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lunedì 20 dicembre 2010

I VIAGGI DI DORE’ E SHANDAN

La treccia di Dorè ha raggiunto la spalla, ormai è un uomo, non è più tempo di giochi. Ha imparato a lavorare la pietra nera e riesce ad ottenere punte e lame perfette. Insieme agli altri uomini del villaggio ne costruisce tante con i ciottoli che raccoglie risalendo il fiume verso la montagna. Shandan è anche lui un uomo, la sua gamba lo fa zoppicare ma, grazie alle cure de “Su babbu mannu” e delle mamme del villaggio, è diventato sano e robusto, ha imparato l’arte della pesca e con la sua barca si spinge anche molto lontano. Quando hanno tempo i due amici, si incontrano e parlano di progetti futuri. Sanno che quelle pietre nere e quelli strumenti possono interessare altri uomini. “Dorè”, gli dice Shandan, “tu conosci l’arte della pietra nera, io conosco l’arte del navigare, perché non portiamo i nostri prodotti verso altri villaggi? Io costruisco una barca più grande, tu porta i tuoi strumenti e le pietre e partiamo!” Ma Dorè è titubante, non vuole lasciare il villaggio, ha una ragazza nel cuore, si chiama Mena ha splendidi occhi color smeraldo e due lunghe trecce bionde. Egli ha già chiesto la sua mano inviando un anziano che ha lodato le sue grandi doti. La madre di Mena gli ha risposto che non basta, per poter sposare Mena, Dorè dovrà portare la sua dote e dimostrare di avere l’autosufficienza per sfamare la moglie e i figli. Lui non può ancora assicurare tutto questo con il suo lavoro. “ Ecco questa sarà per noi una buona occasione, se andrà bene torneremo al villaggio con tanti prodotti buoni dallo scambio dei tuoi strumenti”, esclama Shandan a cui non manca di certo il coraggio ed è pronto ad affrontare i rischi del mare. Dorè per il suo amore è pronto a tutto: “Partiamo”, dice, battendo la mano sulla spalla dell’amico. Dopo aver caricato la barca, i due amici partono salutando la gente del villaggio. Lasciata la laguna, e doppiato il promontorio sacro, che ha sempre rappresentato il confine per le piccole e fragili barche dei pescatori, l'imbarcazione si dirige verso un altro promontorio che raggiunge in poche ore. Seguendo il fumo dei fuochi i due intuiscono la presenza di villaggi sulla costa, incontrano altre barche che li guidano attraverso una grande laguna. Un gruppo di uomini armati con grandi archi e lunghi bastoni si avvicinano minacciosi alla barca di Shandan e Dorè, parlano un linguaggio simile al loro: “Che cosa volete? Che cosa trasportate? Da dove venite?” urla uno di loro con un copricapo munito di lunghe corna, “siamo venuti in pace, veniamo dal villaggio dietro il promontorio sacro e portiamo punte di frecce e coltelli fatti con queste pietre nere” risponde, per niente intimorito Dorè. Gli uomini si avvicinano e osservano il materiale che Dorè e Shandan hanno sistemato per terra sopra una grande pelle. “Guardate queste frecce e confrontatele con le vostre, sono molto più taglienti e appuntite”. Dopo averle toccate gli uomini mormorano tra loro: “E’ vero sono molto più aguzze delle nostre”. Ben presto i due scambiano i loro prodotti e caricano la barca di pelli, formaggio, pesce salato, uova di pesce salate e vasi di terracotta. Riprendono il mare, ben presto si fa notte e la navigazione diventa più rischiosa, lottano con un vento caldo che li spinge in alto mare, con le prime luci dell’alba stremati dalla fatica, scorgono una piccola isola, il vento e le residue forze li aiutano a sbarcare sulla spiaggia. “Un brutto vento” esclamano i due, per fortuna siamo finiti in questa isola”. Dopo essersi rifocillati, passati alcuni giorni aspettando il bel tempo, col favore del vento, i due ripartono puntando verso il promontorio sacro, è sera e una gran luce indica il loro villaggio, è il fuoco sacro. Dorè e Shandan sono accolti come eroi e con gran sollievo dei loro vecchi genitori. Sulla spiaggia c’è anche una ragazza dagli occhi smeraldi e le grandi trecce bionde, anche lei fà un grande sospiro di sollievo. Spartiti i prodotti frutto dello scambio, Dorè, accompagnato, dall’anziana madre, porta la sua dote alla capanna di Mena. Questa volta la madre di Mena, stupita per tutto quel ben di dio, acconsente il fidanzamento. “Sarà in buone mani” pensa. Mena dentro la capanna trema e spera. “Su ragazza vieni che ti rifaccio le trecce” dice la madre sollevando il coperchio di una grande cassa decorata e prendendo una bellissima cuffia di lana anch’essa decorata con piccoli cerchi. “Domani andrai in sposa a Dorè, voglio che indossi il bel mantello e la cuffia che abbiamo tessuto insieme”. Mena si getta in ginocchio davanti alla mamma e sussurra piangendo “grazie madre”. Oggi quei due bambini che un tempo schiamazzavano, sono due splendidi ragazzi, davanti a “Su Babbu Mannu” e tutto il villaggio, sotto la grande quercia, vicino al grande fuoco, ricevono tremanti la benedizione, il vaso con l’acqua benedetta e la statuina della Dea Madre che dovranno custodire fino alla morte e che li accompagnerà nella tomba. Subito si scatena una gran festa, Mena e Dorè al centro di un grande cerchio di uomini e donne che ballano tenendosi per mano, finalmente possono baciarsi. Pesci e agnelli arrostiti per tutti sono serviti su grandi cesti di giunco e erbe. (continua)
Livio Melis

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