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giovedì 2 agosto 2012

Festival Internazionale del Folklore - Sardara

Sabato 4 Agosto dalle ore 22 in piazza Libertà a Sardara, Vi aspettiamo numerosi per la VII edizione del Festival Internazionale del Folklore promosso dal Consorzio Sa Corona Arrubia, si esibiranno il gruppo del Kenia, della Bosnia e il gruppo folk Santa Mariaquas di Sardara, che ha condotto la seguente ricerca sul costume tipico sardarese, maschile e e femminile, e sui tessuti utilizzati. 
IL COSTUME TIPICO SARDARESE La ricerca storica del costume sardarese è tra i primi obiettivi che la nostra associazione si è posta sin dalla sua costituzione. Già dai primi approcci ci siamo però resi conto che il compito non era dei più facili, Sardara, infatti, sotto l’aspetto delle tradizioni passa per essere un paese “freddo” che almeno all’apparenza sembrava non aver conservato la parte del patrimonio legata alla cultura folkloristica locale. Noi non ci siamo lasciati scoraggiare e piano pianino abbiamo iniziato la nostra ricerca andando di casa in casa per trovare anche il più piccolo ricordo che potesse darci una mano. Siamo stati piacevolmente sorpresi nel constatare invece che non solo Sardara ha conservato il suo patrimonio ma, parlando con le persone che ci hanno ospitato, abbiamo constatato che nelle persone anziane è vivo l’orgoglio di essere sardaresi e in tanti ci hanno fatto partecipi dei loro ricordi fornendoci tantissime informazioni utili per la nostra ricerca. Ciò che abbiamo potuto appurare è che il costume sardarese era nel complesso molto sobrio. Non abbiamo ritrovato molti gioielli che potessero adornarlo fatto eccezione per un rosario di perle a grano grossi (ora di proprietà di Rita Piano) e di una catena d’argento chiamata “sa giunchiglia” (ora di proprietà di Rosetta Caddeo) che serviva per fermare il grembiule sui fianchi, la catena terminava con una piccola teca in vetro incastonata nell’argento all’interno del quale veniva riposto un frammento di broccato Si ipotizza che “Sa giunchiglia” avesse un potere contro il malocchio. 
I TESSUTI I tessuti utilizzati per la creazione degli abiti erano prodotti in loco o nelle zone limitrofe perciò possiamo affermare che per le camicie e i pantaloni bianchi era utilizzato il lino coltivato nel campidano, e per la creazione dell’abbigliamento maschile e per le gonne femminili si utilizzava l’orbace (tessuto ricavato dalla lana di pecora) la cui lavorazione avveniva alle terme dove era presente la gualchiera (“sa cracchera”) nella quale il tessuto era ammorbidito e lavorato. La colorazione dei tessuti avveniva invece a Collinas; il colore nero non è, infatti, il colore naturale, ma per colorare l’orbace erano utilizzate delle erbe selvatiche. Dalle interviste sappiamo che nei tempi passati i defunti venivano sepolti con i loro abiti più preziosi. Se ne possedevano più di uno, il più bello veniva fatto indossare al defunto e l’altro gli veniva deposto affianco. Un procedimento simile avveniva con le lenzuola ricamate; Se infatti queste erano state ricamate dalla persona defunta, quest’ultima veniva avvolta nelle sue lenzuola. È per questi motivi che molti capi preziosi sono andati perduti per sempre. 
L’ABITO MASCHILE Il costume sardarese maschile era composto dal tipico gonnellino in orbace (“is cratzonis de arroda ”) con il bordo orlato in velluto nero sotto al quale venivano indossati dei pantaloni in lino bianchi che venivano inseriti dentro le ghette (“is cratzas”). La camicia ,sempre in lino bianco, era finemente ricamata a mano o adornata con pregiati pizzi (secondo l’abilità di chi la confezionava) e fermata sul colletto e sui polsini con dei bottoni dorati. Sopra la camicia si indossava il gilet in orbace nero (“su cropettu”) con scollatura a V (divenuta in tempi recenti rotonda) bordata con del velluto nero. Sulla testa si indossava “ Sa berritta” ,sempre in orbace, che nelle occasioni importanti veniva adornata con un fazzoletto rosso (“su turbanti”). Sulla vita veniva avvolto un pezzo di tessuto rosso utilizzato a modo di cintura (fonti signora Lisetta Garau e signora Iolanda); sappiamo anche che i ragazzi usavano mettere un fiocco (“ froccus ‘e bagadiu”) colorato sul braccio per indicare che erano non erano sposati. Il costume maschile, a differenza di quello femminile, non ha subito grossi cambiamenti. Uno degli ultimi ad indossarle l’abito tradizionale maschile è stato il signor Antonio Margiani. 
L’ABITO FEMMINILE Come già detto l’abito femminile ha subito molte modifiche nel corso degli anni. Gli abiti risalenti all’800 erano di ispirazione medioevale con influenze spagnole. Alcuni tessuti, tra cui il broccato dei corpetti femminili, sono tutt’oggi utilizzati in Spagna dove vengono utilizzati nelle giacchine usate dai toreri nelle arene. Lo stesso scialle oltre che essere utilizzato in Sardegna è un capo tradizionale spagnolo . L’abito femminile dell’800 era composto da una camicia lunga in lino bianco impreziosita da pizzi o ricami; sopra la camicia veniva indossato un corpetto (“ is pabisceddas”) che nelle occasioni importanti era in prezioso broccato con motivi floreali, di colore verde, blu o nero impreziosito da decori fatti a mano con delle perline nere. Sono stati ritrovati corpetti di tessuti meno pregiati come il velluto blu o bordeaux e il tessuto damascato (come quello delle balze delle gonne) . La gonna era in orbace nero ed era lunga sino alle caviglie. Era formata da tanti teli a seconda del ceto sociale di appartenenza, ed era adornata con una balza in tessuto damascato con disegni floreali. Questo lo possiamo affermare in quanto siamo riusciti a ritrovare una parte di un’antica balza appartenuta alla signora Mocci Lucia nata nel 1845 e visto la ricchezza di questa tipologia di gonna pensiamo venisse indossata in occasioni importanti. Alla fine dell’800 possiamo datare altre tipologie di gonne tra cui una gonna, sempre in orbace nera, che sul bordo era adornata con dei nastri colorati il cui numero variava da uno a tre a seconda del ceto sociale. Una di queste gonne si poteva ammirare fino a poco tempo fa presso l’Hotel Antiche Terme. Un’altra tipologia di gonna che compare in questo periodo è “Sa gunnedda de girasobi”, diffusa in gran parte del Campidano e realizzata in tessuto più leggero e molto comune in quanto si poteva trovare facilmente nei mercati di Sanluri e Cagliari. Solitamente di colore blu, vinaccio o marrone, anche questa gonna era decorata sul bordo inferiore con pizzi o nastri di velluto nero a seconda del ceto sociale di appartenenza. Compare in questi anni anche “Sa gunnedda de imbodrau”, di colore rosso e blu, molto diffusa in tutto il campidano poiché realizzata con tessuti molto resistente e adatti alla realizzazione di abbigliamento da lavoro. Dopo la prima guerra mondiale, la tipologia delle gonne cambia ancora; Non sono più usati solo tessuti pesanti ma s’iniziano ad utilizzare stoffe più leggere come il cotone arricchito con fantasie anche floreali o geometriche. Tutto ciò è testimoniato da alcune gonne ritrovate tra cui una verde in cotone con fantasia di fiori appartenuta alla signora Franceschina Melas, la gonna in cotone marrone a righe bianche verticali della signora Lisena e la gonna sempre in cotone marrone con disegni a quadri verticali della signora Damiana Atzeni. Anche in questi anni continua l’usanza dei nastri per indicare il ceto sociale. Sotto la gonna, così come sotto al gonnellino del costume maschile, Sulla gonna veniva utilizzato un grembiule (“ Su deventagliu”) anche questo dai lineamenti molto sobri, era arricchito solo da nastri in velluto nero e a seconda del ceto sociale da del pizzo o da perline nere. Dai racconti dei testimoni sappiamo che il grembiule era alcune volte dello stesso tessuto della balza della gonna o in cotone. Ne sono stati ritrovati pochi tra cui un appartenente alla signora Francesca Atzeni nata nel 1871 (in lana bianca tessuto a mano), uno color senape (con motivi floreali tono su tono) della signora Adelaide Tuveri nata nel 1869 e un nero decorato con perline nere. In versione più moderna, ma non meno preziosa, le nostre mamme lo hanno portato in dote conosciuto come il grembiule per passare il caffè. “Su gippoi” (giacchetta corta) era presumibilmente un capo più invernale. Ne abbiamo ritrovato in velluto nero, verde e bordeaux e in damascato semplice. Erano delle giacchette corte aderenti con manica a ¾ molto semplici e senza decorazioni. Solo un capo nero presentava una sorta di cinturino decorato con perline sempre nere. Sulla testa si utilizzava “Su muncadori” di colore diverso in base all'età o allo stato sociale. Era, infatti, bianco per le bambine e le ragazze nubili, nero con stampe floreali per le donne sposate e verde o marrone per le donne più in là con gli anni. Chi poteva permetterselo usava uno scialle in tibet nero con frange di seta, largo circa mt.1.60 e ricamato a mano con motivi floreali ispirati al paesaggio campestre e al mondo agricolo. Tra i disegni più diffusi troviamo le rose, le margherite, le spighe, l’uva e il melograno. Abbiamo ritrovato anche uno scialle marrone con ricami in tinta e un fazzoletto a stampe anch’esso marrone che sappiamo veniva usato sopra un fazzoletto bianco dalle signore che lavoravano in campagna. Dal nostro punto di vista un gruppo folk, fin dalla sua nascita, deve essere consapevole che il costume che si decide di indossare deve rappresentare fedelmente la tipicità del paese d’appartenenza, con dettagli e particolari diversi dai paesi limitrofi. L’abito che, secondo la nostra ricerca, è più fedele all’originale sardarese è quello datato nella metà dell’800 in quanto all’epoca i tessuti utilizzati erano ancora per la maggior parte prodotti nel nostro territorio; A partire dal ‘900, infatti, i tessuti diventano più commerciali e quindi non più tipici di ogni paese ma spesso simili. Dopo attenta valutazione è emerso che il costume tipico di Sardara è composto da camicia bianca, pabisceddas in broccato, gonna in panno nero (che ha sostituito l’orbace, tessuto più difficile da reperire) con balza damascata con disegni tono su tono e grembiule in tinta, un fazzoletto nero con motivi floreali (in seta bianca per le ragazze più giovani) e lo scialle per chi ha la fortuna di possederlo.

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