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lunedì 25 ottobre 2010

Sardara, amministrative 2011. Il paese ad un bivio.

A pochi mesi dalle elezioni amministrative, i Partiti che si riconoscono nel centro-sinistra hanno avviato una discussione pubblica sul futuro del paese, anche alla luce dei gravi errori politici e amministrativi commessi dal centro-destra in questi ultimi cinque anni.
L’elenco è lungo (e ormai noto) ed è opinione diffusa che tale eredità negativa sarà una pesante palla al piede che rallenterà l’azione della prossima amministrazione comunale.
L’impressione oggi è che i sardaresi abbiano una gran fretta di cambiare rotta (e amministrazione), tanto diffuso è lo scontento, che riguarda ormai tutti gli ambiti dell’attività amministrativa.
Se l’impressione è giusta, i Partiti del centro-sinistra non devono far altro che mettersi al lavoro per compilare un programma realistico e dettagliato e cominciare a pensare alla composizione di un gruppo coeso e omogeneo che si dovrà occupare di amministrare il Comune nei prossimi cinque anni.
Tutto semplice? Si e no, viste alcune osservazioni e qualche perplessità espressa nel dibattito pubblico e anche su questo blog.
In effetti, rispetto a cinque anni fa, ci sono alcuni fatti nuovi che impongono qualche (urgente) riflessione.
Se da un lato, l’aggregazione di centro-sinistra che si prospetta sembra più composita (nel 2006 alcuni partiti neppure esistevano, compreso il più importante, il Partito Democratico, fondato nell’ ottobre del 2007), dall’altro la composizione del Consiglio e della Giunta saranno diversi: oggi sedici consiglieri e sei assessori mentre del 2011 saranno rispettivamente tredici e quattro (sempre che il Consiglio Regionale non approvi la proposta di Legge, che è già stata presentata, per lasciare le cose come stanno).
Una situazione nuova, da cui deriverebbe una riduzione degli spazi di rappresentanza politica. Una situazione che si colloca all’interno di un quadro locale che vede drasticamente aumentata la distanza tra amministratori e cittadini, aggravando il già difficile rapporto esistente a livello generale tra i cittadini-elettori, i politici e le istituzioni.
Infine, il dibattito sta ponendo (con una certa insistenza) un accento particolare sulla questione del rinnovamento, dei giovani da (non) mandare allo sbaraglio, la scelta di ‘coraggiosi’ disposti ad affrontare in prima linea una situazione amministrativa particolarmente difficile, ecc.
Tutte questioni che qualche problema effettivamente lo pongono.
Ma per contribuire a risolvere problemi nuovi ci vogliono idee e proposte nuove, e qualche spunto è già emerso nei dibattiti e negli scritti.
Finora si è parlato di tavoli di discussione ‘allargati’, cioè composti dai rappresentanti di tutti i partiti, in opposizione a tavolini ‘ristretti’ a cui siedono in pochi (c’è chi li ha definiti, con un brutto termine, ‘capi-bastone’…).
Ma tavoli e tavolini per decidere cosa?
Se è per scrivere un programma serio e realistico è certamente una buona idea.
Se è per decidere la composizione di giunta, consiglio e Sindaco non è per niente una buona idea.
Già basta una certa terminologia (che è forma ma anche sostanza), per richiamare alcuni vecchi metodi (e vizi) della politica che la gente ha da tempo ripudiato e che sono la causa dell’astensionismo e della sfiducia crescente verso i politici e le istituzioni, che contrastano con la dichiarata volontà dei Partiti di rinnovarsi e di individuare nuovi metodi di partecipazione.
Sono più convincenti gli inviti di alcuni giovani, quelli che chiedono di guardare avanti e che propongono una politica nuova, quando questo termine non significa semplicemente una questione di solo ricambio generazionale.
La buona notizia è che più d’una di queste voci proviene proprio dalle fila del Partito Democratico, il mio partito.
C’è da esserne fieri perché una politica ‘nuova’, quella che ci chiedono con forza i cittadini (ma soprattutto i nostri elettori) ben si addice ad un partito ‘nuovo’ quale è il P.D.
E allora c’è da attendersi che proprio il P.D., saprà far proprie queste istanze cominciando proprio dagli impegni che lo attendono in vista delle prossime elezioni amministrative.
Un ulteriore sostegno a questa esigenza di rinnovamento può venire dalla disamina di uno di quei tentativi di innovare la politica in Italia che è stata con la riforma dell’elezione dei Sindaci del 1993.
Fino al 1993 il Sindaco era eletto dal Consiglio Comunale e poteva essere sostituito in qualunque momento da una nuova maggioranza (e ciò era spesso causa di instabilità).
Dal 1993 in poi il Sindaco viene invece eletto direttamente dai cittadini, cosa che gli conferisce ampi poteri ed una maggiore autorevolezza. Egli nomina gli assessori e il vice-sindaco e se decade per qualunque motivo, non può essere sostituito e la parola passa agli elettori.
E, in effetti, da allora è aumentata la stabilità delle amministrazioni locali.
Però la volontà del Legislatore era chiara: far scegliere il Sindaco ai cittadini rafforzandone il ruolo al fine di rendere più stabili le amministrazioni di Comuni e Province.
Tutto bene, quindi? Non proprio. Si può dire che l’obbiettivo è stato raggiunto, ma solo a metà.
Infatti l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province è stata in parte vanificata dal momento che i cittadini fino ad oggi non hanno potuto scegliere se non l’unico nome proposto dalla coalizione, quasi mai individuato con metodi democratici (così che resta il dubbio che si possa ancora parlare di ‘elezione diretta’…).
E ciò perchè i partiti non hanno mai voluto rinunciare alle vecchie pratiche fatte anche di accordi e compromessi (non sempre comprensibili e tantomeno trasparenti), che sono la causa di molti mali e spesso della instabilità di molte pubbliche amministrazioni (basta guardare a quanto accade in questi giorni alla giunta Cappellacci).
Ecco perché servono, anzi urgono, politiche nuove.
Che fare?
Forse la soluzione è più a portata di mano di quanto sembra e si trova nelle stesse basi costitutive del Partito Democratico, ossia lo strumento delle elezioni primarie.
Un metodo nato non per dirimere le controversie interne ai partiti (qualche volta si..) ma per aprire il partito democratico (e la politica in genere) ad una vera, autentica partecipazione democratica , soprattutto in occasione della individuazione delle più importanti cariche istituzionali.
Ad un candidato sindaco scelto con le primarie (con il contributo degli elettori di tutti i partiti della coalizione) e successivamente eletto direttamente dai cittadini si potrebbe (e si dovrebbe) attribuire l’intera responsabilità di nominare i propri collaboratori (gli assessori) senza necessariamente passare attraverso una trattativa (ne preventiva ne successiva) vecchio stile tra i vari partiti, anche se il Sindaco, una volta eletto, dovrebbe tenere conto dell’apporto elettorale dato da ciascun Partito, non con criteri rigidi dovuti al consenso ottenuto, ma alla competenza posseduta in relazione all’incarico da ricoprire..
Ma deve trattarsi di primarie vere, estese a tutti i cittadini, in modo da sottrarre ai partiti la scelta del candidato e trasferire questa potestà ai cittadini-elettori del centro-sinistra.
Tale ragionamento andrebbe esteso , ovviamente, in qualunque ipotesi che presenti più candidati, sia che appartengano allo stesso partito che a partiti diversi, (altrimenti che primarie sarebbero?), Più chiaramente, se uno stesso partito dovesse esprimere più di una candidatura, ad essere chiamati ad esprimersi non sarebbero i soli elettori di quel partito e tantomeno i tesserati dello stesso partito, ma sempre e comunque tutti i cittadini che intendessero esprimere la propria opinione.
Si conseguirebbero così una serie di risultati positivi.
In primo luogo la massima apertura democratica ed una reale partecipazione dei cittadini alle scelte fondamentali per la comunità.
Una sicura garanzia di stabilità per l’intera durata del mandato elettorale.
Il superamento dei problemi posti in ordine al rinnovamento, alla riproposizione di candidati più esperti e navigati (e nessuno avrebbe nulla da eccepire, perché sarebbe la gente a scegliere).
E poi, in fin dei conti, non è proprio questo che gli elettori ci chiedono, inascoltati, da troppo tempo? Non è forse l’assenza di nuovi strumenti di democrazia che allontana la gente dalle urne, proprio perché considera il proprio ruolo di elettore ininfluente ai fini delle scelte?
Allora bisogna crederci e dobbiamo provare a dare ai sardaresi l’opportunità di una nuova esperienza di vita democratica.
In questo senso, nel 2011 il paese si troverà ad un bivio: un nuovo corso fatto di partecipazione e democrazia o un ritorno alla vecchia politica.
Roberto Montisci

3 commenti:

aipa81 ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
aipa81 ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Unknown ha detto...

per una democrazia compiuta e partecipata, primarie sempre e ovunque...