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giovedì 11 novembre 2010

Il ruolo dei Comuni per combattere la disoccupazione

La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è una delle piaghe della nostra società.
Il sistema delle imprese sembra incapace di far fronte alle nuove sfide imposte dalla globalizzazione e spesso le aziende scelgono la via del trasferimento delle produzioni in altri Paesi dove il costo del lavoro è più basso (delocalizzazione), con la conseguente riduzione degli occupati nel nostro Paese. E a poco sembrano servire le politiche pubbliche per arginare il fenomeno, se non a tamponare temporaneamente il disagio dei disoccupati e delle loro famiglie con il ricorso sempre più massiccio agli ammortizzatori sociali, cioè la cassa integrazione guadagni, la mobilità, l’indennità di disoccupazione, ecc.
Per le imprese, si sa, il lavoro rappresenta un costoso ‘fattore della produzione’ e quasi sempre sono i lavoratori a pagare le crisi di mercato, ma anche gli errori gestionali e le scelte organizzative sbagliate.
Per i lavoratori, invece, il lavoro è necessario per garantire dignità e sicurezza sociale e quando non c’è, oltre ad essere motivo di degrado materiale e morale degli individui, è spesso causa di fenomeni di devianza, dalla microcriminalità alle tossicodipendenze.
Anche per questo lo Stato (nella sua accezione più ampia) non può restare indifferente, e con lo Stato le Regioni, le Province e i Comuni.
Ma cosa possono fare le istituzioni pubbliche, e in particolare i Comuni?
E’ necessario partire un po’ da lontano, cioè dalla cosiddetta ‘strategia di Lisbona 2000’, città nella quale si svolse in quell’anno il Consiglio Europeo.
Tra le tante altre cose (tutte orientate alla creazione di un’economia europea fondata sulla conoscenza e sulla lotta contro l’esclusione sociale),si stabilì che la nuova strategia europea per l’occupazione doveva avere una dimensione locale, in quanto le politiche dei governi nazionali avevano dimostrato chiaramente i propri limiti. Pertanto solo la vicinanza e il continuo contatto con tutti gli operatori economici locali avrebbe potuto focalizzare meglio i problemi e trovare le soluzioni più adeguate.
In linea con tali principi, la Regione Sarda si è dotata, con qualche ritardo, di una Legge, la n° 20 del 2005, (Governo Soru) la quale stabilisce che:
“La Regione riconosce il diritto del lavoro come diritto alla persona e promuove le condizioni per rendere effettivo tale diritto…”
“Le Province gestiscono i Centri dei Servizi per il Lavoro al fine di assicurare l’integrazione dei servizi secondo la programmazione regionale…”
“Partecipano al sistema dei servizi per il lavoro la Scuola, l’Università, gli Enti di Formazione, il Terzo Settore, gli organismi istituzionali, le Province e i Comuni…”.
I Comuni e le loro Associazioni (es. A.N.C.I.) contribuiscono alla individuazione di buone prassi per favorire l’occupazione (modellizzazione) tramite un raccordo stretto con le Province, per una serie di azioni comuni che si possono così sintetizzare.
Monitoraggio della consistenza dei fabbisogni occupazionali, con particolare riguardo alle categorie svantaggiate (disabili, disoccupati anziani, donne, ecc.);
Raccolta dei fabbisogni professionali in relazione alle esigenze del tessuto economico e produttivo;
Raccordo con il sistema scolastico e della formazione per garantire occasioni di formazione continua per tutta la vita lavorativa;
Miglioramento del coordinamento tra i servizi comunali di welfare (servizi sociali) con le prestazioni erogate dai servizi provinciali per l’impiego e finalizzati all’inserimento lavorativo;
Raccordo con Italia Lavoro, che è un’agenzia pubblica che fornisce servizi di supporto agli Enti Locali nella progettazione e accompagnamento di attività imprenditoriali che favoriscano l’esternalizzazione di alcuni servizi comunali; ma anche l’ assistenza qualificata allo sviluppo di politiche attive per il lavoro, compresa la creazione di nuove imprese e l’avvio di attività lavorative autonome; in particolare nel settore dei beni culturali e della valorizzazione del patrimonio naturalistico;
Predisposizione del piano locale per l’occupazione (previsto dalla strategia di Lisbona), che è un documento programmatico da attuare in occasione di progetti integrati territoriali con altri Comuni, patti territoriali o altri strumenti di riqualificazione del territorio e di sviluppo locale. Sulla base del Piano può essere richiesto l’intervento finanziario di Stato e della Regione che, si spera, saranno particolarmente sensibili a tutte quelle iniziative volte ad incrementare la ‘buona occupazione’;
Inoltre, ciascun Comune in piena autonomia, potrebbe (anzi dovrebbe):
Aprire i propri uffici e le proprie unità operative alle esperienze lavorative di studenti delle scuole delle superiori e universitari con appositi tirocini formativi, che aumenterebbe le possibilità
di trovare lavoro al termine dell’esperienza in affiancamento (sia le Province che le Regioni finanziano con ‘borse’ i tirocini presso datori di lavoro privati e pubblici per agevolare le scelte professionali post-studio);
Contribuire a combattere il fenomeno del lavoro nero, attivando forme di collaborazione con I.N.P.S. e I.N.A.I.L. per rendere ancora più efficace la normativa che già prevede il controllo sulla regolarità contributiva e sulla natura dei rapporti di lavoro instaurati dalle aziende che hanno rapporti con il Comune;
Favorire la nascita e accompagnare lo sviluppo delle microimprese anche rendendo disponibili strutture e infrastrutture di proprietà comunale, oltre a incentivi quali il prestito d’onore;
Favorire lo sviluppo e l’incremento di professionalità del ‘terzo settore’, cui sono proprie le forme più partecipative di servizio alla collettività, in assenza di scopo di lucro, con l’obiettivo precipuo di reinserire le persone svantaggiate nel mondo del lavoro in settori quali l’assistenza alle persone, i servizi culturali, la protezione dell’ambiente;
Sfruttare al meglio la normativa regionale (L.R. 20/2005) che prevede contributi ai comuni per la gestione di servizi comunali da parte delle cooperative sociali, quelle previste dalla Legge 381/91,. la stessa che prevede l’attività volontaria con finalità sociali a persone destinatarie di sostegno economico.
Utilizzare al meglio la normativa esistente al fine di riservare ai residenti tutte le opportunità di lavoro realizzabili con contributi regionali e statali.
Da questo pur sintetico quadro appare chiaro che i Comuni, pur non avendo competenze specifiche in materia di politiche attive per il lavoro, con la loro azione sono chiamati a far parte di quel ‘fronte di lotta’ che dovrebbe combattere con sempre maggiore incisività il fenomeno della disoccupazione.
Naturalmente non va mai messo in discussione che i Comuni, come ogni altro Ente Pubblico, sono tenuti all’efficienza, in altre parole ad una buona amministrazione, e che questa si misura confrontando la spesa pubblica con la qualità e la quantità dei servizi erogati.
Ma allo stesso tempo va ricordato che il Comune non è un datore di lavoro come gli altri e non ha tra i suoi scopi quello di conseguire e massimizzare dei profitti.
Il Comune crea lavoro anche quando utilizza tutti i fondi disponibili per i cantieri comunali per l’occupazione, per la manutenzione delle opere e degli edifici pubblici, quando favorisce la creazione di imprese locali capaci di gestire pubblici servizi, quando impegna in ogni occasione possibile le imprese e gli artigiani locali, quando valorizza i tecnici (ingegneri, geometri, geologi, agronomi, ecc.) del paese, quando crea le migliori condizioni per l’insediamento di nuove imprese (nelle zone artigianali), quando programma lo sviluppo urbanistico in funzione della crescita dei commerci e delle attività connesse al turismo (con i piani urbanistici e i piani particolareggiati), quando crea le infrastrutture nelle zone agricole (strade, elettrificazione), ecc.
In sintesi, ogni azione, ogni iniziativa dell’amministrazione comunale dovrebbe essere valutata, a parità di costi e di efficacia della spesa, in termini di maggiori ricadute occupazionali possibili.
Come si vede, i Comuni (ciascuno nel suo piccolo) hanno innumerevoli compiti e precise (per chi le vuol vedere) responsabilità per progettare lo sviluppo e con esso il lavoro e l’occupazione.
Le risorse economiche, soprattutto quelle di provenienza comunitarie non mancano. Spesso mancano invece le idee, l’impegno e, quel che è peggio, la consapevolezza delle potenzialità che spesso sono presenti nel territorio e che gli amministratori di turno qualche volta non sanno vedere.

Roberto Montisci

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