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lunedì 19 aprile 2010

Mostra di Pittura - Pensieri astratti

La scoperta dell’opera di Pino Casti è una piacevole sorpresa. Colpisce soprattutto la scelta dell’astrattismo, la rinuncia alla figurazione che, quando compare, viene solo accennata per simboli, quasi che l’artista fugga la rappresentazione fotografica della realtà.


Visitando il suo atelier, nel centro storico di Sardara, ci si trova immersi nella penombra, tra mazzi di carte dipinte accatastate qua e là, in un delirio di colori e di messaggi che la timidezza dell’artista mai aveva concesso di esporre.
D'altronde è comprensibile. Fare astrattismo in Sardegna è già difficile per chi è noto, figuriamoci per un autodidatta di 50 anni, che per giunta non può nemmeno vantare un trascorso figurativo che lo metta al riparo dalle solite critiche.
La sua pittura, tuttavia, non nasce dalla presunzione di voler essere un grande artista ma dal bisogno sincero di esprimere la propria interiorità, attraverso la forza del colore. La sua mano è guidata da una sorta di furor liberatorio che pare sfogare nel codice pittorico il non detto del linguaggio verbale. Alle volte raggiunge i toni di una delicata poesia, altrove lancia un urlo disperato oppure si trascina in una pausa andante, da viaggio vissuto.
I supporti adottati, come i cartoni delle magliette che lui vende al mercato, commuovono per la pochezza di mezzi e lo avvicinano, almeno ideologicamente, alla corrente trasversale degli artisti bohémiens, mentre il bisogno irrefrenabile di dipingere ricorda in un certo senso quelle personalità passionali e un po’ ingenue che accomunano tutti i grandi pittori gestuali.
L’uso libero e veloce dei colpi di spatola dà un senso di movimento alle opere che traducono nell’immediato sensazioni mentali. La crostosità materica forma spessori e ombre da leggersi sia nei controluce che nell’abbinamento talvolta inconsueto dei colori, che lasciano intendere sensazioni forti, quasi stranianti.
L’opera di Pino Casti, che definirei da absolute beginner, parafrasando una canzone del Duca bianco, va intesa per sua freschezza inventiva, per gli effetti psicologici trasmessi da una gestualità istintiva, non meditata, ma vissuta nell’attimo stesso della creazione.
Per essere capita va letta come se fosse una musica strumentale, che prescindendo il significato delle parole è in grado di comunicarci emozioni e lascia libera la fantasia dell’osservatore affinché possa spaziare nel proprio iter interpretativo.
La ricetta per poterle apprezzare è semplice: vederle prima tutte, sceglierne una, e di fronte a quella lasciarsi trasportare per alcuni minuti dal colore e dalle forme, nell’osmosi dei pensieri reciproci.
Paolo Sirena

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