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martedì 23 febbraio 2010

La solitudine dei numeri primi

Paolo Giordano è il giovane autore del bel romanzo “La solitudine dei numeri primi”.
Quella da lui descritta è la storia di due ragazzi, Alice e Mattia.

Entrambi conducono delle esistenze profondamente segnate dal dolore.
La prima, Alice, all’età di 7 anni si spezza una gamba ed è costretta a convivere con una fastidiosa zoppia.
Il secondo, Mattia, durante l’adolescenza è responsabile della scomparsa della sorella gemella che abbandona in una panchina per paura di essere deriso dagli amici.
Le loro vite si incrociano, si dividono e si rincontrano quasi accomunate da un filo conduttore.
L’uno, infatti, si riconosce nel dolore dell’altro. Entrambi riconoscono la propria solitudine nella solitudine dell’altro.
Il rincontrarsi serve ad entrambi per metabolizzare e superare il dolore dell’altro e, di conseguenza, il proprio disagio.
Con le sue parole l’Autore ci presenta uno spaccato reale della società odierna, che necessita di un’attenta riflessione.
Il contesto descritto è quello di una collettività profondamente individualista ed egoista.
Un modello secondo il quale si calpestano ed emarginano i più deboli.
Questo quadro così desolante lascia, però, lo spazio aperto ad una speranza.
Alice, infatti, supera il suo dolore rispecchiandosi nel dolore di Mattia, stimolandoci così a riflettere sulla necessità di riappropriarci del concetto del “noi” in contrapposizione a quello dell’”io”, sull’opportunità di ricostruire un comune senso di appartenenza attraverso un ritrovato spirito critico.
L’eccessiva frantumazione sociale, determinata da un modello di società profondamente mutata rispetto al passato ha determinato, allo stesso modo, un impoverimento culturale politico culminato nell’arretramento dei Partiti politici come strumento di partecipazione e confronto.
Ecco quindi un enorme bisogno di ritornare ad attribuire ai Partiti un ruolo non di semplici comitati elettorali, ma di mezzi che favoriscono l’impegno civile e democratico.
In una società profondamente disuguale, infatti, rimpossessarsi di valori quali l’uguaglianza, la giustizia sociale, la legalità e l’etica appare un’esigenza non più derogabile.
Andrea Caddeo

2 commenti:

Anonimo ha detto...

complimenti per l'articolo...mi ha suscitato una forte curiosità di leggere il libro citato.
Riflettendoci su, mi sembra di capire che descriva qualcosa di assolutamente reale, la forza che un uomo si fa nel sollevarsi da un proprio problema quando si accorge di avere innanzi a sè chi soffre quanto o più di lui...
Oltrettutto mi ha fatto piacere leggere dei pensieri che condivido pienamente. Pensieri che fanno riflettere profondamente su ciò che ci circonda, su ciò che è intorno a noi e spesso guardiamo convinti di non poter fare niente per cambiarlo. La legalità, la giustizia sociale, l'uguaglianza sono cose che potrebbero migliorare e hanno senso di esistere se ogni persona si impegna ad essere cittadino attivo e consapevole.
Continuate a scrivere, è molto interessante tutto ciò!!!!

Anonimo ha detto...

Ho letto di recente il libro sopracitato,mi ha tenuta incollata dalla prima pagina sino all'ultima in attesa non tanto del lieto fine ma piuttosto di una crescita emotiva di entrambi che pare non giunga, intenso e intriso di solitudine, data dallo stare chiusi in se stessi senza aprirsi al mondo, vuoi per le vicissitudini e le esperienze vissute o per la loro stessa incapacità ad aprirsi al mondo...

Dissento quindi dall'analisi appena descritta in quanto l'impressione che ne ho avuta è l'esatto opposto.

Entrambi i protagonisti rimangono soli nelle loro solitudini, vi è un breve percorso fatto assieme, ma non quello di vita e neppure un sostegno reciproco inteso come interscambio di forza e di coraggio, un filo sottile li tiene legati ma in fondo nessuno dei due incide nella vita dell'altro, è un romanzo prettamente di tipo psicologico e solo in parte riconducibile ad un' analisi della società.

Tutto giusto quanto affermato dal relatore, concordo con la sua analisi riguardante le differenze sociali che portano ad isolarsi e prendendo spunto dal racconto che appuntodelinea "la solitudine" e non una "comunanza" di intenti, concordo ancora sulla necessità che sia la politica a dare un"educazione" sociale e morale che in questi ultimi tempi è sempre più assente e rischia di portare ulteriore isolamento a ciascun individuo prescindendo da esperienze negative ,ma per il solo motivo di trovarsi in una società senza etica, che rifiuta la solidarietà come arrichimento comune,e che anzi esorta all'egotismo come sprone per l'arricchimento in fondo solo personale camuffandolo nella meritocrazia,che è negativa quando ci si dimentica di chi è stato meno fortunato o ha avuto meno oportunità, ecco in questo posso ricondurre il discorso al racconto, nell'essenza che si è soli e tali si rimane se non si hanno i mezzi culturali ed emotivi per credere ad un modo di vivere differente da questo,una società in cui si è certi di poter contare reciprocamente uno sull'altro o almeno nelle istituzioni senza il timore di esporsi.

cordialmente L.