra”. Su babbu mannu cura la ferita con certe erbe che solo lui conosce, poi osserva la strana pietra scura e lucente, anche lui la prova su una canna e si rende subito conto che taglia più degli strumenti in uso al villaggio. “Dove l’hai trovata?”, “sul greto del fiume ce ne sono tante” risponde Dorè. Dopo aver tranquillizzato la madre di Dorè, su babbu mannu si reca al fiume e osserva le pietre, vengono da lassù pensa guardando il grande monte scuro. Quel giorno fu benedetto, la Grande Madre aveva guidato Dorè e gli aveva indicato la pietra nera che avrebbe arricchito la gente del villaggio.
Già nel VI millennio a.C. La Sardegna era al centro del traffico dell’ossidiana, una pietra vulcanica con le caratteristiche del vetro dovute al rapido raffreddamento delle lave, molto adatta alla costruzione di punte di frecce, coltelli ed altri strumenti taglienti, che dal monte Arci, attraverso il golfo d'Oristano, raggiungeva la Toscana, l’Emilia, la Spagna e la Francia.
Livio Melis (continua)

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venerdì 3 dicembre 2010

TRASPARENZA E INFORMAZIONE DEI CITTADINI

Le leggi italiane attribuiscono grande importanza all'informazione dei cittadini da parte del Comune e prevedono che molti documenti debbano essere messi a disposizione della popolazione. In proposito è sufficiente ricordare le norme previste dal Codice dell'Amministrazione digitale (Dlgs. 82/2005 e altre leggi e direttive, compresa la legge finanziaria 2008 (Legge 24/12/2007 n. 244).
Si elencano alcuni obblighi imposti alle Amministrazioni comunali.
TEMPESTIVITA' DEI PAGAMENTI.
L'art. 9 del D.L. N: 78/2009, Tempestività dei pagamenti delle P.A. Misure di snellimento dei pagamenti . La legge prevede che il Comune approvi e renda pubblico sul suo bolg misure per rendere veloci i pagamenti. In particolare i cittadini, i fornitori, le imprese, i professionisti... devono sapere quale responsabile dei servizi adotta i provvedimenti di pagamento e le procedure che gli impiegati devono seguire e a chi possono rivolgersi).

INCARICHI DI CONSULENZA.
Sul sito internet del Comune deve essere pubblicato l'elenco degli incarichi di progettazione, di collaborazione , di lavoro autonomo, di consulenza, ecc... con i nomi delle imprese, dei professionisti, delle società...., l'oggetto degli incarichi, l'importo da pagare..., con il testo della Determina dei vari responsabili che affidano gli incarichi...


ALBO DEI BENEFICIARI.
Il D.P.R. 7/4/2000, n. 118 contiene un Regolamento con le norme da rispettare per consentire la consultazione da parte dei cittadini dell'elenco delle persone, delle associazioni, delle imprese, degli enti... che beneficiano di contributi comunali. In particolare è previsto come si debba accedere gratuitamente alle informazioni dell'albo con il nome dell'impiegato comunale a cui rivolgersi anche per via telematica e/o telefonica.

AMMINISTRATORI COMUNALI.
La legge finanziaria 2007 n. 296 del 2006 obbliga il Comune a pubblicare sul proprio sito internet l'elenco degli incarichi e dei compensi degli amministratori di enti o società partecipate dall'Amministrazione comunale. Il nostro comune partecipa a Sa Corona Arrubia, al Consorzio Industriale di Villacidro, alla sociatà Villaservice, all'Unione dei comuni del Campidano, all'Associazione dei comuni della terra cruda. L'elenco deve comprenedre il nominativo, l'incarico ricoperto ed il compenso annuo ricevuto

DIRIGENTI.
In ottemperanza dell'art. 21 della legge 69 del 18.06.2009 ciascuna Amministrazione comunale ha l'obbligo di pubblicare sul proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica ed i numeri di telefono ad uso professionale dei dirigenti e dei segretari comunali.

POSIZIONI ORGANIZZATIVE.
Nel rispetto dell'art.21 della legge 69 del 18.6.2009 e dell'art. 11 del D.lgs 29.102009, n. 150, si devono pubblicare i curricula vitae delle Posizioni organizzative dei dipendenti. In tal modo i citadini sanno a chi rivolgersi per le questioni a cui sono interessati senza perdere soldi e tempo, chiamando anche per via telematica o telefonica.

TASSI DI ASSENZA E PRESENZA DEL PERSONALE.
L'art.21 della legge n.69 del 2009 obbliga a pubblicare i tassi di assenza e di maggior presenza del personale.

PRESENZE NEI CONSIGLI COMUNALI.
Dev'essere pubblicato l'elenco delle presenze dei consiglieri nelle sedute del Consiglio comunale e delle commissioni.

A tutto ciò si deve aggiungere l'enorme importanza della pubblicazione nel sito del Comune delle deliberazioni del Consiglio comunale e della Giunta municipale, delle Determine dei funzionari comunali. Altrettanta importanza ha la pubblicazione dei Regolamenti comunali, degli strumenti urbanistici, dei bandi di gara delle opere pubbliche, degli avvisi e della modulistica più varia.

Il nostro Comune rispetta questi obblighi? Il sindaco quando provvederà ad inaugurare queste forme di trasparenza e di informazione della popolazione?

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Termalismo ed opportunità di sviluppo 2

Pubblichiamo la relazione introduttiva al Convegno "Termalismo ed opportunità di sviluppo" presentata dalla Dott.ssa Roberta Atzori. http://www.novasdisardara.it/relazione%20convegno.pdf

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martedì 30 novembre 2010

"Termalismo e opportunità di sviluppo"

Pubblichiamo la relazione del Prof. Paolo Rizzi, docente di economia applicata presso l'Università Cattolica del sacro Cuore di Piacenza, presentata nell'ambito del convegno "Termalismo e opportunità di sviluppo", che si è tenuto a Sardara il 27 novembre scorso. Nel corso del suo intervento Prof. Rizzi ha illustrato i principali strumenti e metodologie per lo sviluppo locale e evidenziato un possibile percorso che Sardara potrebbe seguire nell'ottica di una strategia improntata allo sviluppo termale. http://www.novasdisardara.it/sardara27nov2010lungo.pdf

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Valanga di studiosi a Sardara

Esattamente un mese fa, il 30 di ottobre, una ventina di professori universitari, studiosi affermati nelle più svariate discipline, si sono ritrovati a Sardara. Una calata in forze di super-esperti: archeologi, mineralogisti, specialisti in scienze della terra, geologi, vulcanologi, esperti nei movimenti delle masse marine, tsunami compresi. Una “zingarata”, l’ha definita il giornalista e scrittore Sergio Frau organizzatore dell’evento. Appuntamento alle 10 presso il museo archeologico Villa Abbas molto ammirato ed apprezzato dagli studiosi. Si parte subito per un’escursione nel territorio per visitare alcuni siti: Nurateddu, Arbici, Santa Mariaquas. La teoria di Frau è nota: la civiltà nuragica è collassata oltre 3000 anni fa, probabilmente per un evento catastrofico che sconvolse gran parte della Sardegna sommergendo la pianura del Campidano da Cagliari ad Oristano e le zone immediatamente adiacenti della Marmilla. I nuraghi di Barumini e di Villanovaforru, prima degli scavi, erano completamente ricoperti di terra come quasi tutti i nuraghi della pianura del Campidano fino al Sinis. Nuraghe Losa, Santu Antine e tutti quelli delle zone alte, svettano ancora oggi in tutta la loro maestosità senza che ci sia stato il bisogno di liberarli dalla loro bara di terra. Come mai ? - Sardara - Frau non azzarda nulla, fa solamente notare ai presenti che Nurateddu e Arbici, come del resto Ortu Comidu e Barumeli sono ricoperti di terra; il nuraghe all’interno dello stabilimento termale, ma anche quelli di Santu Domini, Arrubiu e Jana sono invece liberi. Come mai ? Perché ? Questa è la domanda che si pone Frau e che gira agli esperti. Le risposte incominciano ad arrivare il lunedì successivo a Palazzo Boil di Milis, sede della mostra “Preguntas” dove Frau e suoi collaboratori hanno ordinato e messo a disposizione del pubblico tutto il materiale fotografico e scientifico raccolto nel corso degli anni (la mostra resterà aperta fino al 1° aprile 2011). Gli studiosi della “zingarata” negli interventi che si sono susseguiti durante la mattinata dell’inaugurazione della mostra, a priori non affermano nè escludono nulla, tutti si trovano d’accordo nell’affermare che occorrono indagini di natura squisitamente scientifica. Mario Tozzi (geologo del C.N.R. e giornalista Rai) che aveva visitato altre volte il nuraghe di Arbici, annuncia che saranno effettuati dei carotaggi tesi alla ricerca della presenza o meno della tsunamite che si forma dopo il passaggio di uno tsunami. Anche la professoressa Lucia Simone, geologa-sedimentologa, ravvisa la necessità dello studio di campioni di terreno per vederne la composizione in modo da accertare eventuali presenze di componenti che possono essere d’aiuto per mandare avanti la ricerca non su supposizioni ma su dati di fatto. Prof. Dario Seglie direttore del Museo Civico di Archeologia e Antropologia di Pinerolo, ci invidia la grandiosità dei monumenti che testimoniano l’alto grado raggiunto dalla civiltà nuragica. Ma ci esorta a curare con maggiore attenzione le nostre bellezze: “Un elettrodotto non può fare da sfondo al nuraghe di Santu Antine”. Molto atteso e seguito l’intervento del prof. Stefano Tinti geofisico e uno dei maggiori esperti europei in maremoti. Dopo aver preso in esame tutte le cause che possono generare uno tsunami afferma che l’onda, per gigantesca che sia, non può attraversare tutto il Campidano perché dopo circa due minuti fa il viaggio inverso e torna verso il mare in cui si è originata. In un solo caso può verificarsi l’apocalisse d’acqua supposta: occorre una spinta diretta generata per esempio dalla caduta in mare di un meteorite. Non si può escludere nulla. Un punto fermo possono darlo solo le indagini, conclude. E’ questo il leitmotiv di tutti gli altri interventi: indagini, indagini, indagini. Probabilmente è questo che Frau voleva sentirsi dire. Attilio Dedoni presidente
della Commissione Cultura della Regione Sarda assicura il suo interessamento e la fattiva collaborazione per la buona riuscita di tutta l’operazione. I risultati verranno comunicati al pubblico il 1° aprile 2011 giorno di chiusura della mostra “Preguntas” nella cittadina di Milis.
Luigi Melis
Elenco degli ospiti invitati a Sardara da Sergio Frau:Angela Bizzarro (architetto) – Claudio Giardino (archeologo metallurgico) – Stefano Tinti (geofisico esperto maremoti) – Reynaldo Hargvinteguy (funzionario Unesco per coordinamento e comunicazione settore cultura) – Mariano Puxeddu (geologo-petrologo) – Giovanni Manca (editore “Condaghes) – Mario Tozzi (ricercatore CNR e giornalista Rai) – Pietro Reali (architetto-Casa Zapata Barumini) – Pauline Reali (architetto) – Andreas Steiner (direttore rivista mensile “Archeo”) – Gabriele Carannante (geologo-sedimentologo) – Lucia Simone (geologa-sedimentologa) – Nicola Porcu (ispettore onorario archeologia subacquea) – Maurizio Menicucci (giornalista Rai 3 ) – Massimo Faraglia ( resp. Centro documentazione “Repubblica” – Francesco Lai (geologo) – Dario Seglie (direttore Museo Civico di Archeologia e Antropologia di Pinerolo) – Fabio Milito Pagliara (ing. creatore del blog oricalco sul libro di Sergio Frau).

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mercoledì 24 novembre 2010

SHARDANA

Chi erano i nuragici e chi erano i popoli del mare?
Quando hanno operato?
Quale ruolo avevano i popoli del mare e in particolare gli Shardana?
Da dove venivano e dove si espansero?
Perché a un certo punto fecero la loro comparsa sulla scena del mediterraneo?
Chi erano i popoli del mare, chi erano gli Shardana, da dove venivano e perché possiamo identificare Shardana e Nuragici?
- Primo: I due popoli hanno operato nello stesso tempo. Gli Shardana appaiono in Egitto a partire dalla metà del XIV sec. a.C. e operano fino al XII-XI sec. a.C. circa tre secoli. Questo periodo coincide con l’apogeo della civiltà dei Sardi Nuragici.
-Secondo: Confrontando la descrizione che gli Egiziani davano degli Shardana con le descrizioni che abbiamo dei Sardi Nuragici. Usano diverse armi, mostrano un’avanzata tecnica di guerra e avvezzi alla battaglia. L’equipaggiamento dei guerrieri Shardana è molto particolare e caratterizzante: Usano spade lunghe, lance, pugnali e lo scudo tondo. Usano un gonnellino corto, una corazza e un elmo con corna. Se osserviamo i bronzetti e le armi dei Sardi Nuragici troviamo una straordinaria corrispondenza fra le descrizioni degli Egiziani e l’iconografia dei bronzetti e i ritrovamenti archeologici. Da un punto di vista figurativo e persino somatico le rappresentazioni degli Egizi richiamano i Sardi Nuragici. Elemento molto importante è lo scudo tondo che è tipico dell’armatura dei guerrieri Sardi.
-Terzo: Da dove venivano questi Shardana ? Per gli Egizi essi sono uno dei popoli del mare “Il popolo delle isole che stanno in mezzo al grande verde” e cioè il mediterraneo occidentale.
- Quarto: Quali erano le due caratteristiche distintive degli Shardana per gli Egiziani? Erano abili navigatori e temibili guerrieri. Guardie personali del faraone, mercenari al servizio dell’Egitto, corpo scelto a difesa delle fortezze o durante gli assedi. Le numerose navicelle votive, i bronzetti e le armi ritrovate ci danno esattamente l’immagine di un popolo di navigatori e guerrieri: Gli Shardana!
Domanda: Fuori dalla Sardegna qual è il popolo che dal punto di vista archeologico risponde alle caratteristiche che gli Egiziani attribuiscono agli Shardana? Cioè con quale popolo conosciuto dalla storia e dall’archeologia possiamo confrontare con la descrizione degli Shardana fatta dagli Egizi? Stando agli attuali dati scientifici finora in nostro possesso, non ci sono dubbi: Gli Shardana erano i Sardi Nuragici.
Tratto da un’intervista al Dott. Giovanni Ugas , docente di archeologia dell’Università di Cagliari.
Livio Melis

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martedì 23 novembre 2010

Sardara si da al campeggio?

Leggiamo con sorpresa l’intervista al Sindaco di Sardara su “Il Provinciale” del 15 novembre 2010, in cui il primo cittadino dichiara di voler realizzare un’area di sosta per camper nell’area in cui, secondo le sue parole, “forse è apparsa la Madonna” (forse?). L’area da destinare a tale attività pare sia quella del boschetto di eucalipti a fianco della Chiesa di Santa Maria Is Acquas.
Una simile notizia non può che destare quantomeno stupore. Tate novità, infatti, rappresenta un radicale cambiamento nella strategia di lungo periodo del paese sul tema del turismo.
Certo, il Sindaco, prima di prendere questa scelta avrà sicuramente pensato alle ricadute economiche, in termini di indotto, che un simile turismo può portare al paese.
Ma quali sono le caratteristiche di chi viaggia in camper? Solitamente si tratta di persone che rimangono in un area di sosta per un periodo limitato di tempo, hanno un reddito medio basso e generalmente non usufruiscono di servizi a valore aggiunto quali ristoranti e bar poiché si portano la spesa e tutto il necessario da casa all’interno del loro camper, ne sono inclini a visitare musei o luoghi di cultura.
Può davvero un simile turismo portare qualche beneficio al paese? Ma, soprattutto, questo turismo è compatibile con il turismo di medio-alto livello a cui fino ad oggi ha puntato Sardara con le sue strutture alberghiere e termali? Per di più, dove è la coerenza con l’altra iniziativa che il Sindaco sostiene, pur in difetto di legge, di cedere forse l’unica vera risorsa preziosa del paese, ovvero l’acqua termale, ad un costruttore edile, senza alcuna competenza nel settore termale, per la costruzione (forse) di un nuovo albergo?
In realtà, sarebbe bene che un amministratore, prima di comunicare decisioni così radicali, che potrebbero cambiare l’immagine e l’economia del paese, coinvolgesse l’intera comunità, spiegandone i motivi sottostanti tali decisioni.
Fino ad ora, infatti, si è puntato su un turismo di qualità, ricco, composto da persone che vengono a Sardara per passare qualche giorno presso i centri termali, solitamente con una predisposizione anche per la cultura e che, probabilmente, nel pomeriggio, dopo una rilassante cura termale, visitano il nostro centro storico, il museo, e mangiano nei nostri ristoranti. Questo turismo è stato capace di generare valore per l’intera comunità, creando un indotto e distinguendo il nostro paese dai centri vicini per una superiore capacità di accoglienza.
Siamo poi sicuri che, con una nuova area di sosta per camper, i turisti che già riempiono le strutture continueranno a venire? Come reagirebbero davanti ad un parcheggio di camper nei luoghi dove ora escono a passeggiare? Non si rischia, invece, di creare un ambiente poco ospitale attraverso la cementificazione necessaria a predisporre le aree di sosta, le strutture per i servizi igienici e la guardiania? Per non parlare poi dei problemi che nascerebbero dalla raccolta dei rifiuti lasciati dai camperisti.
Perché, invece, non recuperare quegli spazi per creare aree di aggregazione sia per i turisti ma anche per i cittadini del paese, valorizzando anche la zona del castello e promuovendo percorsi e itinerari turistici capaci di generare valore per l’intero paese?
Forse, ad essere positivi, questa dichiarazione è solo l’ultima testimonianza della mancanza di una capacità di programmazione politica dell’attuale amministrazione di centro-destra, che ha portato alla chiusura dell’albergo termale comunale, fonte di ricchezza non solo per le casse del comune, ma anche per l’intera comunità, oltre che per le persone direttamente impiegate nella struttura. Forse, e a pensar male, nell’assoluta mancanza di idee e di capacità di guida, l’amministrazione si lascia influenzare dagli interessi di singoli imprenditori dalle dubbie capacità, che mirano esclusivamente al proprio tornaconto immediato più che guardare agli interessi, più importanti, dell’intera comunità. Certo questi dubbi non esisterebbero se gli amministratori coinvolgessero e informassero correttamente l’intera comunità circa i loro progetti, ma questo non sembra essere il caso. Speriamo solo che l’atteggiamento cambi prima che si faccia un altro grosso errore.

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Considerazioni sulle prossime elezioni comunali di Sardara del 2011

Tra pochi mesi si tornerà alle urne per il rinnovo del Consiglio comunale e l’elezione del Sindaco. Nel centrosinistra si parla già di coalizioni e di qualche nome da candidare alla carica di sindaco. Il Partito Democratico , che in questi anni ha contrastato in consiglio comunale e all’esterno, il disastroso modo di governare dell’Amministrazione di centro-destra, informando i cittadini e proponendo alternative, ha dimostrato di avere un ruolo sempre attivo nell’attività politica, mantenendo un dibattito aperto sui problemi del paese. Ha quindi la credibilità per assumere, all’interno dell'eventuale coalizione, la guida legittima per indicare i partiti e le linee guida per esprimere i nomi dei candidati da proporre nella lista che si dovrà presentare . In questi anni si è dibattuto spesso sulle considerazioni da fare per trovare i giusti o ragionevoli requisiti che dovranno avere i partiti della coalizione e i candidati. I requisiti che potranno incontrare il favore del paese e faciliteranno il compito delle delegazioni, a mio parere sono molto semplici: I partiti dovranno essere di centro-sinistra; non avere precedenti di governo con il centro destra in comune, provincia e regione; essere regolarmente costituiti con una segreteria e un segretario eletto democraticamente. Dovranno comunque condividere alcuni punti fondamentali per governare in armonia:
1- Ferma condanna dell’attività amministrativa della coalizione di centro destra uscente.
2- Ferma condanna degli articoli giornalistici su Sardara apparsi sul principale quotidiano sardo in questi ultimi quindici anni. .
3- Moralità, politiche sociali, cultura, economia e nuove politiche per il lavoro.
4- Indirizzare tutte le energie per lo sviluppo e il progresso del paese.
5- Partecipazione alle scelte democratiche coinvolgendo la popolazione nelle decisioni importanti per il futuro del paese.
Le proposte sui candidati dovranno avere caratteristiche di rinnovo, lasciando lo spazio ad una nuova generazione, scegliendo fra i giovani dei partiti e della società civile che: abbiano spiccata propensione e competenze che aiutino nell’esercizio dell’attività amministrativa e politica; attaccamento ai valori di solidarietà, alla storia e ai beni culturali e ambientali del paese. Naturalmente tutto dovrà essere improntato alla massima trasparenza e alle dovute precauzioni nella scelta , accertandosi, prima di fare nomi, che le persone abbiano effettivamente le caratteristiche concordate.
Livio Melis

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giovedì 18 novembre 2010

Dichiarazione di voto del gruppo consiliare “Partito Democratico per Sardara” in merito al punto 1 dell’ordine del giorno seduta del 12/11/2010

Pubblichiamo le dichiarazioni di voto del Partito Democratico per Sardara in merito alla mozione presentata al prot. n. 11744 del 03.11.2010. http://www.novasdisardara.it/dichiarazione_di_voto_concessione_mineraria.pdf

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Concessione mineraria "Piscina Quaddus"

Pubblichiamo la delibera di Giunta Comunale n. 194 del 15/11/2004 relativa alla concessione dell'acqua termale. http://www.novasdisardara.it/concessione_mineraria.pdf

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giovedì 11 novembre 2010

Mozione "Concessione mineraria acque termali"

Pubblichiamo il testo della mozione del gruppo consiliare PARTITO DEMOCRATICO per SARDARA sulla deliberazione di Giunta Comunale n. 178 del 18/10/2010 “Concessione mineraria acque termali – Indirizzi della Giunta”. http://www.novasdisardara.it/lettera-mozione-concessione-mineraria.pdf -http://www.novasdisardara.it/mozione_concessione_mineraria.pdf

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Il ruolo dei Comuni per combattere la disoccupazione

La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è una delle piaghe della nostra società.
Il sistema delle imprese sembra incapace di far fronte alle nuove sfide imposte dalla globalizzazione e spesso le aziende scelgono la via del trasferimento delle produzioni in altri Paesi dove il costo del lavoro è più basso (delocalizzazione), con la conseguente riduzione degli occupati nel nostro Paese. E a poco sembrano servire le politiche pubbliche per arginare il fenomeno, se non a tamponare temporaneamente il disagio dei disoccupati e delle loro famiglie con il ricorso sempre più massiccio agli ammortizzatori sociali, cioè la cassa integrazione guadagni, la mobilità, l’indennità di disoccupazione, ecc.
Per le imprese, si sa, il lavoro rappresenta un costoso ‘fattore della produzione’ e quasi sempre sono i lavoratori a pagare le crisi di mercato, ma anche gli errori gestionali e le scelte organizzative sbagliate.
Per i lavoratori, invece, il lavoro è necessario per garantire dignità e sicurezza sociale e quando non c’è, oltre ad essere motivo di degrado materiale e morale degli individui, è spesso causa di fenomeni di devianza, dalla microcriminalità alle tossicodipendenze.
Anche per questo lo Stato (nella sua accezione più ampia) non può restare indifferente, e con lo Stato le Regioni, le Province e i Comuni.
Ma cosa possono fare le istituzioni pubbliche, e in particolare i Comuni?
E’ necessario partire un po’ da lontano, cioè dalla cosiddetta ‘strategia di Lisbona 2000’, città nella quale si svolse in quell’anno il Consiglio Europeo.
Tra le tante altre cose (tutte orientate alla creazione di un’economia europea fondata sulla conoscenza e sulla lotta contro l’esclusione sociale),si stabilì che la nuova strategia europea per l’occupazione doveva avere una dimensione locale, in quanto le politiche dei governi nazionali avevano dimostrato chiaramente i propri limiti. Pertanto solo la vicinanza e il continuo contatto con tutti gli operatori economici locali avrebbe potuto focalizzare meglio i problemi e trovare le soluzioni più adeguate.
In linea con tali principi, la Regione Sarda si è dotata, con qualche ritardo, di una Legge, la n° 20 del 2005, (Governo Soru) la quale stabilisce che:
“La Regione riconosce il diritto del lavoro come diritto alla persona e promuove le condizioni per rendere effettivo tale diritto…”
“Le Province gestiscono i Centri dei Servizi per il Lavoro al fine di assicurare l’integrazione dei servizi secondo la programmazione regionale…”
“Partecipano al sistema dei servizi per il lavoro la Scuola, l’Università, gli Enti di Formazione, il Terzo Settore, gli organismi istituzionali, le Province e i Comuni…”.
I Comuni e le loro Associazioni (es. A.N.C.I.) contribuiscono alla individuazione di buone prassi per favorire l’occupazione (modellizzazione) tramite un raccordo stretto con le Province, per una serie di azioni comuni che si possono così sintetizzare.
Monitoraggio della consistenza dei fabbisogni occupazionali, con particolare riguardo alle categorie svantaggiate (disabili, disoccupati anziani, donne, ecc.);
Raccolta dei fabbisogni professionali in relazione alle esigenze del tessuto economico e produttivo;
Raccordo con il sistema scolastico e della formazione per garantire occasioni di formazione continua per tutta la vita lavorativa;
Miglioramento del coordinamento tra i servizi comunali di welfare (servizi sociali) con le prestazioni erogate dai servizi provinciali per l’impiego e finalizzati all’inserimento lavorativo;
Raccordo con Italia Lavoro, che è un’agenzia pubblica che fornisce servizi di supporto agli Enti Locali nella progettazione e accompagnamento di attività imprenditoriali che favoriscano l’esternalizzazione di alcuni servizi comunali; ma anche l’ assistenza qualificata allo sviluppo di politiche attive per il lavoro, compresa la creazione di nuove imprese e l’avvio di attività lavorative autonome; in particolare nel settore dei beni culturali e della valorizzazione del patrimonio naturalistico;
Predisposizione del piano locale per l’occupazione (previsto dalla strategia di Lisbona), che è un documento programmatico da attuare in occasione di progetti integrati territoriali con altri Comuni, patti territoriali o altri strumenti di riqualificazione del territorio e di sviluppo locale. Sulla base del Piano può essere richiesto l’intervento finanziario di Stato e della Regione che, si spera, saranno particolarmente sensibili a tutte quelle iniziative volte ad incrementare la ‘buona occupazione’;
Inoltre, ciascun Comune in piena autonomia, potrebbe (anzi dovrebbe):
Aprire i propri uffici e le proprie unità operative alle esperienze lavorative di studenti delle scuole delle superiori e universitari con appositi tirocini formativi, che aumenterebbe le possibilità
di trovare lavoro al termine dell’esperienza in affiancamento (sia le Province che le Regioni finanziano con ‘borse’ i tirocini presso datori di lavoro privati e pubblici per agevolare le scelte professionali post-studio);
Contribuire a combattere il fenomeno del lavoro nero, attivando forme di collaborazione con I.N.P.S. e I.N.A.I.L. per rendere ancora più efficace la normativa che già prevede il controllo sulla regolarità contributiva e sulla natura dei rapporti di lavoro instaurati dalle aziende che hanno rapporti con il Comune;
Favorire la nascita e accompagnare lo sviluppo delle microimprese anche rendendo disponibili strutture e infrastrutture di proprietà comunale, oltre a incentivi quali il prestito d’onore;
Favorire lo sviluppo e l’incremento di professionalità del ‘terzo settore’, cui sono proprie le forme più partecipative di servizio alla collettività, in assenza di scopo di lucro, con l’obiettivo precipuo di reinserire le persone svantaggiate nel mondo del lavoro in settori quali l’assistenza alle persone, i servizi culturali, la protezione dell’ambiente;
Sfruttare al meglio la normativa regionale (L.R. 20/2005) che prevede contributi ai comuni per la gestione di servizi comunali da parte delle cooperative sociali, quelle previste dalla Legge 381/91,. la stessa che prevede l’attività volontaria con finalità sociali a persone destinatarie di sostegno economico.
Utilizzare al meglio la normativa esistente al fine di riservare ai residenti tutte le opportunità di lavoro realizzabili con contributi regionali e statali.
Da questo pur sintetico quadro appare chiaro che i Comuni, pur non avendo competenze specifiche in materia di politiche attive per il lavoro, con la loro azione sono chiamati a far parte di quel ‘fronte di lotta’ che dovrebbe combattere con sempre maggiore incisività il fenomeno della disoccupazione.
Naturalmente non va mai messo in discussione che i Comuni, come ogni altro Ente Pubblico, sono tenuti all’efficienza, in altre parole ad una buona amministrazione, e che questa si misura confrontando la spesa pubblica con la qualità e la quantità dei servizi erogati.
Ma allo stesso tempo va ricordato che il Comune non è un datore di lavoro come gli altri e non ha tra i suoi scopi quello di conseguire e massimizzare dei profitti.
Il Comune crea lavoro anche quando utilizza tutti i fondi disponibili per i cantieri comunali per l’occupazione, per la manutenzione delle opere e degli edifici pubblici, quando favorisce la creazione di imprese locali capaci di gestire pubblici servizi, quando impegna in ogni occasione possibile le imprese e gli artigiani locali, quando valorizza i tecnici (ingegneri, geometri, geologi, agronomi, ecc.) del paese, quando crea le migliori condizioni per l’insediamento di nuove imprese (nelle zone artigianali), quando programma lo sviluppo urbanistico in funzione della crescita dei commerci e delle attività connesse al turismo (con i piani urbanistici e i piani particolareggiati), quando crea le infrastrutture nelle zone agricole (strade, elettrificazione), ecc.
In sintesi, ogni azione, ogni iniziativa dell’amministrazione comunale dovrebbe essere valutata, a parità di costi e di efficacia della spesa, in termini di maggiori ricadute occupazionali possibili.
Come si vede, i Comuni (ciascuno nel suo piccolo) hanno innumerevoli compiti e precise (per chi le vuol vedere) responsabilità per progettare lo sviluppo e con esso il lavoro e l’occupazione.
Le risorse economiche, soprattutto quelle di provenienza comunitarie non mancano. Spesso mancano invece le idee, l’impegno e, quel che è peggio, la consapevolezza delle potenzialità che spesso sono presenti nel territorio e che gli amministratori di turno qualche volta non sanno vedere.

Roberto Montisci

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venerdì 5 novembre 2010

Lavori di rifacimento del manto stradale di Via Cagliari e Viale dei Platani

Pubblichiamo l'interrogazione del Gruppo Consiliare del Partito Democratico per Sardara relativa ai lavori di rifacimento del manto stradale di via Cagliari e Viale dei Platani. http://www.novasdisardara.it/interrogazione%20via%20cagliari%20e%20viale%20dei%20platani.pdf

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giovedì 4 novembre 2010

COME SI SVENDE LA RICCHEZZA DEL PAESE

Pubblichiamo la delibera della Giunta Municipale con cui si vorrebbe regalare l'acqua termale dopo aver svenduto il terreno edificabile.

La pubblica Novas perchè i cittadini non la possono trovare nel sito internet del Comune, dove invece dovrebbe essere se chi amministra si comportasse come le amminstrazioni “virtuose”, che hanno l'albo pretorio e la raccolta delle delibere consultabili in rete.

Ci chiediamo se sia possibile che una simile decisione venga presa in pochi, come “quattro amici al bar”, senza coinvolgere il Consiglio comunale e, data l'importanza, la popolazione.

Spesso sentiamo lodare l'elezione diretta dei sindaci. Ma un sindaco, anche se eletto personalmente e per questo con più poteri, non può amministrare come un dittatore, senza rispondere a nessuno, al Consiglio comunale, ai partiti, alla popolazione.

Questo modo di amministrare produce molti errori, talvolta irrimediabili. L'assenza di discussione democratica impedisce di acquisire conoscenze meno superficiali, di guardare le cose da più punti di vista, di riflettere più a fondo. La "democrazia diretta", del voto diretto alla persona è molto importante, ma non può essere sufficiente. Rischia di portare anche danni se non è accompagnata dalla “democrazia della discussione”. Come cantava Giorgio Gaber “La democrazia è partecipazione”. E la vera partecipazione non è solo votare, ma anche discutere e assicurare trasparenza alle decisioni. http://www.novasdisardara.it/delibera_giunta_comunale_acqua.pdf

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sabato 30 ottobre 2010

Comune di Sardara/Hotel Salute & Benessere Terme Casteldoria

Pubblichiamo la lettera dell'Avv.to Meazza (legale del Comune di Sardara) alla Hotel Salute & Benessere Casteldoria. http://www.novasdisardara.it/lettera%20meazza.pdf

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venerdì 29 ottobre 2010

UN REGALO A PERRA UN DANNO AI SARDARESI

Il 18 ottobre la Giunta comunale ha deliberato, col voto di solo quattro componenti, di concedere a Vincenzo Perra, titolare della ditta COS.VI.P lo sfruttamento a titolo gratuito di tre litri al secondo di'acqua termale. Non si stabilisce la durata della concessione, che appare senza scadenza, e a carico del concessionario viene posto solo l'onere della manutenzione ordinaria e straordinaria del pozzo.
La COS.VI.P è un'impresa edile di Quartu S.Elena, che ha acquistato a 9 euro al mq alcuni terreni da privati e, allo stesso prezzo, ha successivamente ottenuto dal Comune ben 14.870 mq. adiacenti all'albergo comunale, con il 50 per cento della volumetria utilizzabile del comparto F7 del Piano Generale di Sviluppo Turistico, espropriato a suo tempo per realizzare lo stabile comunale.. Nel contratto di vendita è stata inclusa la clausola che consente di rivendere in qualsiasi momento, anche prima di costruire. Oggi Perra riceve in regalo lo sfruttamento dell'acqua realizzando in un battibaleno un bell'affare e ritrovandosi nelle condizioni di farlo fruttare con una classica speculazione immobiliare, rivendendo cioè terreni edificabili, volumetrie e diritti sull'acqua termale.
Le conseguenze per il paese non sono però altrettanto felici.
Innanzittutto l'albergo comunale viene privato di 14.870 mq, posti nella collinetta di fronte al parco dell'Idroterme, che originariamente erano inclusi come sua pertinenza.Un moderno albergo termale ha bisogno di padiglioni per le cure, di un'ampia zona verde, di parcheggi, di percorsi salute, di passeggiate, di impianti sportivi. L'area e la sua volumetria erano indispensabili per ampliare i posti letto, per costruire lo stabilimento per le cure e per aumentare i posti di lavoro. L'attuale giunta ha trovato in cassa ben 2.500.000 euro, che potevano essre tranquillamente utilizzati per questi ampliamenti oltre che per sistemare le carenze dell'edificio esistente. La vendita del terreno comunale quindi ha già creato un danno molto grave, maggiore di quello provocato con la chiusura dell'albergo, perchè ne pregiudica la riqualificazione e lo sviluppo e lo deprezza nel suo valore patrimoniale e commerciale.
In secondo luogo non si rifette a sufficienza sulle possibili conseguenze del concessione senza limiti temporali dello sfruttamento dell'acqua termale. Basti pensare che nel 1898 l'amministrazione comunale, sulla base delle leggi allora in vigore, diede in concessione lo sfruttamento delle sorgenti per un periodo massimo di 60 anni ad un'impresa con evidenti capacità tecniche, garantite dall'Asproni, un personaggio di livello nazionale esperto di problemi minerari, e con notevoli capacità economiche ed imprenditoriali, fornite dal Birocchi. Tra le condizioni contrattuali ci fu l'imposizione di un progetto di grande qualità predisposto da Gaetano Cima, l'architetto sardo più importante dell'epoca, e la cessione al patrimonio comunale degli edifici realizzati allo scadere della concessione. Oggi invece si lascia carta bianca nell'uso dell'acqua e non si valutano i rischi di possibili futuri contenziosi tra Comune, COS.VI.P e gestore dell'albergo comunale. Nell'affidare anche le manutenzioni ordinarie e straordinarie del pozzo comunale si possono creare incertezze su chi possa e debba avere in concreto il controllo dell'emungimento dell'acqua..
Infine appare stravagante la faciloneria con cui si procede. La materia delle concessioni minerarie e delle acque termominerali è regolata da una precisa normativa della Regione sarda, che ha competenza esclusiva in materia. La legge, tra le altre cose, impone che chi richiede la concessione dell' acqua termominerale debba presentare un progetto con i relativi elaborati grafici con annessa una relazione tecnico- finaziaria. Serve cioè, in via preliminare, un progetto dell'albergo termale e della strutture che utilizzeranno l'acqua (piscine, stabilimento per le cure...) unito alla presentazione del piano finanziario con le risorse necessarie per l'investimento. E' poi richiesta un'adeguata documentazione che provi la capacità tecnica ed economica per condurre l'impresa, attestata dallo stato del patrimonio della società e da regolari certificazioni delle banche, che dimostrino che si hanno disponibili i capitali sufficienti per realizzare l'investimento. Bisogna inoltre produrre la documentazione che dimostri la capacità tecnica per affrontare la costruzione e la gestione dell' albergo e degli impianti con la presenza nella compagine sociale di imprenditori già operanti nel settore, di medici specialistici nelle cure termali.... E' ancora richiesto un programma dei lavori indicante le attività da svolgere nel primo anno.
A Sardara rinunciando a tutto questo non solo non si seguono le disposizioni della legge, ma si rinuncia al proprio dovere di programmare e di guidare lo sviluppo. In più non ci si cura dei rischi e dei problemi che possono insorgere anche rispetto all'impresa che gestisce lo stabilimento privato dell'Idroterme, che può riceverne contracolpi pesanti. La COS.VI.P vuole attivare cure termali? Intende realizzare la fangoterapia, le cure idropiniche,quelle inalatorie, altre cure...? Si intendende promuovere una concorrenza selvaggia con lo stabilimento attuale oppure si intende coordinare le due attività facendo sistema, costituendo un polo termale integrato in cui ognuno abbia un suo spazio, una sua specializzazione,un suo segmento di mercato?
Ma il Comune può affidare a terzi la concessione dell'acqua? Può procedere a subconcederla dopo averla ottenuta dall'Assessorato Regionale all'Industria per far funzionare il proprio albergo termale? La legge regionale non lo prevede, anzi la mancata utilizzazione diretta della risorsa termale, purtroppo già avenuta con la chiusura dell'albergo, è causa di decadenza e di revoca della stessa concessione mineraria. Farebbe pertanto bene l'ingegnere del Comune a verificare la legittimità della subconcessione prima di assumere atti di impegno definitivi. Tutelerebbe se stesso, il Comune e gli stessi amministratori, che appaiono agire con una incredibile leggerezza.
r.c.

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Tre punti fermi per la riforma fiscale

Pubblichiamo l'articolo e il testo della mozione sul fisco presentata alla Camera dal Partito Democratico.
"La mozione del Pd per una riforma fiscale basata su tre capisaldi: l'aumento dell'aliquota per le rendite finanziarie al 20%; la diminuzione del primo scaglione di aliquota al 20%; il tetto al 20% al reddito da impresa, per poi passare alla normale aliquota Irpef per la parte eccedente. "Il fisco è un'urgenza. Non è tema su cui girare attorno per anni. Questo governo non è in grado di fare riforme e allora la proponiamo noi al Parlamento". Così il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha introdotto la presentazione della riforma fiscale messa a punto dal Pd in una conferenza stampa alla Camera con Dario Franceschini, Francesco Boccia, Michele Ventura e Stefano Fassina. Per il leader del Pd si tratta di "un'operazione tesa anche a rilanciare l'attività del Parlamento che è stato totalmente privato della materia economico-finanziaria". Una piccola rivoluzione perché “in questo testo ci sono novità radicali anche rispetto alla nostra esperienza. Il senso è quello di arricchire l'impresa più che l'imprenditore e inserire criteri di equità".La riforma fiscale che il Pd propone si basa sui cosiddetti tre 20. "Possiamo sintetizzarla – ha spiegato il capogruppo Franceschini - come i 'tre 20': primo, la riduzione al 20% dell'aliquota sul primo scaglione; secondo, portare dal 12,5 al 20% la tassazione dei redditi da capitale ad esclusione dei titoli di Stato; terzo, applicazione dell'aliquota del 20 % al reddito d'impresa e da lavoro autonomo". La riforma arriverà al voto il 23 novembre e ha continuato Franceschini. "potremo anche votarla per parti separate in modo che la maggioranza possa esprimersi sui singoli punti".Nel testo della mozione presentata dal Pd si legge: "I principali settori d'intervento sono le famiglie, le attività autonome e professionali, le imprese e i redditi da capitale, l'innovazione 'verde', l'evasione fiscale, il coordinamento sovranazionale delle politiche fiscale". Sul bonus si spiega: "unificazione delle detrazioni fiscali e degli assegni familiari al nucleo familiare nel 'bonus per i figli, un istituto unico, generalizzato". Durante la conferenza stampa Bersani non ha risparmiato dure critiche nei confronti del ministro dell'Economia. "Tremonti non dica che vogliamo tassare le vecchiette, perché anche noi preserviamo i bot. Ma non è possibile che un lavoratore dipendente paghi di più di chi ha le rendite. Di cose così invereconde, non ne possiamo più". E sulla copertura finanziaria che si dovrebbe ottenere soprattutto dalla lotta all'evasione fiscale, Bersani ha ribadito che "Tremonti dice che è come mettere il carro davanti ai buoi. Ma se lui ha messo una decina di miliardi a sostegno dell'equilibrio di bilancio indicandoli come previsione di lotta all'evasione: ha messo una carovana davanti ai buoi. E poi non si capisce da dove arrivano questi soldi visto che questo governo la lotta all'evasione è chiaro che non la vuole fare. Tremonti è quello che ha fatto il più vergognoso condono della storia e negli ultimi due anni il rapporto tra il recupero dell'evasione ex-post e la perdita di gettito dovuto alla riduzione della fedeltà fiscale è stato di 1 a 10: per ogni miliardo di euro di maggior recupero dai controlli, si è avuto un aumento di evasione di 10 miliardi di euro".Il leader democratico ha voluto anche rispondere alla proposta di tagliare 300mila posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione. "Tutto si può fare - ha detto il segretario del Pd - persino una riduzione del turn over nella Pubblica amministrazione. Anzi, io sono per una razionalizzazione. Ma va fatto prima un progetto industriale, bisogna indicare nuove missioni, cosa un ministero non deve più fare e cosa invece deve fare. Se mandiamo a casa così, alla carlona..." Per Bersani, "questo è il limite del brunettismo, che gioca sui comportamenti, sui fannulloni. Ma non raccontiamo miracoli, basta chiedere alle imprese per capire che c'è stato un aumento delle pratiche". A.Dra" http://www.novasdisardara.it/mozione_fisco110767.pdf

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mercoledì 27 ottobre 2010

La Politica e le Terme: a ciascuno il suo

Domenica 10 ottobre: ho appena terminato di leggere l’editoriale pubblicato su La Gazzetta del Medio Campidano. Si parla di Terme: a volte dimenticate, altre volte ignorate, ma da sempre poste al centro di una guerra senza fine fra guelfi e ghibellini.
Si parla di un’opportunità per Sardara, per la Provincia e per la Regione.
La via d’uscita suggerita sarebbe quella di “prendersi per mano” per individuare la cura. Per chi non conosce l’argomento, sembrerebbe ovvio l’invito fatto dal redattore.
Purtroppo la situazione è diversa da quella descritta. Almeno per come la conosco, dopo dieci anni passati fra i banchi del consiglio comunale.

Individuare la cura implica innanzitutto fare una diagnosi. Se non condividiamo quest’ultima, è impossibile ricercare e condividere la cura.
La mia diagnosi è però un’altra rispetto a quella sostenuta dall’editoriale. Non si tratta, secondo me, di un problema di colore politico.
Inoltre il vero problema di oggi, la chiusura dell’albergo comunale, non si risolve coinvolgendo Regione e Provincia.

Perché dico questo? La struttura comunale (gli ex Eucalipti) è chiusa non perché il “pubblico” non se ne fa carico, quanto e piuttosto per l’esatto contrario: l’eccessiva ingerenza della politica.
Mi spiego meglio. In consiglio comunale, ho sempre sostenuto che il compito degli amministratori è quello di individuare un percorso di sviluppo per il nostro paese.
A Sardara, questo percorso non può prescindere dalla risorsa termale e dalla sua valorizzazione.
Una vera e propria industria. Le due strutture, di cui una pubblica e una privata, possiedono un potenziale ricettivo di 270 posti letto, danno lavoro a un centinaio di persone (seppur stagionali), movimentano oltre 35.000 presenze turistiche all’anno. Se moltiplichiamo il numero delle presenze per una spesa media di 100 euro al giorno (stima prudenziale) si capisce meglio di cosa si parla.

Tuttavia, se la struttura privata continua a essere un punto di riferimento nel panorama regionale, l’albergo di proprietà comunale è invece chiuso da oltre un anno.
Allora la vera domanda da porre è un’altra: perché è chiuso?
Cosa c’entrano la minoranza consiliare, la Provincia o la Regione?
Il vero problema è la qualità della politica di chi amministra il paese.
A Sardara si è scelto un percorso non condiviso: si è scelto di non far applicare le regole, si è optato per la strada della commistione e dell’ingerenza politica rispetto a scelte gestionali che fanno invece capo a funzionari dell’Ente Locale oppure all’imprenditore.
Questa è la mia diagnosi: “troppa politica” locale nella gestione pubblica e privata che riguarda le Terme. Troppo interessata ad affidamenti, lavori, forniture e assunzioni. Non va bene.

La politica locale, provinciale e regionale hanno semmai un altro compito.
Quello si sedersi attorno a un tavolo e fare un ragionamento complessivo che riguarda la zona termale. Fare un’analisi e quindi una programmazione per potenziare e valorizzare al meglio il compendio di Santa Maria Aquas, avvalendosi di esperti e architetti di spessore.
Deve occuparsi di marketing turistico pubblico, ossia rendere attrattivo il territorio.
Non ha il compito invece di occuparsi della gestione delle singole strutture ricettive.
Il “pubblico” non deve fare impresa, ma deve piuttosto creare le condizioni per farla insediare all’interno di un disegno complessivo di sviluppo.

Il compito di noi amministratori è quindi quello di definire il quadro organico degli obiettivi e delle regole che permettono di raggiungere gli stessi.
Bisogna lasciar stare aggiudicazioni, lavori, forniture e assunzioni.
Lasciamo che il privato, che rispetta le regole, faccia il suo mestiere senza interferenze, nella speranza che il privato non chieda “piaceri” alla politica. Solo in questo modo si esce dall’empasse.
Il resto sono scorciatoie che non porteranno da nessuna parte.

Peppe Garau

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lunedì 25 ottobre 2010

Sardara, amministrative 2011. Il paese ad un bivio.

A pochi mesi dalle elezioni amministrative, i Partiti che si riconoscono nel centro-sinistra hanno avviato una discussione pubblica sul futuro del paese, anche alla luce dei gravi errori politici e amministrativi commessi dal centro-destra in questi ultimi cinque anni.
L’elenco è lungo (e ormai noto) ed è opinione diffusa che tale eredità negativa sarà una pesante palla al piede che rallenterà l’azione della prossima amministrazione comunale.
L’impressione oggi è che i sardaresi abbiano una gran fretta di cambiare rotta (e amministrazione), tanto diffuso è lo scontento, che riguarda ormai tutti gli ambiti dell’attività amministrativa.
Se l’impressione è giusta, i Partiti del centro-sinistra non devono far altro che mettersi al lavoro per compilare un programma realistico e dettagliato e cominciare a pensare alla composizione di un gruppo coeso e omogeneo che si dovrà occupare di amministrare il Comune nei prossimi cinque anni.
Tutto semplice? Si e no, viste alcune osservazioni e qualche perplessità espressa nel dibattito pubblico e anche su questo blog.
In effetti, rispetto a cinque anni fa, ci sono alcuni fatti nuovi che impongono qualche (urgente) riflessione.
Se da un lato, l’aggregazione di centro-sinistra che si prospetta sembra più composita (nel 2006 alcuni partiti neppure esistevano, compreso il più importante, il Partito Democratico, fondato nell’ ottobre del 2007), dall’altro la composizione del Consiglio e della Giunta saranno diversi: oggi sedici consiglieri e sei assessori mentre del 2011 saranno rispettivamente tredici e quattro (sempre che il Consiglio Regionale non approvi la proposta di Legge, che è già stata presentata, per lasciare le cose come stanno).
Una situazione nuova, da cui deriverebbe una riduzione degli spazi di rappresentanza politica. Una situazione che si colloca all’interno di un quadro locale che vede drasticamente aumentata la distanza tra amministratori e cittadini, aggravando il già difficile rapporto esistente a livello generale tra i cittadini-elettori, i politici e le istituzioni.
Infine, il dibattito sta ponendo (con una certa insistenza) un accento particolare sulla questione del rinnovamento, dei giovani da (non) mandare allo sbaraglio, la scelta di ‘coraggiosi’ disposti ad affrontare in prima linea una situazione amministrativa particolarmente difficile, ecc.
Tutte questioni che qualche problema effettivamente lo pongono.
Ma per contribuire a risolvere problemi nuovi ci vogliono idee e proposte nuove, e qualche spunto è già emerso nei dibattiti e negli scritti.
Finora si è parlato di tavoli di discussione ‘allargati’, cioè composti dai rappresentanti di tutti i partiti, in opposizione a tavolini ‘ristretti’ a cui siedono in pochi (c’è chi li ha definiti, con un brutto termine, ‘capi-bastone’…).
Ma tavoli e tavolini per decidere cosa?
Se è per scrivere un programma serio e realistico è certamente una buona idea.
Se è per decidere la composizione di giunta, consiglio e Sindaco non è per niente una buona idea.
Già basta una certa terminologia (che è forma ma anche sostanza), per richiamare alcuni vecchi metodi (e vizi) della politica che la gente ha da tempo ripudiato e che sono la causa dell’astensionismo e della sfiducia crescente verso i politici e le istituzioni, che contrastano con la dichiarata volontà dei Partiti di rinnovarsi e di individuare nuovi metodi di partecipazione.
Sono più convincenti gli inviti di alcuni giovani, quelli che chiedono di guardare avanti e che propongono una politica nuova, quando questo termine non significa semplicemente una questione di solo ricambio generazionale.
La buona notizia è che più d’una di queste voci proviene proprio dalle fila del Partito Democratico, il mio partito.
C’è da esserne fieri perché una politica ‘nuova’, quella che ci chiedono con forza i cittadini (ma soprattutto i nostri elettori) ben si addice ad un partito ‘nuovo’ quale è il P.D.
E allora c’è da attendersi che proprio il P.D., saprà far proprie queste istanze cominciando proprio dagli impegni che lo attendono in vista delle prossime elezioni amministrative.
Un ulteriore sostegno a questa esigenza di rinnovamento può venire dalla disamina di uno di quei tentativi di innovare la politica in Italia che è stata con la riforma dell’elezione dei Sindaci del 1993.
Fino al 1993 il Sindaco era eletto dal Consiglio Comunale e poteva essere sostituito in qualunque momento da una nuova maggioranza (e ciò era spesso causa di instabilità).
Dal 1993 in poi il Sindaco viene invece eletto direttamente dai cittadini, cosa che gli conferisce ampi poteri ed una maggiore autorevolezza. Egli nomina gli assessori e il vice-sindaco e se decade per qualunque motivo, non può essere sostituito e la parola passa agli elettori.
E, in effetti, da allora è aumentata la stabilità delle amministrazioni locali.
Però la volontà del Legislatore era chiara: far scegliere il Sindaco ai cittadini rafforzandone il ruolo al fine di rendere più stabili le amministrazioni di Comuni e Province.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Si può dire che l’obbiettivo è stato raggiunto, ma solo a metà.
Infatti l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province è stata in parte vanificata dal momento che i cittadini fino ad oggi non hanno potuto scegliere se non l’unico nome proposto dalla coalizione, quasi mai individuato con metodi democratici (così che resta il dubbio che si possa ancora parlare di ‘elezione diretta’…).
E ciò perchè i partiti non hanno mai voluto rinunciare alle vecchie pratiche fatte anche di accordi e compromessi (non sempre comprensibili e tantomeno trasparenti), che sono la causa di molti mali e spesso della instabilità di molte pubbliche amministrazioni (basta guardare a quanto accade in questi giorni alla giunta Cappellacci).
Ecco perché servono, anzi urgono, politiche nuove.
Che fare?
Forse la soluzione è più a portata di mano di quanto sembra e si trova nelle stesse basi costitutive del Partito Democratico, ossia lo strumento delle elezioni primarie.
Un metodo nato non per dirimere le controversie interne ai partiti (qualche volta si..) ma per aprire il partito democratico (e la politica in genere) ad una vera, autentica partecipazione democratica , soprattutto in occasione della individuazione delle più importanti cariche istituzionali.
Ad un candidato sindaco scelto con le primarie (con il contributo degli elettori di tutti i partiti della coalizione) e successivamente eletto direttamente dai cittadini si potrebbe (e si dovrebbe) attribuire l’intera responsabilità di nominare i propri collaboratori (gli assessori) senza necessariamente passare attraverso una trattativa (ne preventiva ne successiva) vecchio stile tra i vari partiti, anche se il Sindaco, una volta eletto, dovrebbe tenere conto dell’apporto elettorale dato da ciascun Partito, non con criteri rigidi dovuti al consenso ottenuto, ma alla competenza posseduta in relazione all’incarico da ricoprire..
Ma deve trattarsi di primarie vere, estese a tutti i cittadini, in modo da sottrarre ai partiti la scelta del candidato e trasferire questa potestà ai cittadini-elettori del centro-sinistra.
Tale ragionamento andrebbe esteso , ovviamente, in qualunque ipotesi che presenti più candidati, sia che appartengano allo stesso partito che a partiti diversi, (altrimenti che primarie sarebbero?), Più chiaramente, se uno stesso partito dovesse esprimere più di una candidatura, ad essere chiamati ad esprimersi non sarebbero i soli elettori di quel partito e tantomeno i tesserati dello stesso partito, ma sempre e comunque tutti i cittadini che intendessero esprimere la propria opinione.
Si conseguirebbero così una serie di risultati positivi.
In primo luogo la massima apertura democratica ed una reale partecipazione dei cittadini alle scelte fondamentali per la comunità.
Una sicura garanzia di stabilità per l’intera durata del mandato elettorale.
Il superamento dei problemi posti in ordine al rinnovamento, alla riproposizione di candidati più esperti e navigati (e nessuno avrebbe nulla da eccepire, perché sarebbe la gente a scegliere).
E poi, in fin dei conti, non è proprio questo che gli elettori ci chiedono, inascoltati, da troppo tempo? Non è forse l’assenza di nuovi strumenti di democrazia che allontana la gente dalle urne, proprio perché considera il proprio ruolo di elettore ininfluente ai fini delle scelte?
Allora bisogna crederci e dobbiamo provare a dare ai sardaresi l’opportunità di una nuova esperienza di vita democratica.
In questo senso, nel 2011 il paese si troverà ad un bivio: un nuovo corso fatto di partecipazione e democrazia o un ritorno alla vecchia politica.
Roberto Montisci

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giovedì 21 ottobre 2010

La centralità politica del lavoro

Pubblichiamo l'articolo di Massimo D'Alema pubblicato sul numero 4/2010 del bimestrale Italianieuropei.
"Parlare di lavoro in questo autunno in cui la crisi economica sembra lasciare spazio ai primi timidi segnali di ripresa significa ancora discutere della sua mancanza, del lavoro che non c’è. I dati che riguardano questo aspetto della crisi, del resto, sono impressionanti. Nell’Unione europea, solo nel 2009, sono andati persi circa quattro milioni di posti di lavoro, mentre nel nostro paese, nel periodo aprile 2008-luglio 2010, il numero di occupati si è ridotto di circa 670.000 unità. A fine 2009, in Italia si contavano più di due milioni di disoccupati, a cui vanno aggiunte le diverse migliaia di lavoratori a rischio di cassa integrazione o mobilità. Dietro la freddezza di questi numeri si nascondono drammi personali e familiari di cui la cronaca rende solo marginalmente testimonianza. Siamo di fronte a quella che credo vada definita la più grave emergenza sociale dei nostri giorni. Non solo perché individui e, a volte, interi nuclei familiari vengono così privati di un’indispensabile fonte di reddito, ma anche perché viene loro a mancare una imprescindibile dimensione esistenziale.Questo quadro dalle tinte già fosche si incupisce ancora di più se, distogliendo lo sguardo da coloro che un’occupazione non ce l’hanno, ci soffermiamo su chi, invece, ha un lavoro precario e vive quindi in una permanente condizione di incertezza per il futuro. Si tratta, anche in questo caso, di una fetta considerevole di lavoratori che, lungi dallo sperimentare le conseguenze di quel processo di “liberazione” del lavoro e del lavoratore che il superamento del fordismo e del taylorismo promettevano, subiscono invece gli effetti del progressivo deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro di cui siamo stati testimoni negli ultimi due decenni.È la prima volta nella storia dell’uomo che abbiamo di fronte una generazione che rischia di vivere nell’insicurezza, nell’assenza di certezza, e che è costretta a fare del precariato la sua unica forma di impegno lavorativo. Il lavoro è infatti spesso vissuto, quando c’è, come una forma di sfruttamento che genera insoddisfazione e precarietà. Ciò è vero soprattutto per le nuove generazioni, che sperimentano in prima persona e drammaticamente i fenomeni della disoccupazione e dell’inattività, della precarietà o del sottoinquadramento, che colpisce circa il 30% dei giovani occupati e che testimonia dell’incapacità del sistema economico di valorizzare il capitale umano che ha a disposizione, scoraggiando i lavoratori più istruiti, che dovrebbero essere invece l’elemento su cui costruire processi virtuosi di promozione dell’innovazione e della competitività.Per la prima volta ci troviamo di fronte ad una generazione che rischia di vivere nell’insicurezza lavorativa ed esistenziale, che non riesce, in mancanza di un elemento essenziale quale un reddito sicuro su cui fare affidamento, a programmare (a volte anche a immaginare) il suo futuro. Parlare di lavoro non vuol dire interessarsi soltanto di un problema economico, ma pensare al futuro dei nostri figli.Porsi il problema del lavoro significa pertanto, in primo luogo, occuparsi della sua dimensione quantitativa, e quindi definire le misure economiche che, attraverso il rilancio dell’economia e delle attività produttive, possano creare nuove opportunità occupazionali per i giovani, per le donne, per chi vive nel Meridione d’Italia, per chi non è riuscito a sottrarsi alla trappola del lavoro irregolare, per tutti coloro che attualmente sono esclusi o rischiano di rimanere esclusi dal mondo del lavoro. Significa però, non secondariamente, interrogarsi sulla qualità dell’occupazione che si spera verrà generata dalla ripresa economica. Invece, la questione della conservazione e della creazione di posti di lavoro viene attualmente declinata nel nostro paese (e purtroppo non solo da noi) nei termini di un’equazione a somma zero fra occupazione e diritti, come se a maggiore lavoro dovessero necessariamente corrispondere minori tutele.Questa visione ha il difetto di non interrogarsi su diversi altri elementi fondamentali di ogni analisi delle dinamiche del processo produttivo quali la valorizzazione del capitale umano, l’incremento della produttività del lavoro, l’incidenza del costo del lavoro sul prodotto finale, i fattori di innovazione di processo e di prodotto.Alla crisi di un modello di produzione industriale quale quella che il nostro sistema economico sta vivendo vengono proposte soluzioni basate sulla delocalizzazione verso contesti caratterizzati da un più basso costo del lavoro o, in alternativa, sul peggioramento delle condizioni di lavoro e salariali nel nostro paese, secondo un processo di livellamento verso il basso che è la negazione stessa di ogni interpretazione virtuosa del processo di mondializzazione. Spingendo all’estremo questo approccio – mi sia concessa la provocazione – si potrebbe addirittura arrivare a considerare il ricorso al lavoro nero e irregolare, quello per definizione con minori diritti, come la via più efficace per creare occupazione, o a teorizzare la stessa inutilità (o dannosità) del sindacato e di qualsiasi elemento di mediazione nel mercato del lavoro. Il dibatto politico, in questo inizio d’autunno così frenetico, sembra non cogliere la gravità dell’emergenza, vittima com’è della conseguenza ultima di quel processo di rottura del nesso tra soggettività politica e lavoro che segna oggi la crisi dell’intera sinistra europea. Viviamo infatti in un tempo in cui il lavoro non costituisce più il terreno principale dello scontro politico, rimettendo così in discussione la missione stessa della sinistra, che non trova più nel lavoro il luogo fondativo della sua soggettività politica, tanto dal punto di vista pratico quanto da quello teorico.Una autentica forza riformista dovrebbe invece non solo, semplicemente, ricominciare ad interessarsi delle problematiche del lavoro, ma dovrebbe anche, a questo proposito, essere in grado di compiere una riflessione capace di leggere le dinamiche sociali, economiche e politiche della contemporaneità, di comprendere quanto di nuovo c’è nel mondo che abbiamo di fronte, senza indulgere in risposte basate su scelte puramente difensive, ma soprattutto senza sottrarsi alla sfida di pensare ad un sistema economico in grado di produrre ricchezza attraverso la valorizzazione del lavoro e non attraverso il suo depauperamento.Di fronte a problemi che investono la trasformazione del mercato del lavoro, ma che riguardano anche la dignità dell’individuo, le sue prospettive future, la sua collocazione sociale, per non dire delle ripercussioni sulla vivacità della vita democratica, sarebbe necessario promuovere una riflessione che eviti di cadere ancora nell’errore dell’analisi settoriale (economica, giuslavoristica o sociologica che sia) per guardare invece al problema nella sua complessità e nella ricchezza delle sue intersezioni, come solo la migliore politica sa fare. In questo mondo del lavoro multiforme e frammentato gli interlocutori di riferimento della sinistra sono stati, fino ad oggi, solo una determinata parte dei lavoratori: ciò che residua del vecchio lavoro fordista-taylorista. Il rapporto esclusivo con questa parte rischia di diventare un ostacolo sulla strada della costruzione di legami con i soggetti più sfruttati e socialmente emarginati del mondo del lavoro. Ripensare il rapporto con il lavoro nella sua complessità richiede alla sinistra la pazienza e l’umiltà di calarsi in quel mondo, riducendo le disuguaglianze, ampliando il campo dei diritti, ridefinendo caratteri e obiettivi dello Stato sociale, immaginando un sistema di protezione universalistico e contrastando le derive corporative. Si tratta di uno sforzo complesso, che richiede la capacità di misurarsi con le contraddizioni che attraversano il nostro campo, ma senza il quale non si ricostruisce il rapporto tra la sinistra e i lavoratori.Ridare centralità al problema del lavoro e alle sue conflittualità e offrire rappresentanza politica al lavoro nelle sue forme “moderne” come nelle sue forme più tradizionali dovrebbe essere il compito fondamentale di una sinistra che non voglia confinarsi ad un ruolo minoritario o rassegnarsi di fronte ad una realtà che vede progressivamente spostarsi a destra la rappresentanza delle forze produttive.Il ventennio che abbiamo alle spalle è stato segnato da un’egemonia neoliberista che ha portato con sé l’impoverimento del lavoro e una progressiva spoliazione del lavoro dai diritti. Il lavoro è stato nuovamente ridotto a merce, nel senso che in questo processo è stata in parte smantellata quell’opera di demercificazione del lavoro compiuta in un secolo di storia europea. E ora che l’Europa sta perdendo una parte dei suoi privilegi e scarica il costo di questo arretramento sul mondo del lavoro, a pagarne il prezzo non è l’Europa nel suo insieme, ma solo una parte di essa, come dimostrano gli impressionanti dati sulla crescita delle disuguaglianze sociali negli ultimi quindici anni. È come se di fronte alla globalizzazione ci fossero due Europe: da un lato quella della grande finanza, che si arricchisce del lavoro di chi non è europeo, globalizzando la sua capacità di estrarre plusvalore dal lavoro; dall’altro l’Europa del lavoro, che paga l’intero prezzo del mutamento dei rapporti di forza mondiali.Una sinistra che non voglia arretrare a ruolo di minoranza etica, espressione del ceto medio riflessivo, ma che voglia invece riappropriarsi, sottraendone il monopolio alla destra conservatrice, delle istanze del mondo del lavoro e dell’impresa più minacciati dalla concorrenza internazionale dovrebbe poter offrire uno sbocco diverso a quelle paure che la destra cavalca in chiave antiglobale, di difesa e di chiusura.Per questa ragione è necessario uno sforzo per rimettere radici nei conflitti sociali nella loro complessità. Non penso di andare alla ricerca di un rapporto di tipo ideologico tra il lavoro e la politica. Penso invece alla necessità di rimettere i piedi nelle linee di frattura che attraversano il campo del lavoro: il conflitto tra garantiti e non garantiti, tra autoctoni e immigrati, tra vecchi e giovani, tra uomini e donne, per ricostruire un nesso di solidarietà. La riduzione delle disuguaglianze non è, infatti, un dato naturale, ma passa attraverso un riformismo intelligente e innovativo.Siamo di fronte a una questione cruciale per le nostre democrazie, che riguarda la loro capacità di mediare tra diversi interessi regolando i conflitti. Il fatto che il 15% della forza lavoro di questo paese non abbia diritti politici non è soltanto un problema che riguarda gli immigrati, ma il pericolo di impoverimento della nostra democrazia, che rischia di diventare sempre più elitaria e censuaria, fondata sui metechi, sugli schiavi: la polis nel senso regressivo del termine. Il fatto che il 15% della forza lavoro sia privo di diritti di cittadinanza significa che la gran parte delle donne che svolgono lavori domestici, fondamentali alla tenuta dell’organizzazione sociale, non hanno diritti politici; che moltissimi degli operai che svolgono mansioni negli strati più bassi del lavoro manuale, i braccianti agricoli, i lavoratori delle fonderie e delle concerie, non hanno diritto di voto; che il 10% del PIL non ha diritto di voto. Questo è un problema che non investe soltanto la condizione soggettiva dell’immigrato, ma riguarda la struttura stessa della nostra democrazia e rischia di indurre un’alterazione molto profonda. Il rapporto tra lavoro e politica, il nesso fra lavoro e democrazia ha in questo nodo un punto di crisi drammatico. È preoccupante non vedere un’azione all’altezza della enormità di questa questione.Ritengo che il problema del lavoro debba essere il primo punto di una riflessione politica e di un programma di governo riformista. Non si tratta di andare alla ricerca di un rapporto di tipo ideologico tra il lavoro e la politica, quanto di penetrare nelle linee di frattura che attraversano il campo del lavoro: il conflitto tra garantiti e non garantiti, tra autoctoni e immigrati, tra vecchi e giovani, tra uomini e donne, per ricostruire un nesso di solidarietà. La riduzione delle disuguaglianze non è, infatti, un dato naturale, ma passa attraverso un riformismo intelligente e innovativo.Se per una lunga fase il lavoro ha avuto la capacità di dare impulso alla politica della sinistra, oggi è la politica a dover restituire un ruolo e una dignità al lavoro, facendo crescere le ragioni comuni attraverso un’articolazione delle lotte sociali, un mutamento delle strutture contrattuali e un ampliamento della capacità di rappresentanza sindacale. Siamo di fronte ad un’emergenza e ad una serie di sfide di portata epocale: le scelte da compiere e le iniziative da intraprendere sono molte e difficili, ma il problema che abbiamo di fronte è di una gravità tale che sarebbe da irresponsabili eluderlo.È necessario che la sinistra rimetta le radici nel lavoro, per elaborare e farsi portatrice di un concetto più ampio del lavoro in qualche modo liberato dalla sua dimensione tradizionalmente classista: il lavoro come attività umana essenziale non solo ad un progetto di autorealizzazione, ma soprattutto come forma e strumento di partecipazione alla vita civile del paese.Tutto questo dovrebbe inoltre essere filtrato attraverso una chiave di lettura generazionale, poiché ci troviamo oggi di fronte a un drammatico problema di disoccupazione giovanile. In Italia circa due milioni di giovani non studiano né lavorano. Si tratta di un dramma sociale e umano di proporzioni gigantesche e rappresentare questo conflitto è secondo me un compito fondamentale di una sinistra che non voglia soltanto confinarsi nella sua rappresentanza sociale tradizionale.In un bellissimo libro, “La misura dell’anima”, due studiosi inglesi, Kate Pickett e Richard G. Wilkinson, spiegano come non sia la quantità della ricchezza di un paese a generare la felicità, bensì il grado di eguaglianza, di coesione sociale e di civiltà. Da questo punto di vista noi siamo una grande civiltà capace di produrre una qualità della vita straordinaria, facciamo di tale capacità l’anima del nostro continente. Ciò può essere ragione d’orgoglio per gli europei; quell’orgoglio venuto meno ogni volta che, in questi anni, l’Europa si è sentita come un’America mancata e si è lanciata all’inseguimento di quei modelli che hanno portato alla grande crisi. Non vedo il sogno europeo trionfare in America: mi accontenterei che diventasse parte integrante del progetto della sinistra e, per quanto possa apparire molto ambizioso, poiché la forza dei progetti si misura molto prima che si realizzino, vedo questo come uno degli elementi che possono contribuire alla crescita ideale e culturale della sinistra europea. Sarebbe un modo per riappropriarci di un patrimonio, quello del progetto europeo, in cui le forze progressiste del continente, purtroppo, non si sono mai identificate fino in fondo. È compito della politica, della buona politica, indicare le soluzioni migliori ai problemi sociali più gravi e urgenti. Il lavoro è certamente fra questi." Massimo D'Alema

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Lettera dimissioni Assessore Serra

Pubblichiamo la nota relativa alle dimissioni dell'Assessore Vittorio Serra.http://www.novasdisardara.it/dimissioni%20assessore%20serra.pdf

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mercoledì 20 ottobre 2010

Ecco cosa rimane delle “Nuove Iniziative”

Siamo ormai al termine della legislatura. E’ arrivato quindi il momento di fare alcune considerazioni sull’operato di questa amministrazione.
Una legislatura ricca di attese e di aspettative. Soprattutto per due ordini di motivi: i protagonisti e un nuovo modo di amministrare. Una lista guidata da un Sindaco che per dieci anni è stato consigliere di minoranza, una lista che doveva rappresentare quella cultura politica che ha coniato lo slogan del “governo del fare”.
Un programma elettorale all’insegna della trasparenza, della legalità, della rottura rispetto al passato delle sinistre, delle nuove iniziative capaci di ridare slancio al paese definito…morto!
A loro l’oneroso compito di ridargli vita.

Invece, sin dall’inizio ho avuto l’impressione che la maggioranza abbia cercato di sopperire alla mancanza di una progettualità complessiva, effettuando scelte contingenti, non coordinate e che talvolta avvenivano su impulso esterno.
Ci si è rimessi alle istanze provenienti dai privati, oppure alla possibilità di partecipare a qualche bando per ottenere un finanziamento. Non mi sembra che ci sia stata una programmazione a monte, individuando obiettivi, priorità e risorse, quanto piuttosto l’idea che fosse sufficiente allargare le maglie per far insediare le “nuove iniziative”. La valutazione delle stesse iniziative doveva rappresentare solo l’iter conclusivo del percorso. Una sorta di “lasciamo fare”, di carta libera, poi si vedrà…

Una concezione e un’impostazione dello sviluppo del paese fondata su una costante: l’utilizzo improprio del territorio e del patrimonio comunale.
Costruire, vendere, acquisire, tutta l’azione amministrativa è stata improntata da questa frenesia che ricorda più un’agenzia immobiliare che un Ente Locale.
Non mi dilungo oltre, voglio portare all’attenzione dei lettori il cosa rimane dopo quasi cinque anni. Ecco una sintesi delle “nuove iniziative”.

Rimane un PIP (la zona artigianale) in buona parte infrastrutturato ma con poche imprese, mentre nelle assemblee pubbliche il Sindaco ostentava decine e decine di imprenditori pronti a investire non appena fosse cambiata la Giunta. Invece, buona parte delle imprese oggi insediate avevano già presentato domanda nella passata legislatura.
Rimane fortunatamente solo il progetto di un parco eolico bloccato dalle inchieste che hanno visto coinvolto il Governatore della Sardegna, i vertici della PDL e noti faccendieri. In quel momento il vento ha smesso di soffiare anche in paese.
La bocciatura da parte della Regione e della Provincia ha poi sventato il tentativo di edificare la fascia lungo la strada provinciale per le Terme. Nelle carte della variante al piano urbanistico comunale si parlava impropriamente, ma volutamente, di “albergo diffuso”, tipologia di struttura ricettiva che secondo la definizione normativa può essere edificata solo nei centri abitati. E’ stata così evitata una striscia costituita da bungalows e villette.
Rimane, per ora, la vendita di un terreno comunale in prossimità della struttura alberghiera, precedentemente espropriato per fini di interesse generale, che costituisce l’ultimo colpa di coda rispetto all’idea iniziale della “cittadella termale”. Vendita che prevede la possibilità di rivendere.
Peccato che in questo modo l’Ente Locale abdica completamente al suo ruolo di programmazione urbanistica e di sviluppo per rimettersi completamente agli interessi, seppur legittimi, di singoli privati. Mi sembra così banale ribadire che l’interesse collettivo non necessariamente coincide con l’interesse di un privato, giova comunque ricordarlo.
Abbiamo venduto un terreno ma abbiamo “acquisito” alcuni chilometri della SS 131: un vero affare. D’ora in poi le manutenzioni ordinarie e straordinarie saranno a carico del bilancio comunale! Per non parlare dello smaltimento dei rifiuti speciali connessi.
Nel centro abitato, sono riusciti nell’impresa di ampliare il perimetro (il centro matrice) disciplinato dalle norme del centro storico, e tuttavia queste norme sono di fatto disapplicate ovunque. “Ciascuno è padrone in casa propria”, recitava uno slogan del presidente.
E per finire la chicca che riguarda le Terme. Problemi con tutti: vecchi e nuovi gestori. Non andava bene il vecchio gestore: è un furbacchione che “prende” risorse comunali. Un prenditore insomma. All’insegna del “ci pensiamo noi”, ghe pensi mì, ecco un nuovo imprenditore e un bel cantiere abusivo in una proprietà comunale. Zero progetti, zero autorizzazioni, zero piani di sicurezza. In compenso tanto lavoro irregolare e “stecche” alle imprese.
Risultato: struttura chiusa, lavoratori a casa, fornitori da pagare e un possibile contenzioso con il nuovo gestore. Nell’insieme questa operazione costerà alla collettività di Sardara la stessa cifra (un milione di euro) spesa nella legislatura precedente.

Tanto tuonò che…piovve!

Peppe Garau
Gruppo consiliare del Partito Democratico per Sardara

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