Vai al nuovo sito

martedì 22 marzo 2011

Perchè anche io ho festeggiato i 150 anni dell'unità d'Italia

Dopo tante polemiche a più livelli, ieri siamo finalmente arrivati al tanto atteso 17 marzo, 150° anniversario dalla proclamazione del Regno d'Italia.Oltre alla Lega Nord, protagonista indiscussa di queste polemiche, anche qui in Sardegna abbiamo avuto fasce di dissenso, fortunatamente minoritarie, che hanno interpretato questa ricorrenza come una commemorazione piuttosto che come festa e momento di rinnovata coesione, l'anniversario di un lutto per i Sardi e la Sardegna, il definitivo allontanarsi di un sogno di autonomia e indipendenza, della consacrazione di una “Natzione Sarda”. Sappiamo che non esiste una verità storica assoluta, ma è vero anche che è difficile per un popolo leggere e interpretare una storia che si è sempre voluta negare, cancellare, quasi che facesse paura, a torto, a mio avviso, degli stessi Sardi,che non hanno mai preteso che nelle nostre scuole elementari, medie e superiori si studiasse la storia della Sardegna. E se avessimo studiato la storia sapremmo che l'unità d'Italia non è stata subita come ci insegnano molti luoghi comuni che nei decenni si sono rincorsi, che parlano di una terra schiava e asservita ma che, piuttosto, la Sardegna ha avuto un ruolo fondamentale in questo processo, sia perchè fu il regno di Sardegna, retto dai Savoia, ad espandersi e a diventare Regno d'Italia, sia perchè fu la Sardegna a offrire i principi fondamentali per quello che divenne lo Statuto Albertino prima e, con la proclamazione del Regno d'Italia, carta fondamentale del Regno fin quando non entrò in vigore, il 1º gennaio 1948, la Costituzione della Repubblica italiana. Penso che questi elementi rappresentino una chiave interpretativa del tutto diversa rispetto allo stato di schiavitù che siamo storicamente abituati a pensare, che riabilita totalmente i nostri avi e che testimonia di un rapporto cosciente e fiero, e che mai, come nel caso dei moti antifeudali per il riconoscimento delle prerogative degli stamenti sardi, nonostante le rivolte che culminarono nella cacciata dei piemontesi del 1794, si tramutò in desiderio di indipendenza assoluta dal potere piemontese e della costituzione di un Regno indipendente se non da parte di minoranze esigue, ma piuttosto di un riconoscimento del ruolo degli organismi istituzionali, del Parlamento e delle classi dirigenti sarde, ma sempre in un contesto di collaborazione, di coesistenza con il potere centrale: una lotta per l'autonomia, non per il distacco, il riconoscimento di un'importanza della Sardegna e dei Sardi nell'ottica di un rapporto di collaborazione ma mai di assoggettamento. Del resto è indubbio che fu grazie alla venuta dei Savoia se si fecero molte cose per lo sviluppo e la crescita della Sardegna, perchè i Savoia, di fronte alla prospettiva di caricarsi il mantenimento di un peso morto come doveva allora essere vista allora la Sardegna dal punto di vista delle ricchezze e che non avrebbe prodotto gli sperati introiti per il foraggiamento delle casse del regno, ben pensarono, attraverso l'opera illuminata del ministro Bogino, di applicare delle politiche di razionalizzazione e di sviluppo economico per la nostra isola, intervenendo sul sistema scolastico e universitario, sulla riorganizzazione amministrativa, sul sostegno e la diversificazione dell'agricoltura.
Mi chiedo quante di queste cose sarebbero state fatte se la Sardegna fosse rimasta sola e non avesse accettato il compromesso. Però mi chiedo anche cosa sarebbe successo se i nostri antenati non avessero lottato per rivendicare il ruolo che al Parlamento e ai notabili Sardi veniva sempre più negato.
Dicono che la storia ci insegni sempre qualcosa, e la studiamo anche per trovare nei fatti del passato chiavi interpretative per la soluzione dei problemi di oggi.
Se penso ai fatti storici che hanno portato all'unità d'Italia e li paragono al contesto di questi giorni, in un momento in cui il federalismo sta vedendo la luce, mi chiedo cosa questo possa e debba significare per noi Sardi, se un'opportunità o minaccia. Io penso che debba essere interpretato come opportunità ma solo se, traendo insegnamento da quello che i protagonisti del nostro risorgimento rivendicavano per sé, sapremo raccoglier la sfida di una nuova autonomia dallo stato centrale continuando a sentirci, al contempo, parte della nazione italiana, rivendicando un ruolo importante all'interno di un'Italia federale, rivendicando ciò che è della Sardegna e dei Sardi, ma non in maniera sterile e statica, bensì utilizzando le nostre risorse per la crescita delle nostra terra e della nostra gente. E' questo, a mio avviso, il senso del federalismo nell'unità nazionale, l'unione consapevole di più parti che scelgono di stare assieme, di fare parte dello stesso corpo, nel rispetto delle identità e delle diversità di ciascuno, perchè capiscono che stare assieme fa bene a tutti e non solo a pochi. E se l'unione è consapevole e proattiva, come si fa a sentirsi servi?come si fa a non comprendere l'utilità di essere parte di una nazione fatta di regioni autonome ma federate e sorelle, che hanno in comune storia, lingua, cultura, tradizioni in primis e sviluppo e benessere poi?
E allora viva l'Italia unita, e viva la Sardegna nell'Italia unita!
Roberta Atzori

1 commento:

Anonimo ha detto...

tra tutte le parti che non condivido, ne traggo solo una: a mu non pare che ilministro Bogino abbia fatto un'opera illuminata, visto che ancora oggi nell'immaginario collettivo dei Sardi viene visto come un'entità negativa (ne è la conferma il detto "anca ti curra su Buginu" riferito proprio a quel ministro!!).. e comunque la Sardegna è sempre stata vista dai Savoia come miniera da sfruttare (vedasi tutte le concessioni minerarie rilasciate all'epoca e il disboscamento selvaggio operato per la prima rete ferroviaria italiana). E no non mi trovo concordo; in quest'unità d'Italia non c'è proprio niente da festeggiare per i Sardi!!!
Daniele Tatti