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venerdì 26 febbraio 2010

Come cambia il mondo del lavoro

Le esigenze della produzione, i nuovi prodotti tecnologici (dai computer ai telefonini), i mutevoli gusti dei consumatori hanno delle importanti ripercussioni sui fattori della produzione, cioè le imprese e i lavoratori.

Fino a qualche tempo fa prevalevano produzioni (ad es. la chimica, le attività estrattive, la siderurgia) e modi di produrre (ad es. le catene di montaggio) che richiedevano una occupazione stabile e la gran maggioranza dei lavoratori poteva pensare ad una vita lavorativa stabile con la stessa impresa, le stesse mansioni, lo stesso ufficio, unità lavorativa o stabilimento.
Ciò ha giustificato per lunghi anni l’esistenza di particolari norme di protezione dei lavoratori a difesa dalla discrezionalità e talvolta dalla prepotenza dei datori di lavoro, come l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che vieta il licenziamento senza una giusta causa o un giustificato motivo.
Infatti la mutevolezza dell’attuale mercato del lavoro ha reso questa norma, insieme a tante altre, quasi inapplicata, e per un motivo che sta alla base della norma stessa, e cioè che l’assunzione a tempo indeterminato è diventata ormai una rarità.
E lo è soprattutto per i giovani che si accingono ad entrare nel mercato del lavoro.
Le regole, oggi, sono infinitamente più sfumate rispetto a quelle di ieri, e siamo ormai in presenza di una giungla inestricabile di Leggi che sono l’ideale per chi le norme le vuole aggirare. Con quali effetti si intuisce: notevoli risparmi per i datori di lavoro e forti limitazioni sia di reddito che di diritti per i lavoratori.
E la realtà nell’Italia di oggi è questa: lavoro ‘a termine’ nella quasi generalità dei casi. Si tratta di un modo efficace per tenere il lavoratore costantemente ‘sotto pressione’ perché, si sa, il rapporto di lavoro potrà essere rinnovato solo se…è bravo e non protesta.
Ma il lavoro ‘a termine’ o ‘a progetto’ lo si ottiene quando va bene. Più spesso si tratta di tirocini quasi a costo zero per il datore di lavoro. Peccato che i tirocini siano troppo spesso utilizzati impropriamente (per non dire fraudolento), cioè senza alcuna formazione e molto, moltissimo lavoro (spesso esclusivamente manuale). Molti lavori, come il lavoro d’ufficio, nei call-center, nei cantieri, sono svolti da persone a cui si pretende la partita IVA per impieghi che sono di tipo subordinato (dipendente). Le partite IVA le si trova perfino nella sanità privata (medici e infermieri), così come nei giornali e nelle televisioni….
E che dire del ben noto fenomeno delle cosiddette cooperative ‘di servizi’? Essen non fanno altro che ‘prestare’ (illegalmente) il personale solo formalmente alle proprie dipendenze ad altre aziende. Ciò che fanno (legalmente) le società di lavoro interinale.
Anche nel settore pubblico non si scherza. Esiste un fenomeno del tutto analogo, seppure di dimensioni ridotte rispetto al settore privato, fatto di precarietà e di lavoro sottopagato.
E i trucchi utilizzati da manager e amministratori pubblici sono spesso gli stessi del settore privato, cioè ancora lavoro ‘a progetto’, gli ‘stage’, la esternalizzazione dei servizi a società o cooperative. Il risultato è che centinaia di migliaia di giovani vivono ‘alla giornata’, senza una prospettiva e nella più assoluta precarietà. E solo dopo alcuni decenni di questa condizione alcuni di loro potranno sperare nel ‘posto fisso’.
E oggi, di fatto, si sono creati due ‘fronti’: quello dei ‘padri’ che hanno avuto accesso al lavoro quando le regole erano poche, chiare e garantiste e quello dei ‘figli’ che in maggioranza sono finiti nelle sabbie mobili della nuova legislazione.
Alla luce di queste distorsioni, è più che opportuno e urgente rivedere le regole che governano oggi il mercato del lavoro. Se proprio non si può tornare alle Leggi degli anni ’70, è comunque necessario riformare la rete di sicurezza sociale per proteggere i lavoratori dalle turbolenze del mercato del lavoro.
Al quadro normativo abbastanza sconfortante si aggiunge la piaga di una vera e propria illegalità quale è il lavoro nero, cioè lavoratori italiani, comunitari ed extracomunitari che prestano la loro opera in cambio di pochi soldi e di nessuna protezione sociale e previdenziale. Si tratta di centinaia di migliaia di persone che subiscono un grave danno e che produce altrettanto danno al sistema economico, in quanto vengono minate le regole stesse della concorrenza e ne risultano danneggiate le imprese serie che rispettano le Leggi. E’ un fenomeno molto diffuso che riguarda in particolare il Meridione d’Italia, Sardegna compresa, ma che non risparmia il nord ricco e industriale. Perché, sia chiaro, lo sfruttamento dei più deboli non conosce barriere geografiche.
In intere regioni del Sud poi, esiste un’altra piaga (che si somma alle altre) che riguarda in particolare il settore agricolo e sul quale lucrano intere organizzazioni criminali. E’ il fenomeno delle imprese esistenti solo sulla carta, con centinaia di dipendenti assunti fittiziamente, per i quali gli organizzatori riescono ad ottenere enormi quantità di denaro dagli istituti previdenziali per prestazioni di disoccupazione, di malattia e soprattutto di maternità (è la truffa che rende più di tutte) che, ovviamente non vanno a finire nelle tasche dei lavoratori. Questo sistema permette, inoltre, di aggirare la Legge sull’immigrazione che prevede che i lavoratori extracomunitari, per poter accedere regolarmente in territorio italiano, debbano essere assunti da un’impresa italiana. E il gioco è fatto: non solo indebite prestazioni previdenziali e assistenziali, ma anche l’estorsione di ingenti somme agli immigrati per il ‘favore’ loro prestato per l’ingresso ‘legale’ in Italia.
Insomma, un mondo del lavoro pieno di insidie e con una illegalità diffusa, con molti imprenditori (o presunti tali) senza scrupoli, subìto dai più deboli, e ben nota sia al Legislatore che a chi le Leggi le dovrebbe far rispettare.
Da questo quadro assai poco confortante appare chiaro che in Italia urge una riforma urgente e, in attesa che ciò avvenga, andrebbe almeno fatto funzionare il sistema di controlli in modo severo e puntuale che scoraggi, o almeno riduca i comportamenti illegali.
Non mancano gli ispettori di INPS, INAIL, del Ministero del Lavoro, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e delle A.U.S.L….Si tratta di molte migliaia di funzionari, molti di più di quanti non ce ne siano in Francia, in Germania o in Gran Bretagna.
Ma allora perché il ‘sistema Italia’, un tempo un tempo tra i più garantisti e con il sistema di tutele più esteso d’Europa è finito ai margini rispetto ai Paesi più industrializzati ?
E’ triste e sconsolante l’unica possibile conclusione.
Non sarà che questo stato di cose conviene a molti, a troppi?
Tranne che a chi lo subisce e ne paga il prezzo più alto, cioè i lavoratori.
Roberto Montisci

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