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domenica 30 gennaio 2011

“SU PAPAMUSCA”


Capita a tutti di abbandonarsi ai ricordi che ci riportano alla nostra prima infanzia e fanciullezza. Più frequente, io credo, in chi come me è ormai avanti negli anni. Resto affascinato dall’abilità con cui i ragazzi di oggi padroneggiano i più svariati giochi che la civiltà tecnologica ha messo loro a disposizione.
Mi è capitato di restare a bocca aperta di fronte alla perizia e celerità con cui un adolescente riusciva a trasmettere un messaggino senza nemmeno guardare la tastiera del suo telefonino. Una lingua scarna con abbreviazioni e artifici grafici incredibilmente efficace. Con tutta probabilità per trasmettere lo stesso pensiero a me sarebbero occorse parecchie righe di più e un proporzionale arco di tempo. I nostri ragazzi sono sorprendentemente pronti a recepire qualsiasi novità che riguardi computer, telefonini e tutte le altre diavolerie elettroniche che la tecnica moderna sforna in continuazione. La civiltà contemporanea ci mette a disposizione una serie di “oggetti” già pronti all’uso e i ragazzi non devono fare altro che adoperarli ed esercitare le loro abilità. Sessant’anni fa anche il più banale dei giocattoli, la palla per esempio, doveva essere costruito con le nostre mani. Una vecchia calza riempita a metà di paglia o stracci, legata stretta con uno spago e rifinita poi con ago e filo per fissarne la parte eccedente, diventava una palla approssimativamente sferica ma funzionale allo scopo di tenerci occupati in partite interminabili. Ecco per potersi divertire occorreva possedere una certa manualità: in questo caso saper adoperare ago e filo. Oggi quanti bambini lo sanno fare? Manualità sempre più sofisticata se si voleva possedere qualcosa di più complesso quali per esempio pistole e fucili di canna. Bisognava saper usare il segaccio e s’arrasoia” ( tutti ne avevamo una in tasca legata al cinto con uno spago) per segare e incidere la canna. Come pure maneggiare le pinze per tagliare e piegare il fil di ferro per ricavarne il grilletto. Saper tenere le relazioni per imbonirsi ziu Enniu Serra, il noleggiante di bici, affinchè ci passasse una vecchia camera d’aria da cui ricavarne gli elastici indispensabili per la realizzazione delle nostre armi. Una lunga serie di adempimenti prima di poter avere in mano il prezioso giocattolo. Ricordo ancora con una certa nostalgia il fucile a canne sovrapposte, è proprio il caso di dirlo, che ho tenuto in camera mia per lunghi anni e poi regalato ad un bambino del vicinato. Manualità ed una certa inventiva perché la necessità aguzza l’ingegno, come suol dirsi. Un vecchio cucchiaio, allora di alluminio, debitamente appiattito con un martello e piegato con molta attenzione il manico (poteva facilmente spezzarsi) diventava la cazzuola con la quale, nel cortile di zia Clorinda, erigevamo incerti muri di fango e paglia con pezzetti di tegole (tebacciu) facilmente reperibili. Occorreva impegno ed attenzione poiché il giudizio dei compagni era implacabile: se il piccolo muro crollava scherno e canzonature per almeno una settimana erano assicurati. Il gioco è libertà, spensieratezza, divertimento; per noi era anche scuola di vita. Oggi i ragazzini sono svegli e pronti ma, a me sembra, un po’ incerti nella vita pratica. Tecnologicamente avanzati, bravissimi esecutori ma con poca creatività anche per il fatto che scarseggiano le opportunità. Come potrebbero se hanno in partenza già tutto pronto. Al massimo si sbizzarriscono con le costruzioni della Lego o con i blocchi logici che sono stati introdotti non in tutte le scuole, purtroppo. Ma di pratico, di manuale e quindi di operare concreto sono quasi completamente digiuni. E infatti una volta stufi dei vari giochi in loro possesso si rifugiano nella televisione: fanno gli spettatori. In questi tempi morti noi riuscivamo, o eravamo costretti, a trovare un qualche interesse osservando ciò che ci accadeva intorno. “Su papamusca” era (è?) un piccolo ragno che,
come dice il nome, si cibava di mosche. Per noi, curiosi sfaccendati, poteva costituire oggetto di paziente osservazione anche per un lungo periodo di tempo. Bisognava prima individuarlo tra i piccoli avvallamenti e le fessure dei muri di paglia e fango della vecchie case. Se ne stava immobile in attesa che nei suoi paraggi si posasse qualche mosca ignara del pericolo. Quando questo avveniva cominciava una estenuante marcia di avvicinamento con movimenti quasi impercettibili. Due zampine invisibili si allungavano e poi si contraevano per trascinare in avanti quell’esile corpo. L’operazione si ripeteva fino a quando era possibile sferrare l’assalto decisivo. Dopo tanta attesa mi rendevo conto che era giunto il momento. Un lampo. Non so quanto consciamente ma avevo assistito ad una lezione di vita e di morte. A ripensarci oggi molti dei nostri giochi avevano una valenza formativa. Non voglio certamente tessere le lodi per il tempo che fu, ma per la formazione del carattere e della capacità di affrontare le difficoltà della vita mi sembra che la società odierna offra ai bambini minori opportunità.
Luigi Melis

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