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mercoledì 23 dicembre 2009

Progetti verdi e bastian contrari

Il già precario tessuto industriale della provincia del Medio Campidano è andato, purtroppo, del tutto sfaldandosi.

Il patrimonio archeologico-storico-culturale (per fortuna abbastanza ricco) non è certamente in grado di assicurare sviluppo per l’intera popolazione della provincia. Sviluppo che non si riesce a raggiungere neanche se ai beni culturali affianchiamo le straordinarie ricchezze ambientali, le bellezze paesaggistiche e naturalistiche che pur possediamo in larga misura. Voglio dire che Barumini, la Giara, le Terme di Sardara, l’archeologia mineraria, il Linas, Scivu e Piscinas possono dare una mano, anche qualificata, ma non risolvere il problema dell’occupazione, e quindi l’economia, degli abitanti di questo non vasto territorio. Terrritorio che fin dall’antichità ha avuto una grande vocazione agricola: il Basso Campidano, la Marmilla con la Trexenta sono stati a lungo il granaio sia dei Punici che dei Romani. Purtroppo il settore agricolo attraversa una forte crisi non solo nella nostra zona, ma in tutta la Sardegna. Eppure qualcosa c’è. Abbiamo addirittura delle eccellenze: lo zafferano di San Gavino e Turri, l’olivicoltura di Villacidro e Gonnosfanadiga, le mandorle a Baressa e dintorni. Ma soprattutto il comparto carcioficolo del triangolo Nuraminis, Samassi, Serramanna. Ma non basta, non basta proprio. E infatti cosciente di questo il presidente della provincia Fulvio Tocco e la sua maggioranza ( o ciò che ne resta ) sulla provincia verde continuano a puntare.
Tempo fa, mi sembra all’inizio di ottobre, un bando pubblico annunciava un incontro del presidente della provincia con gli agricoltori. Incuriosito mi avvicino a Villa Diana. Si parla di accorpamento di terreni, della necessità di frenare l’esodo dalla campagna, della convenienza non solo economica di rivitalizzare la presenza umana nei campi. I disastri che periodicamente si verificano nei nostri territori sono dovuti molto spesso all’abbandono di quelle opere, anche minime ma costanti, che venivano assicurate dai nostri contadini. Insomma la presenza umana non solo come freno allo spopolamento delle campagne ma anche al degrado dei nostri paesi. Per raggiungere almeno in parte questi obiettivi si è pensato di mettere in campo il progetto " Vivere la campagna ". Tra le cose interessanti sentite in quel convegno mi piace segnalarne una per la sua semplicità ed efficacia. Da parte della provincia si è deciso di concedere un incentivo di 210 euro per ettaro ( fino ad un massimo di 4 ettari nel presente anno agrario ) agli operatori agricoli che si fossero impegnati nella semina di leguminose da granella. L’obiettivo è quello di utilizzare quei terreni che altrimenti resterebbero incolti, creando reddito seppure non molto consistente. La cosa diventa ancora più interessante quando un tecnico spiega che la coltivazione delle leguminose avrebbe arricchito il terreno di sostanze azotate preparando i campi per la semina del grano nella successiva annata agraria. In fondo si ripropone ciò che la saggezza dei nostri contadini praticava fino a pochi decenni fa: l’alternanza di grano e fave rendeva quasi del tutto inutile il ricorso al concime "molto salato" del Consorzio Agrario, rendendo un pessimo servizio alle industrie chimiche. Se poi il coltivatore stringe un patto virtuoso con l’allevatore, il vantaggio lievita ancora. Mettiamo che il commerciante acquisti dal contadino per 4 euro un quintale di granella per l’ alimentazione animale. Con tutta probabilità lo rivenderà al pastore a 10 euro. Saltando questo passaggio i due contraenti potrebbero avere, stabilendo il prezzo di vendita e di acquisto in 7 euro, ambedue un guadagno di 3 euro a quintale: un 60 % tolto alla speculazione. Non è poco. Tutto molto semplice e lineare. - Ma andrà veramente così ? - mi chiedevo in quel
giorno di ottobre, certamente non per unirmi ai contrari per partito preso presenti al convegno, fossero essi amministratori o raccontatori interessati delle nostre vicende. Oggi siamo a dicembre inoltrato, ma già a metà novembre vedevo molti terreni seminati e rullati. Che il favino da semina avesse avuto successo? Non ho dati statistici certi (perché ancora non ci sono), ma se il mio occhio di assiduo frequentatore delle campagne non mi inganna, dovrebbero essere parecchie decine gli ettari coltivati a leguminose da granella, intestati anche a vetusti capostipiti o , purtroppo, a giovanissimi eredi. Con buona pace dei bastian contrari di varia estrazione.
Luigi Melis

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