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martedì 7 luglio 2009

Quanto ci riguarda ciò che accade in Iran?


Quanto sta succedendo a Teheran e in altre città dell’Iran, con decine di morti e centinaia di feriti tra i manifestanti, azioni di polizia all’interno degli atenei, studenti e giovani sorvegliati speciali, ci porta con la memoria ai morti di Piazza Tienanmen, a Pechino e, prima ancora, alla ‘Primavera di Praga’, nella Cecoslovacchia di Dubcek.


Certo, ci sono solo delle analogie, perché i tempi e le situazioni sono molto diverse tra loro. Ma un filo unisce fatti così apparentemente diversi, ed è la volontà di un popolo di liberarsi da dittature oppressive, illiberali e violente. Il comunismo allora, in Cina e in Cecoslovacchia, il potere religioso degli Ayatollah oggi in Iran. La reazione tipica ora come allora è stata quella di ogni dittatura delegittimata, ossia la repressione ed il terrore, persino le minacce alle sedi diplomatiche e l’espulsione dei giornalisti occidentali.
Il presidente iraniano uscente, Ahmadinejad, è stato confermato, sembrerebbe, con un colossale sistema di brogli elettorali che ha ribaltato il responso popolare. Di conseguenza un popolo, in maggioranza civilissimo e istruito come quello iraniano, sarà oppresso ancora per lungo tempo da un potere teocratico fondato sulle sacre scritture del Corano, che limiterà le libertà politiche, civili e personali di milioni di persone.
La speranza di cambiamento di quella società è oggi nel coraggio e nella determinazione del movimento riformista capeggiato dal candidato presidente sconfitto (dai brogli) Mousavi ad andare avanti in una battaglia difficile e pericolosa, contro un regime che non esita ad incarcerare ed uccidere per perpetuare il proprio potere. Ma che è capace di utilizzare anche mezzi moderni come, ad esempio, ‘annacquare’ gli effetti mediatici della protesta con un uso spregiudicato del controllo dei media, radio, televisione, giornali, ma anche il web (per alcuni giorni Facebook è stato chiuso), con raffinate strategie (come la creazione di migliaia di blog favorevoli al regime), ma anche con le più recenti tecnologie, fornite da multinazionali informatiche occidentali, per un controllo capillare del traffico e degli utenti del web, con i blogger puntualmente individuati e arrestati.
Tutto ciò accade in un Paese diviso tra una gerarchia clericale altamente privilegiata sostenuta da milioni di fanatici religiosi ed una società che anela la libertà e la democrazia.
Ora questa seconda rivoluzione iraniana, dopo quella di Komeini del ’79 e la cacciata dello Scià, ha anche il suo simbolo e martire, una ragazza uccisa dalla polizia, di nome Neda.
Ma come e perché questi fatti che avvengono così lontano da noi ci possono riguardare?
Primo. La delusione per quanto accade è un sostanziale rifiuto della mano tesa dell’America di Obama, quella mano tesa che aveva fatto pensare ad una svolta nel senso di un calo della tensione nell’area Mediorientale ed in altre aree di crisi nel mondo e perciò nel mondo intero. Quindi la prospettiva di avere meno terrorismo, più sicurezza per chi viaggia, rapporti più distesi tra mondo arabo e occidente ora si indebolisce.
Secondo. La crisi con Israele è destinata ad aggravarsi, viste le posizioni di intransigenza più volte espresse da Ahmadinejad riguardanti perfino il diritto all’esistenza di quello Stato. Il rischio è quello di un confronto militare e, peggio di una sua estensione all’intera area mediorientale, con le conseguenze immaginabili per l’economia mondiale, le borse, gli scambi commerciali.
Terzo. I Paesi occidentali, Italia compresa, da decenni concludono affari con Paesi retti da tiranni come l’Iran rafforzandone il potere, con la vendita di tecnologia nucleare, con forniture delle armi più sofisticate, con tecnologie informatiche che rafforzano il potere di controllo dei dittatori, ecc.
In questo modo la fame di profitto delle multinazionali uccide consapevolmente l’aspirazione alla libertà di miglia di giovani iraniani e noi, seppure indirettamente, abbiamo parte di responsabilità.
Infine, noi che viviamo in un Paese democratico, dopo aver conosciuto l’epoca un ventennio di dittatura fascista, non possiamo essere insensibili a questi fatti, anche perché se è vero che viviamo in una Repubblica democratica, è anche vero che i diritti e le libertà proprie di una democrazia non sono conquistati per sempre, e ci sarà sempre, prima o poi, che troverà qualche ragione (magari di Stato) per limitare le libertà, per controllare i media, per entrare nella nostra vita privata.
Tutto ciò ci riguarda anche per un dovere di solidarietà, per dare forza alla protesta, anche solo inviando un sms ai siti governativi iraniani, per dire che tutto il mondo guarda, che queste cose, nell’epoca di internet, non possono succedere impunemente, e che chi uccide le libertà dovrà subire il giudizio della Comunità Internazionale.
Nella speranza che vinca la ragione.
Roberto Montisci

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