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martedì 19 ottobre 2010

SARDARA - PROSPETTIVE DELLA COLTIVAZIONE DEL GRANO IN FUNZIONE DELL’ANDAMENTO DEI MERCATI DEI PRODOTTI DERIVATI

“Su trigu Ariseu oi e cras” con molta carne al fuoco nel convegno della Pro Loco. Tutti gli interventi sullo stato del comparto agroalimentare sono stati unanimi nel sentenziare la crisi terribile che non lascia intravedere “su cras” nel settore. Frantumazione delle aziende che non reggono la concorrenza. Lentezza di burocrazia. Speculatori che fanno crollare i prezzi. Strapotere degli industriali rispetto ai produttori. Errato approccio della politica al comparto malato di assistenzialismo. Gravi responsabilità delle assoc. di categoria. Un comparto che oggi incide poco sul PIL sardo nonostante l’eccellenza del nostro ambiente.
Produciamo amaretti con mandorle portoghesi, salsicce con carne olandese, pasta con grano russo… Malgrado produttori degli oli d’oliva più importanti d’Italia, il 90% di quello che consumiamo è extra-comunitario e non vergine di Sardegna. Buona parte del pescato proviene da fuori (ma non abbiamo il mare intorno?). Maialetti provenienti dal Portogallo spacciati per sardi. Cooperative di produttori di pecorino senza canali di commercializzazione e quindi enormi giacenze. Il 20% di tutto il pane arriva dal continente grazie ai centri commerciali dispensatori di baguettes e di altro pane fresco di surgelatore, precotto di dubbia qualità, pronto per le bocche dei sardi sempre generosi verso le economie straniere.
Produciamo solo il 20% di ciò che consumiamo! E’ questa la cifra della estrema gravità della situazione. Produciamo poco e di questo non consumiamo quasi nulla. Per l’acqua basta vedere quella che ci propinano ristoratori e macchinette selfservice. Meno male che l’aria …
Cosa mai si potrà fare quando alle suddette situazioni si aggiungono quelle legate alla assoluta mancanza di consapevolezza degli operatori turistico-alberghieri e ristoratori che non ci fanno trovare i nostri prodotti sulle tavole. Che fare se nei menù troviamo spesso le trenette al salmone, la pasta sempre con il parmigiano, verdure e persino il prezzemolo che provengono da fuori e non il pecorino, su pane carasau e fratau, ecc. Nei molti villaggi turistici e costa smeralda non si mangia sardo, alla Metro di CA che rifornisce buona parte dei ristoranti del territorio spesso non si trovano prodotti made in Sardinia. Aggiungiamo che in molti casi nei capitolati di appalto per la forniture nelle mense scolastiche i comuni prevedono l’uso del parmigiano: i produttori parmensi naturalmente ringraziano aggiungendo che però non è il caso… Che fare se mugnai e agricoltori produttori di grano/consorzi agrari non si parlano e questi ultimi producono qualità non richieste dal mercato? Cosa mai si potrà fare se il presidente della camera di commercio di CA si vergogna della scuola alberghiera del territorio che non insegna ai futuri operatori del settore la conoscenza dei prodotti locali, indottrinati magari all’uso esclusivo di parmigiano, lasagne, tortellini, anatre all’arancia, salmone, ecc.? Altro esempio di scuola straniera? Certo che con la più alta concentrazione di centri commerciali e McDonald d’Italia volete che ci facciamo mancare il Drive-In?
Non sono situazioni da paese normale. Ci deve essere una qualche ragione di fondo che fa scaturire tutto ciò!
Il capo di Gabinetto dell’ass. reg. agric. parla di “Popolo confuso nella sua visione di insieme del meccanismo economico e sociale” e di “insipienza politica”.
Ci chiediamo se ciò non sia opera di un qualche virus del ceppo del masochismo più deleterio che si trasmette perché trova il giusto humus nella assoluta mancanza di coscienza dei sardi. Si può fare qualcosa per ripristinare un livello normale di consapevolezza anche nella nostra provincia vittima per esempio dello slogan disgraziato “mangia come parli” elaborato da maghi del marketing “stranieri” che ignorano perfino le lingue parlate nella nostra terra? Considerato quel livello e non ritenendo possibile il più adeguato “papa cumenti fueddas” si potrebbe ripiegare su “compra nella tua valle e il tuo paese vivrà”. Quest’ultimo slogan può sintetizzare ciò che tutti i relatori hanno sostenuto e che noi semplici cittadini possiamo seguire già da subito per arginare la drammatica situazione. Peccato che per poter attecchire un simile messaggio abbia bisogno di un senso di appartenenza alla nostra terra che non abbiamo. Sentimenti che solo un’adeguata educazione possono trasmettere e non certo quella che subiamo dagli istituti (dis)educativi: ludoteche, tv, e in primis da una scuola di fatto “straniera”, andate a vedervi programmi e testi scolastici.
Un consiglio gratuito: quando i ristoratori di casa nostra ci propongono menù, pane e bibite made in su corru de sa furca, trattiamoli male e magari andiamocene!
Alcuni importantissimi provvedimenti sono stati proposti: commercio a km zero; creazione di associazioni di produttori per bilanciare lo strapotere degli industriali che oggi decidono i prezzi; certificazione di qualità dei prodotti e allargare i contratti di filiera; il progetto “vivere la campagna” della nostra provincia. Produzione di energia nelle aziende e acqua a basso costo… Ben poca cosa rispetto alla gravità della situazione.
In una terra a grande vocazione turistica alle strutture ricettive alberghiere dobbiamo imporre anche il nostro prodotto visto che esse vivono nel NOSTRO e grazie alla bellezza del NOSTRO territorio. Abbiamo volontà, sovranità e capacità adeguata a casa nostra? O non è casa nostra?
Un popolo che non produce nulla è destinato a scomparire. E’ ciò che sta già accadendo con abbandono di campagne, paesi dell’interno e prepotente ripresa dell’emigrazione. Meno male che con facebook potremo sempre creare il gruppo del “popolo” sardo virtuale. Fra pochi anni dagli attuali 1,6 passeremo a 1,3 milioni, saremo come una tzìpula: la terra col buco in mezzo, marigosa perou; si, il buco determinato dalla cecità della nostra classe politica espressione di un popolo al quale è stata operata una lobotomia cerebrale con totale asportazione della coscienza opera di un’educazione anche scolastica tutta tesa alla totale rimozione della nostra specificità culturale. L’equazione dipendenza culturale = dipendenza economica è sempre valida. E’ necessario dunque invertire la rotta, il recente dibattito in consiglio regionale sui temi della sovranità e statuto fa ben sperare. Ma non drammatizziamo, in palio c’è solo il futuro di questa terra e dei nostri figli.
Un convegno da non perdere
http://www.bibliotecadisangavino.net/index.php?option=com_content&view=article&id=626:su-trigu-ariseu-oi-e-cras&catid=33:chistionai&Itemid=54


Giampaolo Pisu

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