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sabato 23 aprile 2011

Sardara Cambia: appunti e proposte.


Ho scritto gli appunti per questo intervento sul retro di volantini che pubblicizzavano una manifestazione per il referendum sull’acqua pubblica. Non solo perché qualche foglio mi è avanzato, ma soprattutto perché l’acqua ha un valore simbolico e culturale molto forte per Sardara.
Ha un valore fin dalla sua fondazione attorno al pozzo nuragico di Sant’Anastasia. Ha un valore nei “luoghi” del suo territorio (Villa Abbas e le terme). Ha un valore altissimo anche nella sua religiosità.
E l’acqua ha uno spazio importante anche nel simbolo della lista Sardara Cambia.
Cinque anni fa ricordo che in un intervento citai l’economista Jeremy Rifkin e il suo libro che parlava dell’esigenza di garantire l’accesso a tutti verso le risorse materiali e immateriali. L’acqua è una di queste risorse.
Anche ora voglio citare Rifkin, che ha intitolato il suo ultimo libro La civiltà dell’empatia. Sostiene che nel futuro gran parte dei rapporti economici e politici si baserà sui buoni rapporti personali. Badate bene, Rifkin non si inventa nulla di nuovo rispetto a quello che abbiamo conosciuto nelle nostre comunità. L’insieme di quel tessuto di relazioni sociali e solidali che regolava la vita della comunità, ne garantiva gli equilibri, ne componeva i conflitti.
Ripensando a cinque anni fa non si può che provare a trovare le differenze tra le diverse immagini di Sardara allora e Sardara oggi.
Ma soprattutto è opportuno compiere lo sforzo di capire i percorsi fin qui fatti.
Cinque anni fa si presentavano tre liste, oggi due. C’erano soggetti politici diversi e nel tempo ne sono nati di nuovi. C’era un’esperienza politica che durava da venticinque anni e che si è bruscamente interrotta tra mille contraddizioni.
La destra vinse le elezioni con l’intenzione di cancellare un’idea di paese che fino ad allora era stata portata avanti. Ora l’esperienza politica della destra in questi cinque anni si presenta di fronte all’esame dei Sardaresi.
Il giudizio, per quanta bontà umana si possa avere, non può che essere politicamente negativo. Facciamo ancora una volta lo sforzo mentale di trovare le differenze. Voglio solo citare una cosa, parafrasando Carlo Emilio Gadda: quel gran pasticciaccio delle terme di Sardara. Oggi abbiamo una struttura chiusa e un’immagine da ricostruire. Bisogna risolvere tutti i problemi legali che verranno ereditati e ripartire con una pianificazione territoriale adeguata e sostenibile.
Il paese ha vissuto questi ultimi mesi in un clima da caduta dell’impero. Sfiducie, divisioni e litigiosità. Giunta e Consiglio senza più il polso politico, deleghe revocate, forti problemi politici.
Nel frattempo noi abbiamo seguito un altro percorso. Non senza difficoltà e scelte difficili. È nato un nuovo soggetto politico che attraverso momenti di discussione e di sintesi ha portato alla formazione di un gruppo unico in Consiglio Comunale. Nei mesi che ci portavano verso l’appuntamento elettorale abbiamo deciso, con una scelta sicuramente non facile, di proporre una fase nuova per il paese. Una fase nuova che vuole partire prima di tutto dalla politica: c’è l’esigenza di un forte rinnovamento generazionale, che non significa esclusivamente anagrafico, che faccia emergere una nuova classe di amministratori. Una fase nuova dal punto di vista programmatico con un progetto nuovo per il paese che guardi dal presente ai prossimi decenni.
Noi pensiamo a un paese in grado di confrontarsi a testa alta con le sfide globali del futuro, in un mondo che, citando Gramsci, appare grande e terribile, dove l’ultra liberismo ha causato l’effetto sociale di un individualismo estremizzato all’ennesima potenza, una distruzione di tutti quei rapporti solidali che citavo sopra.
Chi stava indietro non si poteva aspettare, e tutto questo ha portato a risvolti talora drammatici.
Per questo la chiave di sopravvivenza e di rilancio di un paese come il nostro riparte dalla riscoperta del concetto di comunità.
Sardara ha bisogno di tutti: di laureati scientifici, umanistici e sociali, di agricoltori e artigiani, di operai e di imprenditori, di uomini e donne, giovani e anziani che devono riscoprire il senso di appartenenza alla propria comunità.
Certo la sfida non è facile. Non è facile chiedere a un giovane laureato di restare nella propria comunità, quando non trova spazio per le competenze che ha appreso negli anni di studio. Non è facile chiedere di restare a un giovane lavoratore che in questi anni ha visto dimezzati i propri diritti rispetto a quelli dei suoi genitori.
Ma questa fase nuova per il paese ha l’obbligo di partire ottimista nonostante le difficoltà di cui siamo ben consapevoli.
Occorre lavorare molto per ricostruire ciò che in questi anni è stato abbandonato. Bisogna creare un nuovo clima sociale e culturale. Bisogna riscoprire l’amore per il proprio paese, iniziando dalla tutela e dalla valorizzazione del proprio paesaggio e del centro storico. Tutelare non significa bloccare il progresso, significa anzi creare i presupposti per la valorizzazione del bene paesaggistico, riconosciuto soprattutto a livello europeo. Con un corretto utilizzo degli strumenti urbanistici sarà possibile riprendere un discorso interrotto qualche anno fa.
Tutela e valorizzazione del centro storico hanno bisogno di tecnici esperti, maestranze adeguate, e già questo può essere un primo passo per rimettere in moto l’edilizia, uno dei settori produttivi storici a Sardara.
Centro storico vuol dire soprattutto beni culturali. Non rifacciamo l’elenco delle ricchezze culturali di Sardara, che sono ben note a tutti. Occorre ritrovare di nuovo uno slancio come quello che portò al riconoscimento della Bandiera Arancione e alla certificazione Herity. Pensiamo a un nuovo marketing turistico, alla collaborazione con gli operatori museali e turistici. Utilizziamo le competenze dei giovani laureati nel campo dei beni culturali e del turismo. Quanto più Sardara riuscirà a differenziarsi e a distinguersi per la sua offerta culturale e turistica, tanto più avremo la possibilità di creare occupazione anche per gli altri settori.
Agricoltura e artigianato non vivono infatti un buon momento strutturale. Anche questi settori si devono scontrare con il mercato globale, fatto di produzioni sicuramente più scadenti ma economiche, alle quali fanno affidamento le catene della grande distribuzione, mettendo in ginocchio i nostri agricoltori e i nostri artigiani. La storica frammentazione delle proprietà non favorisce poi l’avvio di moderne tecniche agricole e di produzioni convenienti.
La vera sfida sta ancora una volta nella specializzazione verso colture di qualità che possano competere con produzioni di alto valore, magari ottenendo riconoscimenti e marchi di prestigio. Questo può essere fatto in un paese che ha tradizionalmente nell’agricoltura uno dei suoi settori produttivi trainanti.
L’altro grande settore produttivo è quello artigianale legato all’edilizia. Le maestranze e i tecnici sardaresi sono noti per le loro capacità. Abbiamo visto in questi anni diverse piccole imprese cercare di emergere nel mercato, con tutte le difficoltà che si possono incontrare. Un’amministrazione comunale attenta non può soltanto osservare, ma deve rendersi promotrice dello sviluppo favorendo la creazione di imprese competitive, attraverso lo snellimento delle pratiche burocratiche e l’assistenza nella fase di incubazione. Le occasioni che si presenteranno sia sul settore del recupero degli edifici storici che sulla costruzione di nuovi edifici sui quali ci saranno sempre maggiori vincoli legati alla sostenibilità e al risparmio energetico, vanno colte con la specializzazione tecnica e la dotazione di figure professionali competenti.
L’istruzione e la formazione sono dunque elementi centrali. Non lo sono da oggi: sopravvive al futuro chi è in grado di risolvere problemi e fare proposte.
Oggi abbiamo centinaia di ragazzi che ogni mattina viaggiano per i paesi della provincia per recarsi negli istituti superiori. E altrettanti trascorrono la settimana a Cagliari o Sassari per seguire le lezioni e dare gli esami all’Università. Qualche decina studia nelle università del continente.
Non ci si può più limitare a un mero rimborso di spese viaggio per gli studenti medi. Un paese che crede nella formazione deve fare di più.
Una biblioteca attrezzata con testi scolastici e scientifici, magari in più copie, un servizio di orientamento scolastico e universitario che non si limiti a riprodurre il materiale istituzionale delle università e degli enti per il diritto allo studio ma che sappia indirizzare gli studenti verso i percorsi più idonei, la partecipazione ai bandi europei per la mobilità e gli scambi culturali indispensabili oggi in un mondo globalizzato, la facilità di accesso alle risorse della rete con abbonamenti specifici.
Giovani istruiti sono il primo vero antidoto verso il disagio sociale che anche nel nostro paese inizia a dare segnali molto forti. Ne cogliamo alcuni segnali, ma molte altre situazioni sono nascoste da filtri sociali che non permettono agli operatori di intervenire. Bisogna al più presto rimettere in piedi quel sistema di servizi sociali per cui Sardara era presa a modello anche dai paesi del territorio. Ma l’amministrazione comunale deve rapportarsi a tutte le altre agenzie educative: scuola, parrocchie, oratorio, associazioni sociali e culturali. Bisogna lavorare perché nessuno resti indietro riscoprendo il principio di solidarietà e di sussidiarietà.
Le associazioni sono, come diceva Toqueville, un indice di democrazia. L’amministrazione comunale deve sostenerle e valorizzarle. Un ruolo cardine deve essere affidato alla Pro Loco, soprattutto per quello che riguarda la promozione turistica del paese. Occorre poi scrivere nuove regole, certe e trasparenti, per la concessione dei contributi di funzionamento ordinario, sia per le associazioni culturali che per quelle sportive e a carattere più sociale e formativo. Non si può più navigare a vista, ma occorre una programmazione delle attività e un coordinamento tra i diversi soggetti.
Le cose da fare sono tante, ma per prima cosa occorre ricostruire un nuovo clima di fiducia, di solidarietà e di amore per il proprio paese.
A 29 anni, quasi 30, credo di avere il diritto di essere ottimista. Ma soprattutto penso di averne il dovere.
Roberto Ibba

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