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sabato 27 febbraio 2010

Voler bene al Partito Democratico

Circa un anno fa, all’indomani della sconfitta di Renato Soru alle elezioni regionali, discutevo con un compagno e amico sulle ragioni di tale situazione.

Lui se ne uscì con questa affermazione: “Bisogna voler bene al Partito Democratico”.
Mi sembrava difficile immaginare di voler bene a un partito: si possono voler bene delle persone, degli animali, e in alcuni casi perfino degli oggetti. Ma un partito politico?
Come si poteva voler bene a un partito che era sotto una guerra di bande? Che con il voto disgiunto ha contribuito all’affondamento della migliore esperienza di governo riformista degli ultimi dieci anni in Italia? Che riciclava la propria classe dirigente senza neppure fare la raccolta differenziata?
No. Non si poteva voler bene a quel tipo di partito.
È passato un anno e la situazione non mi pare di certo migliorata. Ora abbiamo un governo regionale e nazionale di centro-destra. Una crisi economica da cui si stenta ad uscire. Un Partito Democratico che ha gli organismi dirigenti ad ogni livello ma che non riesce a decollare.
E dopo un anno continuo a chiedermi come si possa voler bene al Partito Democratico. Ma la delusione post elettorale, sommata a tante altre piccole delusioni mi fa ancora essere lontano dalla soluzione.
Come il protagonista del romanzo di Buzzati “Il deserto dei Tartari” sono stato rapito da un partito che sembra immobile e immerso nella routine politica, che si sveglia solo quando vede il nemico all’orizzonte per poi tornare ad assopirsi. Tuttavia come il tenente Giovanni Drogo, che non riesce a distaccarsi dalla Fortezza Bastiani, anche io non riesco a distaccarmi dal Partito Democratico.
Non so se sia amore, o se invece sia solo un calesse (citando Troisi), ma è sicuramente voglia di partecipazione. Partecipazione che viene a mancare quando le decisioni e le linee politiche vengono decise in luoghi “altri” rispetto a quelli ufficiali. La politica delle pizzate, delle cene, degli aperitivi ha portato il PD ad essere un partito che seleziona i candidati, la classe dirigente, gli esigui programmi politici, tra un piatto di malloreddus e il maialetto arrosto, tra una pizza ai funghi e una tartina alla bottarga. La differenza tra esserci o non esserci, pesare o non pesare, esprimere le proprie posizioni o stare in silenzio, passa per questi luoghi più tendenti all’enogastronomia piuttosto che alla discussione politica.
Ma siccome l’amore, come si dice, è cieco, e aggiungo pure un po’ stronzo, prima o poi uscirò da questa sorta di apatia politica in cui sono precipitato dopo anni di intenso impegno nella politica locale, nella politica giovanile e soprattutto nella politica universitaria.
Mi sento però di suggerire alcuni punti che potrebbero risvegliare il “sentimento” verso il PD:
a) Scordiamoci la superiorità morale della Sinistra. È un presupposto essenziale per fare un’analisi seria su ciò che è successo in questi anni. Se Berlinguer poteva alzare lo stendardo della Questione Morale, ora non possiamo più farlo. Non possiamo più trincerarci dietro l’espressione “compagni che sbagliano”. I compagni che sbagliano devono essere puniti. Che differenza passa tra un sindaco PD che fa i viaggi all’estero pagati dalla Provincia con la propria amante e un sindaco del PDL che fa altrettanto? O quei circoli PD campani che hanno tra i tesserati noti esponenti della Camorra e i deputati PDL che hanno rapporti con la Mafia? Mi spiace, ma io non noto nessuna differenza. Quindi è necessario partire da un mea culpa profondo, da una pulizia nel partito a tutti i livelli (locale e nazionale), per cercare di “tornare tra la gente” a testa alta.
b) Programmi chiari e rinnovamento vero. La vecchia formula “rinnovamento nella continuità” è sempre risuonata alle mie orecchie come metafora di fregatura. Lo sospettavo quando militavo nella Sinistra Giovanile, ne ho avuto conferma proseguendo nella militanza all’interno del Partito. Cooptare la classe dirigente come avvenuto recentemente permette solamente alla “vecchia classe” di continuare a prendere decisioni mascherandole come decisioni prese dai “giovani”. Non me ne vogliano i tanti amici e compagni giovani che lavorano nel partito con impegno e onestà. E nella critica mi inserisco anche personalmente, perché tutti noi abbiamo la responsabilità di non essere riusciti in questi anni a distaccarci da “padrini” e “padroni”, a trovare delle idee politiche originali, di prendere in mano il Partito e di dire qualche “no” a chi ci chiedeva di eseguire senza spiegazione. La questione è dirimente per il futuro: chi dovrà fare le cose, e cosa si dovrà andare a fare. Su entrambi gli interrogativi apriamo una discussione, quantomeno sul piano locale, visto che gli alti livelli ci sono preclusi.
c) Siamo minoranza culturale e politica nel Paese. Forse in questi anni non ce ne siamo accorti, ma vent’anni di berlusconismo hanno modificato e plasmato in maniera forte il DNA antropologico degli Italiani. Sia quelli che votano a Destra che quelli che votano a Sinistra. Il berlusconismo ha invaso anche i partiti della sinistra, che rischiano di restare offuscati dall’odio verso una persona tralasciando che attorno a quella persona c’è un forte consenso popolare. La sinistra non può appaltare l’opposizione a giornalisti e comici. Il “Travaglismo” è un “Aventino mediatico” nel quale molti militanti e simpatizzanti della sinistra si rifugiano in mancanza di posizioni concrete e vere da parte del più grande partito di opposizione. La cultura e la politica della sinistra devono tornare ad essere popolari, le élite intellettuali (l’intellighenzia) ci hanno portato dove siamo ora. È inorridente sentire che il segretario nazionale giustifica la sconfitta del candidato PD alle primarie pugliesi dicendo “La gente non ci ha capito”. Forse ci ha capito e ha scelto di votare diversamente. Riprendiamo ad occuparci di istruzione, di lavoro, di cultura, occupandoci dei problemi veri e non rincorrendo i temi che una maggioranza creata intorno ad uomo solo detta sull’agenda politica.
Penso che questi tre punti non siano esaurienti, e forse addirittura disordinati, ma riflettono la mia condizione personale di iscritto e militante, oltre che quella di tanti altri giovani che sarebbero disposti a partecipare ma che in attesa di “schiarite” preferiscono stare fuori. Noi che siamo “dentro” abbiamo la responsabilità di non farli arrivare all’interruzione dell’amore per la politica e per il PD evitando che possano arrivare a dire la frase lapidaria di Rhett Butler in Via col vento (interpretato dal mitico Clark Gable): “Francamente, me ne infischio…”.
Roberto Ibba

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bellissima la citazione sul 'deserto dei tartari' salvo che i "tartari" sono giunti e pare
che nessuno se ne sia accorto, come nel romanzo si è rimasti arroccati (nel senso letterale
del termine) in attesa del nemico, ma a differenza di Drogo che attendeva inutilmente una
catastrofe per la quale combattere e mai avvenuta, nel "nostro" caso la stessa si è consumata senza che i combattenti si armassero.

Siamo rimasti legati troppo a lungo all'ideologia ed alla forza che da essa doveva scaturire,è questo che amiamo, IL PENSIERO ,fermi nell'illusione che esso sia sufficiente a portare avanti le ideescordandoci di fare i conti con la realtà,col tangibile, con le necessità di tutti,col vivere quotidiano,dissociandolo dai fatti concreti; con un avversario che ha usato tutte le armi possibili ed immaginabili in modo spesso scorretto per affermare non tanto un'idea quanto invece un modus vivendi, fatto di ricette pronte all'uso e slogan rassicuranti...Il divario tra politica e società è stato accorciato solo da ciò che è in antitesi col pensiero,e cioè"la praticità" o almeno la sua illusione,che ci fa credere ad
una soluzione immediata e di facile attuazione, dimenticandoci di quello che ci circonda per
occuparci solo di noi stessi,del nostro fatidico "orticello".

La 'questione morale' la sintetizzerei in questo,la perdita appunto del valore del "bene comune" ormai diventato utopia e di difficile se non impossibile attuazione in questo presente fatto di interessi personali e particolari di cui la stessa sinistra è rimasta vittima(?), mi chiedo come si possa pretendere affezione da parte dei cittadini per una classe politica che per prima non fa chiarezza su se stessa, che non dà un'alternativachiara e netta affinchè i contendenti si distinguano l'uno dal'altro,anche perchè sembra passare l'idea che per combattere il nemico (senso lato) si debba essere come lui.

Oramai il voto alternativo sembra finalizzato non tanto ad affermare un modo differente di concepire la politica ma quanto ad abbattere l'"altro" e non è rassicurante perchè ci si trova avanti il vuoto, il vuoto persino nel pensiero,l'unico che ancora ci sosteneva e ci faceva andare avanti con speranza,qualcuno obbietterà che il disfattismo non è la strada da intraprendere,io lo definirei più un "aprire gli occhi",smettere di puntare tutto sull'idea e il pensiero ma agire senza cadere nell'errore del "personalismo" , della ricerca di un leader nella ricerca del consenso,ma semplicemente affermando con forza le idee e il modo per attuarle in maniera pratica pur sembrando paradossale ,...vista la mia stessa premessa.

Si, concordo in tutto e per tutto col pensiero del sig.Ibba,ma ...la soluzione al dilemma tra il pensare ed agire?

La soluzione al risveglio da questo torpore che ci allontana da coloro che dovrebbero essere "la nostra rappresentanza",quale sarebbe?

Se noi per primi smettiamo di "amare il partito" chi dovrebbe farlo al nostro posto, quello che dice ...


cordialmente L.

Anonimo ha detto...

Gent/ma L.
vedo con piacere che(posso arti del tu?)sei una nostra,mi sembra,assidua lettrice.Non solo leggi Novas ma non disdegni,quando lo ritieni opportuno,intervenire di persona:e questo mi fa ancor più piacere.Tu dici che ormai i tartari sono qui tra noi senza che si sia riusciti neanche ad apprestare le difese.Non so darti torto.Ma per quanto mi riguarda personalmente i miei bravi turni di guardia sugli spalti della fortezza Bastiani li ho fatti. Con quali risultati, mi dirai. Scarsi,concordo.Forse eravamo anche in pochi.Comunque se non altro è servito a non sentirmi di aver buttato la vita soltanto nell'attesa,come il nostro tragico eroe tenente Drogo.
Arrileggerci
Luigi Melis

Anonimo ha detto...

Sig. Luigi (posso per nome? eh eh ...)

La (ti) ringrazio per l'attenzione dedicatami,non mi difinirei "assidua", ogni tanto do uno sguardo al blog e francamente la speranza è quella di vedere una maggiore partecipazione, maggiori interventi e uno scambio di opinioni da parte di chi legge ;e anzi sarebbe ancora più stimolante avere degli interventi da parte di chi la pensa in maniera opposta a quella proposta dallo stesso ;l'impressione è che sia autoreferenziale e non per colpa dei relatori ma plausibilmente per una diffusa "indifferenza",una scarsa voglia di partecipare...o semplicemente perchè se ne sconosce la sua esistenza, pazienza...


Contesterei il tuo "eravamo in pochi",non so se riferito alla realtà Sardara o più in generale a quella nazionale, non mi pare che si sia stati in pochi,in primis se non erro è Sardara stessa che ha sempre avuto una maggioranza a sinistra e ancora la possiede, mettendo da parte le ultime elezioni comunali vinte dall'opposto schieramento non per suo merito quanto per demerito della stessa sinistra, inevitabilmente litigiosa, quasi destinata ad avere contrasti insolubili e "interessi particolari" divenendo specchio di tutta una nazione.


E' il concetto di cui pare non si riesca a fare a meno quello del "ognuno per se", non lo condannerei a priori ,credo sia questa la maggiore espressione di democrazia ,il fatto che idee e pensieri diversi possano portare ad una scissione anche dolorosa tra persone che hanno si ideali simili ma necessariamente si distaccano quando non riescono ad attuare una convergenza comune, ma...
sempre che sia dovuta ad una reale incompatibilità e non a causa di interessi personalistici (qui il dubbio è amletico) spesso si sono fatte alleanze pur di rimanere seduti ben saldi al "cadreghino" e apprezzo chi, pur di non scendere a compromessi vi ha rinunciato. E' altresì vero che se non si rimane uniti mai si potranno attuare i propositi, da oppositori il lavoro è duro , soprattutto se chi detiene la maggioranza e quindi il potere decisionale poco o nulla tiene in conto le ostruzioni o la volontà di partecipazione della minoranza.


Verrebbe spontaneo tornare alla tua premessa e domandarsi se "i tartari "li coviamo in seno o sono un nemico al di fuori...bah

se è meglio non scendere a compromessi o lecito fare il possibile almeno per avere la possibilità di mettere in pratica un ideale che non rimanga tale ma che si materializzi, questo lo si può attuare solo stando uniti nella ricerca non tanto di abbattere il nemico, ma quanto dimostrando unione d'intenti.

Io non ho soluzioni, mi limito ad esprimere un parere dal di fuori, da cittadina non iscritta, non militante,semplicemente "osservante".

Non affermo nel modo più assoluto che io desista dal dare fiducia a un modo di pensare alternativo a quello che stiamo vivendo in Italia ,a credere ancora ad un futuro come lo desidererei,a portare avanti le idee, contrastare con fermezza quello che sento ingiusto e a sapermi ancora indignare,a utilizzare lo spirito critico e la capacità di discernimento per quanto sia sempre più arduo, nella confusione generale data da tanti pareri discordanti non sempre attinenti la realtà e la stessa sempre manipolata a uso e consumo della politica stessa, il tutto ormai si è ridotto al ' vincere o perdere' ...purtroppo...


alla prox.



Un saluto cordiale L.