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lunedì 3 maggio 2010

P A O L A M U S A

Amo trascorrere il tempo libero che mi lasciano le incombenze familiari e quelle "agricole", con un libro in mano.
Le mie non sono letture sistematiche o organizzate: leggo un po’ di tutto, senza lasciarmi sfuggire, nei limiti del possibile, i lavori e le opere dei miei concittadini sardaresi. Per questo ho acquistato, appena uscito, "IL TERZO CORPO DELL’AMORE", il bel libro di Paola Musa, alla sua seconda fatica letteraria. Certamente non voglio addentrarmi in considerazioni e giudizi di tipo artistico-letterario. Non ne ho l’intenzione né la capacità: lasciamo che ciascuno faccia il proprio mestiere. Desidero soltanto cercare di esprimere alcune considerazioni scaturite dalla lettura, tutta d’un fiato, dell’ultima opera di Paola. Ho un metodo tutto personale, naturalmente valido soltanto per il sottoscritto, di giudicare la godibilità di un libro appena letto. Se riesce a coinvolgermi emotivamente, rapendomi fino alle lacrime (non devono essere necessariamente storielle strappalacrime), io mi sento appagato: quell’opera ha raggiunto il suo scopo, mi ha reso pensosamente felice. E il libro di Paola Musa ci è largamente riuscito. Varie volte ho dovuto interrompere, per riflettere ed asciugarmi le lacrime per paura dell’arrivo improvviso di un familiare; anche se sono convinto che non c’è nulla di che vergognarsi. Il primo forte shock l’ho avuto quando Luisa si rende conto che il suo rapporto con i figli è guasto. Il tormento di non riuscire a dar loro l’amore dovuto. Ne soffre. Cerca di rimediare, di cambiare atteggiamento. Ci prova anche, ma deve arrendersi: non ci riesce. La sensazione che Luisa, da quel momento in poi, la vita può soltanto vederla scorrere ma non viverla, mi ha chiuso la gola in una morsa di ferro.
Altro momento forte emotivamente è quando Giacomo sente impellente e improcrastinabile il bisogno di vedere, dopo 20 anni, l’indimenticata sorella. Una forza misteriosa lo prende come in un vortice, lo obbliga ad abbandonare tutti gli impegni di uomo affermato e correre da Rosy: sembra una frenetica corsa verso un impossibile ritorno all’infanzia. E infatti la notte che decide di lasciare Parigi, sogna la caletta dei ricci dove l’amata sorella era pronta ad asciugarlo appena uscito dall’acqua. … " Non era un sogno nuovo. Lo aveva fatto spesso, in quegli anni. Solo che in quella notte, per la prima volta in vita sua, si era fatto la pipì nel sonno, proprio come un bambino". Un bambino che ha un conto in sospeso con se stesso, una pena che esplode e si libera nel momento catartico dell’incontro con la sorella. …"Giacomo le afferrò le braccia e prese a strattonarla, urlando il suo nome: - Rosy !! - … Giacomo, accettando finalmente tutta la sua impotenza , si inginocchiò e le afferrò le ginocchia, piangendo. –Perdonami-" .
La goffa, impacciata Rosy alla fine giganteggia su tutti. Il suo grande amore per gli altri la circonda di rispetto e simpatia. I ricchi ospiti della casa per anziani tra le montagne della Svizzera, dove Rosy svolge il suo lavoro di infermiera, la venerano; ed è sempre lei, e non altri, a tenere loro la mano nei momenti del fatale trapasso. E Rosy di questa missione ne fa la sua vita. Che è poi anche la sua felicità.
Luigi Melis

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