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martedì 4 agosto 2009

SCUOLA E TERRITORIO


E’ dei giorni scorsi la notizia secondo la quale la lega avrebbe proposto un emendamento di legge per prevedere tra le materie oggetto della valutazione degli insegnanti, storia, cultura e parlata della regione dove intendono insegnare.


Notizia prontamente ridimensionata e limitata ai primi due elementi.
Le reazioni in ogni caso hanno scatenato in diversi blog accesi dibattiti e alcune testate giornalistiche hanno promosso un sondaggio on line. Tali sondaggi, lo sappiamo, non hanno alcun valore statistico, valgono però per l’interesse suscitato su questo fondamentale aspetto della nostra educazione. Tuttavia sono significativi i risultati del 74% di favorevoli contro il 24% di contrari nell’Unione Sarda. Nel Corriere della Sera invece il risultato appare capovolto nelle seguenti dimensioni 32,9% di SI e 67,1% di NO. Ognuno legga questi numeri come meglio crede. http://unionesarda.ilsole24ore.com/Sondaggio.aspx?id=136655
http://www.corriere.it/appsSondaggi/pages/corriere/d_5548.jsp
Ad oggi prevale un sistema scolastico-educativo centralista tutto incentrato sulla negazione delle culture locali e regionali, con programmi ministeriali propugnatori della cultura unica di stato affidata ai suoi evangelizzatori, la classe docente e ai loro vangeli: i libri di testo (non è sotto accusa il singolo insegnante ma il sistema). Libri regolarmente concepiti e stampati nel continente, tutti più o meno uguali, tutti più o meno approssimativi almeno nella parte quasi inesistente riservata alle storie regionali. Quelli di storia appunto tutti concordi nel presentare come unica possibile quella che dalle tette della lupa porta direttamente al Quirinale, passando per le civiltà comunali e i Savoia, dopo la solita giusta ricognizione delle grandi civiltà del passato, dalle quali ovviamente quella nuragica è esclusa. E gli altri? E noi?
La domanda è la seguente: è un bene o un male per noi e per l’Italia? Cosa ha prodotto almeno in noi sardi questo sistema?
Quanti di noi sanno dell’ultramillenaria civiltà nuragica (io ho saputo dopo i vent’anni e non grazie alla scuola). Quanti di noi sanno dell’età giudicale, indipendente con i suoi quattro regni, durata diverse centinaia di anni e spesso liquidata dalle bibbie scolastiche come periodo il cui l’isola era di dominio genovese e pisano. Quanti di noi sanno cos’è la Carta de Logu, scritta in sardo. Quanti di noi sanno che il sardo si scriveva addirittura prima dell’italiano.
Certo lo scopo è quello di trasmettere un sentimento di appartenenza comune finalizzato all’unità nazionale, affinché ci si senta popolo, ma siamo proprio certi che questo debba essere fatto passare sulla nostra pelle, siamo sicuri che la negazione delle culture più deboli sia il metodo migliore?
Cosa potrà mai produrre uno scriteriato sistema che continua a negare la nostra esistenza? Nella storia non esistiamo, nella geografia, lasciando perdere le frequenti castronerie, in ordine di pagina siamo sempre ultimi, quindi spesso il programma in pratica finisce con la Sicilia, si potrà obbiettare che tanto sempre isola è, del resto abbiamo gli stessi rappresentanti in Europa e a Roma, o no? E’ chiedere troppo considerare prima e speciale la propria terra e trattarla di conseguenza? Guardate che nessuno lo farà al nostro posto.
Quale autostima (parola molto abusata nei P.O.F) ha prodotto questo sistema scellerato?
In noi sardi come potremmo misurarla?
Forse per averne almeno un’idea basta guardare l’intitolazione di strade e piazze. Quanti sardi illustri ricordiamo? Pochi davvero, da molte parti non vi è neanche un vicoletto che ricordi Emilio Lussu, ma spesso non troviamo neanche Angioy, R. C. Raspi, Bellieni, Deffenu, Antonio Garau, B. Lobina, Montanaru, A. Cossu, M. Pira, etc. Non sarà perché questi ultimi sono scrittori in sardo? Qualcuno si starà chiedendo: “perché esite una letteratura sarda?” “Chi sono costoro?” Certo in questo la cultura scolastica non aiuta, ma per fortuna oggi c’è google.
Ma che razza di popolo è quello che non ricorda i suoi figli più illustri?
Il fatto che la nostra cultura trovi chiusa la porta di scuola significa solo una cosa: che non vale la pena di essere conosciuta! Cioè i sardi, noi, non abbiamo prodotto una cultura degna della scuola. Ma ricordiamoci che sono stati gli altri ad averlo deciso per noi.
Quindi per lo stato noi non valiamo nulla. E’ con questo bagaglio di identità e autostima, certo comodo perchè trasportabile in un bicchierino di vernaccia, dove vorremo andare?
Cosa potrà mai produrre un’educazione che prescinde dalla realtà locale se non “cattedrali del deserto”, eucalipti invece di vitigni, università che continuano a sfornare tecnici e dottori di tutti i saperi (destinati ahimè in buona misura all’emigrazione visto lo stato disastroso della nostra economia) ma che per studiare Agraria o Veterinaria è necessario trasferirsi al capo di sopra, ma la pianura grande non si trova in su cabu de giossu?
Ci è stata nascosta la nostra storia, la nostra cultura. Ci hanno fatto vergognare di parlare la Nostra Lingua.
Ci hanno rubato l’anima. Dove mai potrà andare un popolo senz’anima?
Potremo mai perdonare?
Ci hanno convinto che parlare la nostra lingua millenaria era segno di povertà, arretratezza, ignoranza e gretzúmini. Collante formidabile per sentirci prima sardi e poi, se compatibile, tesserati e simpatizzanti di altro, per fare fronte comune rispetto ai poteri forti dove noi ora siamo solo visti come pedidoris e rispetto al quale, vista la popolazione, contiamo che su duus de bastus, ricordiamoci della questione vergognosa e attualissima dei 18 milioni di euro elemosinatici col Dpef rispetto agli oltre 4 miliardi della Sicilia.
Gli altri erano (e sono) portatori di una cultura moderna, migliore, superiore e quindi tutto ciò che facevano (e fanno) era meglio, sia che si trattasse di cibo o “cultura”, basta guardare dentro al nostro carrello della spesa, anche quello culturale.
Non sarà anche per questo che importiamo circa il 90% di ciò che consumiamo? Non è solo una questione di prezzi che pure esiste in maniera rilevante: il parmigiano reggiano costa più del pecorino sardo. Non sarà anche per questo che stiamo precipitando in una voragine di nera miseria?
Un conto è lo scambio, sempre salutare, benvenuto e fonte di crescita, ben altra cosa e la ricezione passiva, succube, spesso non cosciente e di sapore masochistico di tutto ciò che e altrui. Ma certo, scusate, ogni tanto dimentico che noi non esistiamo, siamo solo un’isola in mezzo al mare, anche se bellissima, appendice dimenticata di terre di ben altro valore...
Che la smettano di considerarci votanti di collegi contraffatti, terra di occupazioni militari, di industrie inquinanti che pagano le tasse e lasciano i capitali altrove e soprattutto noi sardi finiamola di prestarci ai giochi altrui, quelli del banco, tanto si sa che vince sempre. Finiamola di scimmiottare pedissequamente e ridicolmente i modelli altrui. Non credo di esagerare dicendo che forse ci sentiremo davvero italiani quando lo stato, l’Italia ci consentirà di essere noi stessi attraverso il riconoscimento non solo formale delle nostre diversità regionali, ma dobbiamo essere noi innanzitutto a rivendicarlo fortemente. In un mondo sempre più globalizzato ne va della nostra sopravvivenza culturale e quindi economica. Togliamoci la camicia di forza che ci costringe nostro malgrado e con enorme danno al pensiero unico: quello che conviene agli altri.
Giampaolo Pisu

7 commenti:

pikonal ha detto...

Bell'aticolo il tuo caro Giampaolo. Verità sacrosante che non possono non essere condivise. Tutti o quasi siamo coscienti della situazione in cui versa la Sardegna, tutti vorremmo potervi porre rimedio ma pochi lavorano per farlo veramente. Manca la coesione, l'unità d'intenti, la programmazione necessaria per raggiungere almeno qualcuno degli obiettivi che hai citato. Purtroppo sono problemi troppo grossi per essere affrontati a questo livello e poter pensare di risolverli in breve tempo.
Si potrebbe scegliere un argomento e aprire un forum di discussione aperto a tutti ma credo che questo non sia il luogo adatto.

Anonimo ha detto...

Condivido pienamente. La scuola di stato ci ha propinato per decenni la solita lezioncina come fosse medicina fino quasi all'assuefazione. E' tempo di disintossicarci.
Pietrino Murru

Anonimo ha detto...

Sono contento di sentire che ci sono altri che la pensano in questa maniera. Ma non siamo i soli. Per chi vuole sapere cosa ne pensa Renato Soru ascoltate questo discorso registrato pochi giorni prima delle passate elezioni regionali.

http://www.sardegnademocratica.it/j/x/111?s=4&v=9&c=275&id=7024&na=1&n=8&va=x

Su questi blog trovete altri spunti di discussione.

http://gianfrancopintore.blogspot.com/
http://formaparis.splinder.com/post/21081120/Il+sardo+nelle+istituzioni+-+D
http://formaparis.splinder.com/post/21075490/Rinasce+il+Comitadu+pro+sa+Lim
http://formaparis.splinder.com/post/21072607/%C2%ABRazzisti+sono+gli+autori+del
http://formaparis.splinder.com/post/21072586/Test+di+dialetto+ai+prof%3F+%C2%ABSa

Per Pikonal: gràtzias po s'aprètziu. De calincuna parti e in calincunu logu at a tocai puru a incumentzai.

Trovate la lettera tradotta in sardo nel seguente blog in lingua sarda, sicuramente a oggi il miglior blog completamente in sardo
http://www.ivomurgia.splinder.com/

Giampaolo Pisu

Pikonal ha detto...

Caro Giampaolo, mi dispiace che il tuo articolo non abbia avuto la partecipazione che merita: ci sono nel giornale persone che potrebbero ben commentare il tuo articolo ma vedo che ancora non si sono sbilanciati.
Io mi sono sempre tenuto alla larga dale camicie di forza anche se i condizionamenti ci sono e sono sempre presenti. Tu sai che non mi sono mai omologato completamente ai programmi di stato e che durante il lavoro ho dato abbondantemente, credo, il mio contributo alla causa della Sardegna:"S'arxa" ne offre ampia testimonianza. Poi ci sono stati altri progetti tesi all'apprendimento della lingua. Hai ragione: se tutti contribuissimo a conoscere e far conoscere meglio le nostre radici forse riusciremmo ad avere una maggiore autostima della nostra sardità. Tu pensi che nel gruppo di Novas non ci sia qualcuno in grado di smuovere un pochino le acque?

Anonimo ha detto...

Caro Giampaolo,
il tuo articolo fotografa in modo esemplare come il “popolo sardo” non sia riuscito a valorizzare la sua specialità, non solo quella amministrativa, ma soprattutto quella derivante dall'identità e da una cultura formatasi grazie ad una storia millenaria. Credo che proprio la nostra storia, con i suoi elementi di unicità, ci può aiutare a consolidare le basi per definire quel ruolo che la Sardegna da sempre cerca di ritagliarsi non solo nello scenario italiano.
Notizia

Anonimo ha detto...

Po Pieru - Ge mi dd'arregordu ca candu ia fatu sa proposta de fai intrai sa língua sarda in sa scola de Sàrdara, scola posta in Sardínnia ma pagu sarda diaveras, tui ses stétiu cussu chi prus de is àterus iat amostau interessu e po custa arrexoni ti torru gràtzias. Su fatu est ca no si podit lassai a su líberu sceberu de su docenti de fai o no fai língua e stória de Sardínnia, custas cosas tocat chi fatzant parti de su programma curriculari paris a totu is àteras disciplinas, cun docentis preparaus e cun librus mancai fatus in domu nosta (aici traballaus nosu, cosa de no pagu contu cunsideraus is tempus). Poita sa Regioni Sarda dónnia annu imprentat (stampa) unu muntoni de libureddus po sa campànnia contras a su fogu e no fait sa própiu cosa po sa stória nosta (mancai in sardu poita nou?) ! Su própiu iant a depi fai is àteras regionis italianas. Certu ddu sciu ca custu no bastat, ca ddu est sa chistioni de sa formazioni de is maistus-professoris. Po custu serbit dinai, ma iat a bogai traballu po unu bellu pagheddu de genti chi imoi avatu de sa laurea est fadendi su master de precariau-disterrau- disimpreau (disoccupato)- disisperau. Programmas chi iant a depi essi postus a su costau de sa stória natzionali certu. No si cumprendit poita su francesu me is scolas mesanas su studenti si dd'agatat de s'incumintzu de s'annu e is àteras disciplinas chi nau deu nou. No mi parrit chi in domu nosta su francesu siat prus importanti de su sardu. De su restu sa lei 26/97 (http://www.regione.sardegna.it/j/v/86?v=9&c=72&s=1&file=1997026) de sa regioni narat ca sa língua sarda tenit paris dinnidadi de cussa italiana: làstima chi ddu nerit sceti. Po is chi no ddu scint arregordu ca sa língua nosta est sa prus fueddada in Itàlia avatu de s'italianu, sendi sa língua de minoria prus spainada de sa penísula. Esistit una carta europea de is línguas de minoria che su sardu, esistit puru una lei natzionali (aprovada de su parlamentu!!!- http://www.istitutomeme.it/j15mm01/index.php?option=com_content&view=article&id=65:testo-integrale-legge482&catid=39:legge482&Itemid=56 ) chi prevedit sa possibilidadi de dda fai intrai in scola chi sceti sa scola ddu bolit, intrai labai cumenti de língua veicolari est a nai manixada po fai àteras disciplinas, stória po nai, e no po cosas folklorísticas cumenti bortas medas si fait oi cun is progetus. Po is chi bogant arreghèscias e murrúngiant, duas funt is cosas, o ddu faint po innioràntzia o po maliori ca faint finta de no sciri. Su fatu est ca a medas intelletualis, de manca e de dereta, ddis ant lintu su ciorbeddu cun sa língua de Danti e Manzoni, una língua aici longa de si ndi strebeddai e bessiri che unu facili, paraocchi (grandus óminis e scriidoris Manzoni e Dante, siat craru nudda contras a issus ca s'Itàlia ddis depit meda). Su chi nau deu, no ddu nau sceti deu, ddu nant in medas, sceti ca is médius de informatzioni, TV e giornalis funt in manus de su sistema, de su poderi e si serbint de is intelletualis tzeracus insoru chi nudda faint sciri ca nudda ddis cumbenit a fai sciri.

Che all'interno di Novas (ma io credo anche altrove, questo pensiero non ha colore politico) vi sia qualcuno capace di smuovere le acque? Non lo so, qualcuno che ha coscienza di queste cose di sicuro c’è, posso solo sperare che l'esperienza con Soru (che con tutti i suoi difetti ha però avuto il grande merito di cercare di mettere al centro della politica sarda I SARDI, facendosi vanto della sua sardità anche attraverso il suo elemento di maggior valenza: la lingua) possa aver fatto maturare qualche altra coscienza, chi lo sa, il tempo come sempre, giudice ultimo, ce lo dirà.

Giampaolo Pisu

Anonimo ha detto...

Caro Paolo
ho letto con grave e colpevole ritardo, complice la mia scarsa dimestichezza col web e la stanchezza cronica dell’ormai esausto computer di famiglia, il tuo bello e interessante articolo su Novas. Tu conosci come la penso e quindi non posso che sottoscrivere quanto vi hai affermato.
Ti ringrazio, anche se hai ravvivato in me il senso di colpa per aver preso in mano la Carta de logu solo alla soglia dei sessant’anni e Benvenuto Lobina ancor più tardi. Tu lamentavi, giustamente, che ci hanno rubato l’anima e un popolo senz’anima non può che soccombere. A dire il vero qualche sardo ha tentato di darcela: Emilio Lussu per esempio, che veniva considerato, anche in vecchiaia,  una testa calda, un comunista direbbe il cavaliere; Renato Soru, affondato anche da chi, in perfetta buona fede, condivide i nostri ragionamenti.
Caro Paolo c’è tantissimo da fare. Se ti va e ne hai voglia scegliti pure un argomento, organizza tutti i forum che vuoi. Sta alla nostra capacità di ascolto, alla nostra disponibilità al dialogo, alla nostra determinazione dimostrare che questo è il luogo adatto.

Cun saludi
Luigi Melis